RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


Il concerto degli addii

Dominik Wortig

«Il concerto degli addii»: così si potrebbe sottotitolare il nono appuntamento della stagione dell'Orchestra Sinfonica della Rai (e il primo del nuovo anno), che, sotto la bacchetta di Juraj Valcuha, direttore principale, giovedì 15 gennaio 2015 (e, in replica, venerdì 16, di cui si riferisce) ha presentato un programma legato da un fil rouge interessante e poetico. La tematica dell'addio, del commiato, non è nuova nel mondo della musica: basti ricordare il Capriccio sopra la lontananza del fratello dilettissimo di Johann Sebastian Bach (BWV 992), la Sonata degli addii di Beethoven (Op. 81a) e il Valzer dell'addio di Chopin (Op. 69 n. 1), che al plurale sarà il titolo di un libro di Kundera: Il valzer degli addii.

La Sinfonia n. 45 in fa diesis minore di Franz Joseph Haydn (1772) è esponente da un lato di questa tematica – non per nulla, infatti, è soprannominata Abschieds -Symphonie, “Sinfonia degli addii” –, dall'altro della sensibilità stürmisch che letterati come Goethe, Klinger e Herder avevano iniziato a far circolare nel mondo intellettuale tedesco. Haydn ne sentì l'influsso verso gli anni '70 del Settecento, componendo, nel 1772, i due lavori più rappresentativi del genere: la Sinfonia n. 44 in mi minore (Trauer-Symphonie, traducibile approssimativamente come “Sinfonia funebre”) e, appunto, la n.45. Dietro quest'ultima, però, si nasconde un intento di innegabile spirito haydniano: buontempone com'era, “papà” Haydn cercò, con questa sinfonia, di far capire al principe Nikolaus Esterházy che anche gli orchestrali di corte, ogni tanto, avevano bisogno di quello che oggi potremmo chiamare un permesso sul lavoro o, in termini militari, un congedo temporaneo. Dopo un primo movimento tempestoso, un Adagio inizialmente galante che poi ripiega verso introspezioni inattese e un Minuetto giocoso, il Finale riprende la tempestosità dell'Allegro assai iniziale solo per stemperarla in un ludo musicale in cui tutta l'orchestra, un po' alla volta, abbandona la sala da concerto, all'epoca soffiando sulle candele dei leggii. Il principe capì le esigenze dei suoi sottoposti e concesse il permesso.

Valcuha ci offre una lettura particolarmente equilibrata della partitura di Haydn. I piani sonori, soprattutto negli archi durante il primo movimento, sono sembrati un po' troppo fusi (e con-fusi) tra loro, tanto che in alcuni passaggi risultava difficoltoso staccare la melodia (affidata ai violini primi) dall'accompagnamento (un sincopato dei violini secondi). A parte questo, però, l'esecuzione ha riservato non poche delizie: il tono pensoso dell'Adagio , reso al tempo stesso grave e leggero; la gaiezza dei Minuetto (pregevoli gli interventi solisti del primo violino di spalla Alessandro Milani) e, sopra tutte, il Finale, con l'abbandono progressivo, dopo una stretta di mano ai colleghi, dei vari musicisti, a gruppetti da due a quattro e, tocco di ironia, dello stesso Valcuha prima degli ultimi due violini, chiamati a concludere la sinfonia in pianissimo , alzandosi e inchinandosi leggermente tra loro. Le luci hanno fatto la loro parte, attenuandosi sempre più, fino a spegnersi: e al loro riaccendersi, tutti di nuovo sul palco per l'applauso di rito al termine di questa piccola, scherzosa bomboniera settecentesca.

Che cosa leghi la Abschieds-Symphonie di Haydn a Das Lied von der Erde (Il canto della terra) di Gustav Mahler è presto detto: il titolo del sesto movimento, quello conclusivo, è proprio Der Abschied, “Il commiato” . Ma si tratta di un commiato ben più profondo di quello messo in musica da Haydn; è il commiato dalla vita.

Il 1907 fu l'annus horribilis di Mahler: in quell'anno lasciò dopo dieci anni la direzione della Hofoper di Vienna, morì la primogenita Maria Anna e gli venne diagnosticata l'endocardite che quattro anni dopo lo avrebbe condotto alla tomba. Dopo la colossale Ottava Sinfonia, del 1906, il suo stile compositivo si evolse verso la terza e ultima maniera, e Das Lied ne è il primo approdo artistico (seguiranno la Nona Sinfonia e gli abbozzi della Decima). Ideato nel 1907 e composto nelle estati del 1908-9 a Dobbiaco, Das Lied von der Erde, su testi di antiche poesie cinesi tradotte in tedesco e pubblicate da Hans Bethge in Die Chinesische Flöte, venne sottotitolato dall'autore Eine Symphonie für eine Tenor- und eine Alto- (oder Bariton-) Stimme und Orchester: “Una sinfonia per voce di tenore e contralto (o baritono) e orchestra” , guardandosi bene dal chiamarla “Sinfonia n. 9” per non incorrere nella “maledizione della Nona”, secondo cui alcuni grandi sinfonisti (Beethoven, Schubert, Bruckner) non riuscirono ad andare oltre la nona produzione sinfonica. Apponendo la dicitura Nona Sinfonia sulla copertina della partitura che stenderà in fretta e furia nell'estate del 1909, a ridosso degli ultimi ritocchi del Lied, Mahler credette così di averla scampata, avendo scritto ufficialmente la sua Decima; ma quando si accingerà a scrivere la sua “vera” Decima (cioè in pratica l'Undicesima), la lascerà incompiuta: la maledizione aveva colpito ancora.

Considerare Das Lied von der Erde come una sinfonia vocale, più che un ciclo di Lieder, significa vedere il progetto complessivo dell'opera suddiviso in: primo tempo di sinfonia (primo Lied), secondo tempo lento (secondo Lied), scherzo-intermezzo (terzo, quarto e quinto Lied) e finale (sesto Lied). In particolare, il finale è il vero coronamento dell'intero progetto: assistiamo, dal primo all'ultimo movimento, ad un graduale assottigliamento di sonorità, ad un'elevazione che pian piano sfugge al piano della materialità per proiettarsi verso quell' oltre di cui parlano le ultime composizioni dei geni (pensiamo agli ultimi Quartetti di Beethoven): la celesta, già utilizzata nel finale dell'Ottava con lo stesso scopo, e le arpe intonano verso la fine frammenti di arpeggi, come bordi di nuvole sfrangiate all'orizzonte, e danno l'idea di un dissolvimento etereo. Più che la gloria e il senso di ciclopicità che di solito Mahler ispira, il finale del Lied von der Erde lascia in eredità un senso di quieta malinconia, di tristezza serena, che sa di distacco dalla realtà terrena, ma senza tragicità, perché chi non ha più niente per cui vivere, non ha più niente per cui morire, e della morte non ha quasi più paura: in lui si sostituisce infatti una rassegnazione che quasi sorride, anche se non di gioia (un tema che in Mahler compare già nei Rückertlieder in Ich bin der Welt abhanden gekommen, “Io sono ormai perduto al mondo”).

Markus Werba

Ad interpretare Das Lied von der Erde sul palco dell'auditorium Arturo Toscanini sono stati chiamati Dominik Wortig e Markus Werba. Il primo è tenore di stampo chiaro, buon fiato ed estensione in grado di dominare senza sforzo anche il registro acuto, sul quale si muove quasi tutto il primo Lied (Das Trinklied vom Jammer der Erde), toccando frequentemente il la e il si bemolle acuti. Peccato però per il volume vocale, spesso insufficiente ad imporsi sull'orchestra. Da questo punto di vista si disimpegna meglio Markus Werba, baritono, che, forse perché aiutato da una parte più “facile” rispetto a quella del tenore (soprattutto per quanto riguarda la tessitura), riesce a sovrastarla con più sicurezza. Dizione chiara e scandita per entrambi, cosa che ha permesso di seguire il testo tedesco senza sforzo, facendo apprezzare le sfumature di significato sottolineate dalla musica.

La direzione di Valcuha si segnala, partitura alla mano, per l'aderenza al testo mahleriano. I tempi adottati si conformano alla tradizione, che inizia con la storica prima esecuzione di Bruno Walter il 20 novembre 1911, a sei mesi dalla morte dell'autore. Si rileva però un'attenzione un po' troppo puntata sui fiati gravi (controfagotto e clarinetto basso), che emergono con insistenza dall'orchestra, soprattutto nell'ultimo movimento, senza apparente motivo. Notevole invece la compattezza dei violini primi durante il secondo movimento, sempre discretamente in disparte, accompagnamento sommesso ai giochi degli altri strumenti (scusabilissima la défaillace del primi oboe!). Ottimo l'uso delle percussioni, dal glockenspiel al triangolo, per donare qualche scintillio qua e là (soprattutto in Von der Jugend, il più “cinesizzante” della serie), fino al tam-tam in piano e pianissmo in Der Abschied, chiamato a sottolineare i passaggi più intensi.

Christian Speranza

30/1/2015

Le foto del servizio sono di Michele Rutigliano.