RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

La donna russa è donna due volte…

Acuto indagatore della società russa e delle sue contraddizioni, Anton Cechov iniziò la sua attività letteraria come scrittore di racconti umoristici per delle riviste, trovando nella facile vena comica che lo distingueva uno dei principali mezzi di sostentamento della sua travagliata giovinezza. Di questo periodo giovanile fanno parte due divertenti atti unici, entrambi del 1888, composti cioè quando l'autore non era ancora trentenne, L'orso e La domanda di matrimonio, atti unici nei quali accenti di genuina comicità si venano di quella corrosiva critica sociale e di costume, con un occhio particolarmente attento alle manie psichiche e alle storture del comportamento quotidiano dell'uomo, che caratterizzano la grande produzione di Cechov.

Il teatro L'Istrione di Catania, nell'ambito della stagione 2019-2020, ha proposto il 13 dicembre (con repliche il 14 e il 15) questi due piccoli gioielli, ormai pochissimo esplorati, della produzione del grande scrittore russo, affidandoli alla sagace regia di Filippo Brazzaventre, protagonista, insieme a Debora Bernardi e ad Aurelio Rapisandra, di entrambe le pièces. La scenografia di Valerio Santi, coadiuvata dalle luci di Ségolène Le Contellec, ha dimostrato ancora una volta come, se si possiede gusto del teatro e inventiva, basti davvero poco per ricreare alla perfezione un ambiente, un'atmosfera: il folto pubblico presente in sala si è così trovato immerso in un elegante salotto borghese per L'Orso, e in un'abitazione di contadini benestanti per La domanda di matrimonio, dove piccoli particolari scelti ad arte davano immediatamente quel tocco naturalistico e un po' desueto che introduceva alla perfezione nell'atmosfera cechoviana, insieme ai costumi, eleganti e raffinati per il primo lavoro, volutamente rozzi e un po' caricaturali per il secondo, realizzati dalla Costumeria L'Istrione.

L'Orso è un lavoro brevissimo, dalla comicità folgorante, tutta giocata su doppi sensi e calembour, e pervasa da una sottile misoginia, contraltare della critica di costume di Cechov, che sia Brazzaventre che la Bernardi sono riusciti a rendere con estrema eleganza, senza mai scadere nel triviale, dosando anzi ogni gesto affinché l'elegante umorismo non si tramutasse mai in crassa comicità. Ed è questa, e vale la pena di rimarcarlo, una caratteristica di tutte le pièces comiche messe in scena a L'Istrione: una comicità pulita, netta, mai compiaciuta, tesa a ricreare l'umorismo del tempo in cui l'opera fu scritta, e mai ad attualizzarla a ogni costo pur di incontrare i gusti di certo pubblico più aduso alle farse che al reale spirito comico.

Ed ecco Debora Bernardi incarnare con ricercata alterigia il ruolo della vedova inconsolabile, ma in realtà tutta tesa a fare un dispetto alla memoria del fedifrago consorte defunto, che si scioglie abbastanza rapidamente dinanzi alle avances del commerciante di biade, un orso, come lei stessa lo definisce, venuto a tentare di riscuotere un debito pregresso del marito. Così, tra un diniego e l'altro, la vedova si consola ben facilmente, complice anche il compiacente cameriere impersonato da Aurelio Rapisarda, dinanzi all'irruenta ruvidità del visitatore, che Brazzaventre ha reso con genuina immediatezza, conferendo al suo personaggio una gestualità dirompente che ben rendeva il progressivo, ineluttabile franare di una misoginia autoimposta dinanzi alla decisione e all'energia della donna.

Nel secondo lavoro, dove la comicità era legata soprattutto a un excursus di battibecchi tra i due protagonisti, un'acida contadina sul punto di rimanere zitella a vita per il suo carattere impossibile, e un balbuziente ipocondriaco decisosi per salvaguardare la propria salute a prender moglie, Brazzaventre è riuscito a rendere irresistibile la sua comicità, esibendosi in una balbuzie quanto mai realistica, ma al tempo stesso sempre perfettamente controllata, il che gli ha permesso da un lato di rendere sempre comprensibile ogni sua battuta, dall'altro di evitare le secche dell'insulsaggine in cui qualunque attore meno esperto sarebbe caduto, riducendo il personaggio a un idiota farfugliante, e non al povero ingenuo dipinto da Cechov. La Bernardi è stata in questo caso una spalla eccellente, affidando a una mimica insuperabile tutto il suo personaggio, ed evidenziandone con mano lieve, sempre garbata ma incisiva tutti i tentativi maldestri di civetteria, di addolcirsi, di rendersi più gradevole e meno viperina al pretendente, mentre Rapisarda, nei panni del fratello ansioso di liberarsi della donna a spese dell'ingenuo e sprovveduto pretendente, ha completato degnamente il quadro d'insieme, cui il pubblico, molto divertito, ha tributato applausi entusiasti.

Giuliana Cutore

16/12/2019