RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Anna Bolena

al Filarmonico di Verona

Dopo oltre due lustri torna al Teatro Filarmonico Anna Bolena di Gaetano Donizetti nel meraviglioso allestimento di Graham Vick. Il melodramma, su libretto del celebre Felice Romani, segna un punto di svolta nella carriera di Donizetti. Il trionfo ottenuto con Anna Bolena porterà ai successivi e conosciuti capolavori, ma anche l'opera sulla seconda moglie di Enrico VIII non è inferiore alle altre per intensità drammatica e difficoltà vocali. Appare strano che il melodramma sia stato confinato nel dimenticatoio già alla fine dell'Ottocento, per essere proposto nel secolo scorso a Barcellona nel 1947, tuttavia saranno le recite scaligere del 1957 a dare l'impulso definitivo trovando una proposta continua in molti teatri internazionali.

La vicenda trae spunto da una serie di leggente attorno alla figura della giovane Bolena, ma al tempo probabilmente non supportate da verità storiche, le quali in seguito sono state verificate e si discostano nettamente da quanto raccontato nell'opera. Doveroso rilevare che in un breve preambolo il librettista menziona il fatto, assumendosi la responsabilità di riscrivere la drammaturgia sul personaggio che è interamente confezionato per il teatro.

Dello spettacolo ideato da Graham Vick, con gli splendidi costumi e le grandi scene di Paul Brown, si è già scritto molto non solo in occasione della prima, sempre a Verona nel 2007, e ancor oggi non possiamo che confermare che si tratta di uno dei migliori spettacoli del regista, qui in ambiente storico, e della tragedia di Donizetti che sia stata rappresentata nell'ultimo ventennio. Il palcoscenico è dominato da una pedana girevole, che evidenzia le diverse situazioni narrative. Su essa poggiano delle autorevolissime scene, calate dall'altro come quinte, fredde ma che si combinano con grande senso teatrale e identificano una corte inglese, austera e spettrale. I personaggi sono sempre in primo piano e molto caratterizzati nei loro sentimenti, la drammaticità di Anna, l'imponenza del Re Tudor, i tormenti di Giovanna. Il coro invece è sempre ai margini, posto un gradino più basso rispetto i solisti, come a significare che la corte, doverosamente silente, può commentare ma resta solo spettatrice delle vicende private della corona. I costumi d'epoca erano di bellezza abbagliante per regalità, sartoria e cromatismo. Efficace e molto azzeccato il disegno luci curato da Giuseppe Di Iorio.

Sul podio Jordi Bernacer, concertatore calibrato e molto preciso che tende a ricavare un'uniformità di suono apprezzabile, sempre contenuto e mai debordante, ma a scapito del senso teatrale staccando tempi molto alterni, i quali erano palesemente opinabili per lentezza e indugio e non erano di sostegno ai solisti. Un esempio, l'introduzione della scena finale. L'Orchestra dell'Arena di Verona era in forma smagliante per precisione e puntualità d'intenti realizzati con grande professionalità, qualità che erano anche del Coro, molto professionale e di elevata sensibilità esecutiva, preparato da Vito Lombardi.

Irina Lungu, Anna Bolena, è stata all'altezza dell'arduo impegno cui era chiamata. La voce è bella, ben rifinita in tutti i registri e soprattutto utilizzata attraverso un fraseggio di alta qualità e un uso di colori molto rilevante. La sua performance è andata in crescendo, realizzando un personaggio molto teatrale caratterizzato dall'impossibilità di fronte al volere di un marito tiranno, capace di equilibrare dolcezza e soavità nei passi più intimi ma in grado di sfoderare tempra sanguinea nei momenti più drammatici, come il riuscitissimo finale I. Nel complesso una bella prova, definita anche con una grande interpretazione scenica.

Annalisa Stroppa era una Giovanna Seymour forse troppo leggera, poiché la voce non è proprio di mezzosoprano, tuttavia è doveroso rilevare una bella prova musicale contraddistinta da suoni sempre controllati e molto precisi, cui va sommato un ottimo fraseggio e un valido senso teatrale. L'Enrico VIII di Mirco Palazzi ha realizzato una buona interpretazione, molto attento nella scansione dell'accento e l'utilizzo del colore. Vocalmente, tolto qualche raro suono spoggiato, realizzava un'espressione rilevante nella dizione e la grande professionalità gli consentiva di offrire un personaggio molto avvincente.

Tutti i ruoli dell'opera sono di ardua difficoltà ma Riccardo Percy, ruolo scritto per Rubini, pone dei compiti molto impegnativi. Antonino Siragusa esce con onore dall'ostica prova attraverso una tecnica precisa che gli permette di esibire un Re nella cadenza della cabaletta. Il cantante è molto musicale, più a suo agio nei passi virtuosi rispetto a quelli dolenti, e un buon uso dei fiati. Una lode speciale per Manuela Custer, il paggio Smeton già apprezzato a Bergamo qualche anno addietro, che chiamata all'ultimo per sostituire una collega indisposta ha dovuto poi sostenere tutte le recite. La voce molto scura e di morbido velluto è peculiare per il ruolo, che la cantante realizza con variegate qualità d'accento e un'interpretazione giovanile di grande effetto.

Raffinato e di grande impatto scenico il Rochester di Romano Dal Zovo, il quale attraverso una voce rigogliosa e morbida dona accenti esemplari al personaggio. Nicola Pamio, Hervey, si distingueva per una precisa e incisiva interpretazione.

Il pubblico, che gremiva tutti i posti del Teatro Filarmonico, ha decretato al termine a tutta la compagnia un meritato e festoso successo, con particolari ovazioni per la protagonista.

Lukas Franceschini

23/5/2018

Le foto del servizio sono di Ennevi-Arena di Verona.