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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Madama Butterfly

inaugura la stagione 2016-2017 della Scala di Milano

Per la prima volta la Stagione d'Opera del Teatro alla Scala di Milano è stata inaugurata dall''opera di Giacomo Puccini Madama Butterfly, per l'occasione nella versione della prima assoluta del 17 febbraio 1904. È stata precisa volontà del maestro Riccardo Chailly proporre la partitura originale dell'opera che ebbe una sola rappresentazione, poiché il compositore dopo il fiasco della prima ritirò lo spartito e di conseguenza furono cancellate tutte le recite previste. Oggi il lavoro di ricostruzione della partitura è opera di Julian Smith. Inutile ripercorrere la genesi di come nacque una delle più famose e rappresentate opere liriche, è cosa abbastanza risaputa. Vorrei piuttosto rilevare talune differenze tra l'edizione solitamente eseguita e l'originale. Nell'atto I, prima della scena del matrimonio, Cio-Cio-San si dilunga a vario modo presentando tutto il suo stuolo di parenti al futuro marito, fra questi lo zio Yakusidé, uomo molto propenso al bere. Goro, il sensale, si dilunga in convenevoli con gli ufficiali giapponesi, e la stessa protagonista argomenta sulle differenze religiose tra oriente e occidente. Lo zio, ormai ubriaco, canta una canzoncina ma fatica ad intonarla, tra la derisione degli invitati e il disprezzo di Pinkerton che usa parole poco gentili anche nei confronti dei servitori. Nel duetto finale atto primo vi è una pausa di riflessione di Butterfly che racconta al marito i diversi rifiuti di matrimonio precedenti, musicalmente lo stile amoroso pucciniano prosegue in forma parallela tra sentimento ed emozione. Nel secondo atto (che diventa un blocco unico) la vicenda si trasforma prima in una commedia statica per svilupparsi solo nel finale nella vera e propria tragedia. Nella prima parte è indicativo che il brano “che tua madre” non raggiunga un vertice di tragicità, ma resti ancorato alla melodia e ai modi giapponesi, come poi in seguito la canzone stile ninna-nanna “È Roje un bimbo biondo” e quella più tragica intonata a Suzuki “Ei venne alle sue porte”. Memorabile invece il terzetto Pinkerton-Suzuki-Sharpless all'interno della casa nel finale che in parte sostituisce l'aria “Addio fiorito asili” non presente nella prima versione. Anche la figura di Kate assume una rilevanza drammaturgica più concreta, nel volere il bimbo, considerato lo scambio di battute con Cio-Cio-San. I coniugi americani, Pinkerton e Kate, assumono in questa prima esecuzione luci diverse e molto più drammatiche. Il primo dimostrando la sua vera codardia di uomo cinico ed egoista, la seconda come in parte già detto, pur essendo “causa innocente di sciagura” (parole pronunciate da Sharpless nella versione di Brescia) non si fa scrupolo di chiedere il bimbo con forza alla madre. L'assenza dell'aria “Addio fiorito asil” marca tali caratteristiche, e rende la vicenda più drammatica, è plausibile che fu introdotta per offrire un assolo al tenore. Curiosità a margine nella prima versione, il capitano di marina americano si chiama Sir Francis Blummy Pinkerton.

È risaputo che la prima esecuzione fu fischiata dal pubblico perché in parte non capita, ma soprattutto per un complotto ordito nei confronti di Puccini, il quale probabilmente prese lo schiaffo più sonoro di tutta la sua carriera, riscattato in seguito con il trionfo di Brescia qualche mese più tardi, che ripristina l'abituale edizione da noi sempre ascoltata. Doveroso ricordare che vi furono dei lievi ritocchi di partitura anche per l'edizione parigina del 1906 e quella di Milano al Teatro Carcano 1920. Alla Scala l'oblio perdurò per quasi un ventennio, fu Arturo Toscanini nel 1925 a mettere in cartellone Madama Butterfly con l'autorevole presenza di una cantante del calibro di Rosetta Pampanini.

Riprendo al pari le parole di Riccardo Chailly: “La nostra decisione di eseguire alla Scala la prima versione di Madama Butterfly vuole essere una possibilità in più di ascolto, confronto e conoscenza”. A queste parole non c'è nulla da aggiungere, sintetiche e precise esprimono quello che deve essere sia il ruolo di chi esegue musica lirica sia di chi ascolta, pur nella preferenza della versione, ma per tutti deve prevalere la sete di curiosità e per questo non possiamo che ringraziare il direttore musicale della Scala per le scelte effettuate nel corso di questi anni nel repertorio pucciniano.

La regia era affidata ad Alvis Hermanis che sceglie una via incentrata sul teatro gestuale del kabuki, il quale dovrebbe offrire attraverso una retorica fisica e gestuale la pertinente drammaticità della vicenda. Tale peculiarità forse va abbinata a testi orientali, mentre qui siamo alla presenza di uno spartito di Puccini che ha nel sentimento e nell'emozione il suo fulcro principale. Il disegno registico, seppur elegante e senza sbavature, non trova “anima”, non crea effetti, emozioni, fremiti, si limita a raccontare molto delicatamente e in maniera stilizzata la triste vicenda. Più rasente al tradizionale che all'innovativo, peraltro non da disprezzare, non crea danni e il mondo giapponese è rappresentato a tutti gli effetti. Molto belle e di meccanica laboriosità le scene a “sipario” sempre dello stesso regista e di Leila Fteita, con bellissime riproduzioni di Nagasaki dei primi anni del secolo scorso. Difficile trovare parole per elogiare i magnifici costumi di Kristine Jurjane, preziosi e con splendidi ricami ai quali forse la visione teatrale non rende sufficiente giustizia. Buona la visione drammaturgica di Olivier Lexa e bellissime le luci di Gleb Filshtinsky.

Il principale artefice di questo successo è indiscutibilmente il maestro Riccardo Chailly. La sua concertazione è stata esemplare sotto tutti i punti di vista, ma in particolare colpisce il senso narrativo, nel quale ha impresso colori e sfumature di grande effetto. Sempre in perfetto equilibrio tra momenti molto lirici e drammatici ha sviscerato quanto di meglio è possibile ascoltare dalla musica di Puccini e in particolare in questo per noi “nuovo” ascolto tutte le sfaccettature del caso, rilevante nella passione come nel canto di conversazione sempre contenuto ma retto sul filo della tensione drammatica, con giusti agganci sinfonici, per arrivare all'esplosione tragica finale da mozzare il fiato. Una prova di assoluto rilievo del direttore milanese cui dobbiamo un grazie sincero per questa nuova proposta. Da par suo l'orchestra segue il “suo” direttore non solo con la consueta professionalità ma anche con un entusiasmo di realizzazione che possiamo affermare di altissimo valore. Il coro diretto da Bruno Casoni, anche se in una contenuta esecuzione, conferma la sua mirabile professionalità in un emozionante coro a bocca chiusa.

Protagonista doveva essere il soprano Maria José Siri ma alla nostra recita abbiamo trovato Liana Aleksanyan che probabilmente la sostituiva perchè indisposta. La signora Aleksanya ha cantato con onesta professionalità e voce omogenea e di bel tratto lirico, purtroppo le mancava la parte essenziale per essere una Butterfly di rilievo: il fraseggio e il colore. Infatti, tutta la sua performance era limitata a una sommaria interpretazione e duttilità vocale, non riuscendo a trovare i necessari accenti per interpretare prima la bambina poi la donna Cio-Cio-San. Adagiatasi sulla blanda ruotine, talvolta anche stantia, non è caduta in grossolani errori ma siamo ben lontani dalle intenzioni del direttore, dal quale ha avuto un aiuto non indifferente.

Il Pinkerton di Bryan Hymel difettava per una mancanza sostanziale nel settore centrale, caratteristica che in quest'opera lo metteva in disagio nel canto di conversazione. Più abituato a ruoli acuti era sovente coperto dai colleghi e talvolta anche dall'orchestra, difettando per scansione e fraseggio non curatissimi.

Molto superiore alla precedente prova scaligera Carlos Alvarez, Sharpless, che in questo ruolo trova conferma del grande artista che sappiamo. Calibratissimo nel canto, manierato ed elegante nell'accento, ha messo in rilievo una preziosa corda vocale in un personaggio calzato magnificamente.

Chi si è ritagliato un successo del tutto personale è stato Carlo Bosi, Goro, che ha interpretato e cantato un sensale di riferimento nel panorama attuale. Voce squillante e limpida, fraseggio e accento bellissimi, accomunati da una recitazione teatrale di forte impatto, impersonando il subdolo e viscido affarista in modo esemplare. Molto brava anche la Suzuki di Annalisa Stroppa, ben delineata nel canto e di forte impatto emotivo.

In questa produzione abbiamo avuto un cast nei ruoli minori di accurata scelta e grande professionalità che raramente si può riscontrare in altre produzioni. Costantino Finucci era un bravissimo Yamadori, Abramo Rosalem un inferocito ma contenuto Zio Bonzo, Leonardo Galeazzi un simpatico e brillante Yakusidé, incisivi Gabriele Sagona e Romano Dal Zovo rispettivamente Commissario Imperiale e Ufficiale del registro. Bellissima ed elegante la Kate di Nicole Brandolino, e perfetto il terzetto dei parenti Marzia Castellini (madre di Cio-Cio-San), Maria Miccoli (la zia) e Roberta Salvati (cugina).

Il teatro era sold-out in ogni ordine di posto, come non si vedeva da qualche tempo. Pubblico molto attento alla “nuova” versione che è stata molto apprezzata decretando un autentico successo per tutti gli interpreti, con un trionfo, meritatissimo, all'uscita del maestro Chailly.

Lukas Franceschini

23/12/2016

Le foto del servizio sono di Brescia e Amisano.
(Le immagini si riferiscono alla protagonista prevista e non alla sostituta)