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Il Casino di Campagna

di August von Kotzebue

Da sinistra: Guido Turrisi, Valerio Santi, Francesco Russo e Marina La Placa.

Il tedesco August von Kotzebue è un autore ormai pochissimo rappresentato, anche se è stato uno dei commediografi più rappresentati del suo tempo: gli avrà certo nuociuto la fama di nemico acerrimo di Goethe, Schiller e tutti i romantici, di reazionario e spia del governo zarista, motivo quest'ultimo che gli fruttò la morte a Mannheim nel 1819 da parte di uno studente di teologia. Eppure le sue commedie, più di duecento, sono caratterizzate da una certa levità, da dialoghi d'effetto e dalle tipiche situazioni sentimentaleggianti ottocentesche, il tutto condito da un intento edificatorio generale e da quella che viene abitualmente definita morale Biedermeier, cioè quel gusto ad appagarsi delle piccole cose, come di una solitaria casetta in campagna, insomma da quell'atteggiamento definito da Grabbe il “giocare a nascondino con tutto il mondo”.

Solo che ne Il casino di campagna, un gustoso atto unico andato in scena il 9 ottobre al Teatro L'Istrione di Catania, con repliche il 10 e l'11, per la rassegna Servo di Scena, la morale Biedermeier è proprio quella che viene ostinatamente presa di mira da due innamorati per uno strano gioco della sorte, o meglio per un inspiegabile capriccio del padre della ragazza. Costui, per impedire il matrimonio tra i due giovani, Balden e Annetta, ha posto una strana condizione: Balden dovrà acquistare la casetta che il futuro suocero possiede in campagna e andare ad abitare lì con Annetta. Purtroppo all'asta arriva prima un tale Lorch, ricco personaggio in cerca di amena quiete e tranquillità, e si aggiudica la casetta. Tutta la commedia dunque è incentrata sugli esilaranti tentativi dei due giovani per sloggiare, disturbandolo a più non posso, il Biedermeier Lorch che, proprio in ossequio al suo amore per la pace e l'isolamento, infine cederà, permettendo ai fidanzati di coronare il loro sogno d'amore. Un lieto fine edificante, che ristabilisce un doppio kosmos, dopo il caos innescato dal capriccio del padre di Annette: da un lato infatti Lorch riaffermerà il valore della tranquillità e della pace ad ogni costo, dall'altro i due ragazzi creeranno il loro proprio kosmos, che prevede non solo il matrimonio, ma naturalmente la formazione di un'ordinata famiglia borghese con tanto di bambini, il cui padrino forse sarà appunto Lorch.

Comicità pura, fatta di situazioni rutilanti, quasi grottesche, ma senza alcun intento eversivo, strizzando anzi sempre l'occhio ad un ordine da ristabilire, nelle sue coordinate ideologiche prima che pratiche e reali. Ma anche una comicità abbastanza spontanea, che il regista Guido Turrisi ha assecondato con nonchalance, senza mai calcare la mano sulla risata, facendo sì che gli attori fossero più attenti al gioco di mimesis che l'interpretare ciascuno vari personaggi richiedeva, usando ora una dizione volutamente sporca, ora una gestualità più marcata, ma sempre nell'ottica di una superiore misura che ha rispettato l'intento di fondo della commedia senza mai farla scivolare nella farsa.

Ottime le prove attoriali dei giovani Valerio Santi, Balden, e di Marina La Placa, Annetta: travestiti volta a volta da poeta, da nobildonna logorroica, da lavandaia, cartomante, cantastorie, tragediografo, hanno mostrato grande professionalità, versatilità e egregia dizione. Bravo anche Francesco Russo, Lorch, bonario e pacato, a suo agio sia nel ruolo di spalla che in quello di comprimario: un plauso particolare alla sua mimica, punto di forza di un personaggio che è riuscito a ritagliare a tutto tondo.

Da segnalare i bei costumi della Costumeria L'Istrione, le musiche curate da Aldo Ciulla, e la scenografia, minimalista ma funzionale, dello stesso Valerio Santi.

Giuliana Cutore

14/10/2015

Le foto del servizio sono di Enrico Sigillo.