RECENSIONI
-

_ HOMEPAGE_ | _CHI_SIAMO_ | _LIRICA_ | _PROSA_ | _RECENSIONI_| CONCERTI | BALLETTI_|_LINKS_| CONTATTI

direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 

I Capuleti e i Montecchi

alla Fenice di Venezia

Alla Fenice è andata in scena la settima opera del breve catalogo di Vincenzo Bellini: I Capuleti e i Montecchi, nell'allestimento di Arnaud Bernard coprodotto con l'Arena di Verona, ove è andato in scena lo scorso anno.

Bellini utilizzerà per Capuleti molto materiale composto per Zaira, che andata in scena a Parma nel 1829 non ebbe grande successo. Pur non arrivando ai vertici di Sonnambula, Norma e Puritani, l'opera è sicuramente un punto di affermazione del giovane compositore, il quale trova maggiore vena creativa nella patetica effusione amorosa dei protagonisti e nella melanconica impostazione generale. Peculiare è il ruolo di Romeo en travesti (scritto per Giuditta Grisi), singolare invenzione che avvicina il destino degli amanti nel somigliante per non dire “unico” timbro e registro, così da accomunare in una candida vocalità la tragica passione adolescenziale, in particolar modo negli splendidi duetti. Le due voci “bianche” hanno estremo rilievo nel finale, in un cromatismo armonico splendido, idealmente realizzato in quel mondo felice, ove entrambe vorrebbero ritrovarsi e vivere il loro sentimento. Il dramma lirico, su libretto di Felice Romani, s'ispira alla celebre tragedia di Shakespeare, del Bandello e altre fonti italiane, tralasciando molti personaggi e dettagli e concentrandosi principalmente sulla lotta tra le famiglie e l'amore dei due giovani.

Lo spettacolo creato da Arnaud Bernard è decisamente poco accattivante e di strampalata drammaturgia. Come in occasione delle recite veronesi dobbiamo riconfermare che l'idea, non nuova, di ambientare la vicenda in un museo ove i personaggi escono dai quadri è realizzata banalmente, e il continuo andirivieni di personale delle pulizie e facchini rende noioso, irritante, oltre che assurdo il linguaggio registico. L'utilizzo dei tableaux vivants poteva essere reso in maniera migliore e più fantasiosa, funziona solo il finale, ma è davvero poco. Alessandro Camera realizza scene anche di fattura ma che non sono utilizzate in un ambiente romantico e pertanto poco apportano alla visione, i costumi, chissà perché cinquecenteschi, di Carla Ricotti non sfigurano. Poco efficaci le luci.

Delusione anche sotto l'aspetto musicale, a cominciare dalla concertazione di Omer Meir Wellber che si conferma direttore discontinuo. Dopo un'ouverture tumultuosa e sfasata si passa alla lentezza dei duetti e ad una generale alterazione timbrica. È impossibile capire la cifra interpretativa e la linea conduttiva di tale operazione tanta era la confusione e la mancanza descrittiva orchestrale dimostrata.

Sonia Ganassi non proponeva il suo Romeo belcantistico di anni or sono. Il volume e lo squillo sono notevolmente ridimensionati, la voce non più omogena nei registri, mantiene tuttavia un certo piglio interpretativo. Jessica Pratt, Giulietta, offriva la sua bella voce, ma meno duttile ultimamente e con talune difficoltà nei fiati cui si somma un'interpretazione gelida e monotona. Delude il Tebaldo di Shalva Mukeria, il quale a parte una sommaria correttezza non si distingue per timbro seducente e registra una limitata proiezione vocale. Completavano la locandina il corretto e severo Lorenzo di Luca Dall'Amico e l'incisivo Capellio di Ruben Amoretti. Buona la prova del Coro istruito da Claudio Marino Moretti.

Pubblico molto freddo durante l'esecuzione e pochi applausi al termine.

Lukas Franceschini

31/1/2015

Le foto del servizio sono di Michele Crosera.