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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Barcellona

Interessante iniziativa dell'istituto italiano di cultura con

Fiorenza Cedolins

Un evento inedito finora e di grande importanza voluto dalla direttrice Roberta Ferrazza al sempre vivace e attivo Istituto Italiano di Cultura di Barcellona: per la prima volta si organizzavano delle masterclass di canto lirico: tre giorni ben pieni seguiti da un quarto con concerto finale al Reial Cercle, 18-21 aprile scorso. Responsabile e maestra era il noto soprano friulano Fiorenza Cedolins, che, senza abbandonare la sua carriera lirica, da tempo svolge anche quest'attività.

Gli allievi – nove o dieci, alcuni diplomati, alcuno già in carriera, altri alla fine dei loro studi, per la maggior parte arrivati dall'Italia – hanno lavorato su alcune arie già preparate, di Verdi, Bellini, Donizetti, Cilea, Puccini. In solo due giorni i progressi realizzati sono stati di tutto rispetto.

Il metodo di lasciare l'allievo cantare prima tutto il pezzo per poi fare un commento di ordine generale e indicare poi, quasi frase per frase, i problemi incontrati o il modo di migliorae la resa si rivelava ottimo. Non solo si trattavano gli aspetti tecnici e fisiologici del canto lirico ma più genericamente quelli relativi alla musicalità, l'espressività e la comprensione del ruolo e non solo del frammento, dell'autore e dell'opera concreta (stile, fraseggio).

L'insistenza sulla chiara articolazione del testo e la profonda riflessione sul senso delle parole era notevole e portava i suoi frutti, così come gli esempi interpretati dalla stessa Cedolins e i suoi commenti, mai aggressivi e invece volti a servire il meglio possibile compositore, musica e intenzioni drammatiche.

Le considerazioni sul tipo di coloratura richiesta a Gilda nel Rigoletto come fondamentale per caratterizzare il personaggio, i suoi rapporti con gli altri due protagonisti e in particolare quello alquanto malato con il padre risultavano interessantissimi anche per chi seguiva (come il sottoscritto) le lezioni solo in quanto pubblico privilegiato. Ma non è stato questo l'unico caso: per non parlare del lavoro compiuto sulla sortita della protagonista nella Lucia di Lammermoor, quello che si ascoltava sui recitativi di Elvira (Ernani), Norma e Amina (La sonnambula) non solo mirava a ricordare l'importanza del recitativo in quanto preparazione per l'aria successiva, ma anche per l'atmosfera generale del momento e di tutta l'opera e ovviamente del personaggio. Arrivati alla cavatina di Oronte (I Lombardi alla prima crociata) le domande all'allievo sul tipo di personaggio, sulla destinataria e sul vero soggetto dell'aria risultavano tanto o più fondamentali che il tentativo di risolvere problemi di emissione (fiato, appoggio).

La grande interprete – nel solco della grande tradizione italiana – del Verismo che è la Cedolins si lasciava vedere non solo nei momenti dedicati a Mimì (Bohème), ma ancora di più nell'aria di sortita di Adriana Lecouvreur, da cui ha preso spunto per parlare del canto di conversazione, cosa che già di per sé sarebbe bastata per giustificare tutta la lezione di un giorno – si lavorava dalle 11 alle 14 e dalle 16 alle 20, ma soprattutto nelle spiegazioni sulle arie di Liù (Turandot) e più particolarmente quando si è arrivati alla motivazione del tipo di canto e di fraseggio nel suicidio “con gioia” in “Tu che di gel sei cinta”.

Menzione a parte merita il lavoro sulla romanza da camera di Verdi Il tramonto, dove l'enfasi sull'articolazione del testo, la perfetta dizione e il senso della poesía e di ogni parola, a parte dell'ovvio e necessario carattere intimo, metteva di rilievo le differenze che – perfino in un compositore così operistico – vanno fatte rispetto al modo in cui vengono affrontate le arie. Sarebbe molto interessante assistere a una lezione della Cedolins sulle canzoni dei maestri della lirica italiana, qualche volta sottovalutati nei concerti da pubblico ed interpreti: non tutto è Lied tedesco, mélodie francese, canzone russa, slava, spagnola e latinoamericana...

I due pianisti che accompagnavano le lezioni (Abraham Espinosa per un pomeriggio e Viviana Salisi, che seguiva la maggior parte delle lezione e prendeva anche parte al concerto finale con quasi venti brani) sono stati bravi, impegnati e pazienti.

Non è qui il momento di valutare il risultato di ogni allievo, ma almeno è doveroso citarne i nomi: dalla Spagna e dalla Catalogna, la giovane e valente Sara Bañeras (non si tratta di un esempio di ‘nazionalismo' ancora più fuori posto in questa sede); dall' Italia: le giapponesi Yoko Kawamoto e Sumika Kanazawa, e gli italiani Virginia Aurora Barchi, Ilaria Casai, Agnese Pazienti, Federico Bulletti, Emanuela Sala e Anna Corvino. Maggioranza assoluta delle signore dunque, tutti soprani, anche se Bianchi e Pazienti son due voci corpose piuttosto da soprano spinto, mentre le altre appartengono alla categoria del liricoleggero, e, nel caso di Corvino, già in carriera, a quella del lirico pieno, come anche le due signorine dal Giappone. Siccome l'unico signore era un tenore lirico non ci sono stati rappresentanti dei registri gravi maschili e femminili, ma neanche di tenori leggeri, controtenori e tanto meno tenori del tipo spinto. E questo ci porterebbe a qualche altra considerazione che lasciamo per un altro momento.

Jorge Binaghi

26/4/2017