RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Le metamorfosi di Offenbach

Al San Carlo grande successo per Les contes d'Hoffmann

Lo sguardo sornione nascosto dietro l'immancabile pince-nez, i capelli genialmente disordinati, il naso volitivo, i tratti somatici a metà fra un gallo e una cavalletta, come ebbe a dire il fotografo Nadar che più volte lo ritrasse, delineano le fattezze che Jacques Offenbach sembra aver ereditato direttamente da uno dei tanti curiosi personaggi che animano la narrativa di E.T.A. Hoffmann; e forse non è un caso se proprio il compositore francese, malinconico sovrano dell'operetta, riuscì a declinare musicalmente, con somma efficacia, il mondo poetico del visionario scrittore tedesco. Les contes d'Hoffmann, incompiuto lascito della febbrile ispirazione offenbachiana, ha trovato un'eccellente realizzazione al San Carlo di Napoli. Basta un semplice paravento mobile, di volta in volta schermo dal quale emergono misteriose ombre cinesi, o specchio nel quale svaporano i sogni dell'artista, per tratteggiare con efficacia le metamorfosi e i travestimenti dell'armamentario hoffmanniano. Lo spettacolo pensato da Jean-Louis Grinda per la sontuosa Salle Garnier monegasca, fra l'altro mostrata sullo sfondo nel prologo e nell'epilogo, sfugge gli orpelli del gotico in favore di una narrazione spedita, quasi a indicare come il meraviglioso in Hoffmann sia semplicemente uno stato mentale. In tal senso la bambola Olympia, verso la quale il protagonista indirizza il proprio sentimento d'amore, appare come una sorta di feticcio, simbolo di una personalità che rifugge i turbamenti dell'età adulta per rifugiarsi nelle lande apparentemente rassicuranti della fanciullezza. Un sogno inevitabilmente destinato a infrangersi contro l'evidenza del reale, così come si inceppa il meccanismo dell'improbabile automa. Essenziali ma suggestive le ambientazioni delineate da Laurent Castaingt, al quale basta un tessuto cangiante per evocare i mille riflessi dei canali veneziani. Visioni e ombre perturbanti si annidano nelle pieghe del quotidiano, come i burattini e le figure mostruose che pendono dal soffitto nel primo atto. Gli ambigui territori toccati dallo scrittore tedesco, costantemente in bilico fra l'inquietudine e l'ironia, insidiati da una perigliosa dualità, trovano una eloquente incarnazione. La solidità del mondo Biedermeier viene incrinata da inspiegabili presenze e da immagini caricaturali, salvo poi ricomporre il proprio precario equilibrio. Dopo aver narrato le sue improbabili delusioni amorose, al poeta non resta che riconsegnarsi alla propria musa, unica oasi di vagheggiata serenità.

Pinchas Steinberg conduce l'orchestra con passo teatralmente serrato, ma difetta un poco di fantasia. Il carattere del protagonista, melanconico e inquieto, l'anima insidiata dagli spettri di un'identità precaria, trova in John Osborn un interprete pressoché perfetto. Il fraseggio frastagliato e pregno di sfumature si sposa a un canto sempre ben sostenuto da una tecnica pregevole e da una voce ben timbrata in tutti i suoi registri. La luminosità nell'acuto completa una prova maiuscola. Maria Grazia Schiavo, nei panni dell'automa Olympia, coglie un vero e proprio successo personale sfoggiando un virtuosismo davvero notevole. Interessante anche la resa scenica, con la peculiare alternanza fra scatti meccanici e movenze naturalistiche, a individuare i dissidi di una dualità irrisolta. Nino Machaidze incarna una Antonia appassionata, la quale sacrifica il lato liricamente fragile e sofferto in favore dell'esternazione drammatica. Completava il terzetto femminile la Giulietta di José Maria Lo Monaco, corretta ma forse un poco avara nell'espressione sensuale della cortigiana. Alex Esposito interpreta le quattro incarnazioni maligne (Lindorf, Coppélius, Dr. MIracle, Dapertutto) con talento istrionico, ovviando con la proprietà d'accento a un peso specifico sicuramente non enorme. Roberto Abbondanza conferisce una dolente umanità al liutaio Crespel. Brava Annalisa Stroppa nel duplice ruolo di Nicklausse/La Musa, spassoso Enrico Cossutta, uno Spalanzani stralunato come si conviene, vivace infine Orlando Polidoro nei molteplici ruoli da servitore affidatigli. Curate le numerose parti di contorno, importanti nell'economia complessiva dello spettacolo. Alla fine grandi ovazioni per tutti. Produzione dedicata a due personalità che hanno lasciato il segno nella storia del Teatro San Carlo: Alfredo Kraus e Peter Maag, rispettivamente per il ventennale della scomparsa e per il centenario della nascita.

Riccardo Cenci

27/3/2019

La foto del servizio è di F. Squeglia.