RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Dafne di Antonio Caldara

a Venezia

Il Festival "Lo Spirito della Musica" organizzato dal Teatro La Fenice in collaborazione con la Fondazione Musei Civici di Venezia ha presentato in prima esecuzione moderna il dramma pastorale per musica Dafne di Antonio Caldara. Una scoperta musicale molto interessante, anzi elettrizzante, sia perché fuori dal logoro repertorio sia perché composta da uno dei migliori musicisti del '700. Antonio Caldara (Venezia 1670) era pressoché coetaneo dell'altrettanto celebre compositore della laguna Antonio Vivaldi. Seppur la loro formazione fosse simile, le carriere si diversificarono come le loro vite di musicisti, Vivaldi sempre legato alla natia città, Caldara itinerante in Europa come maestro di Corte o di Cappella legato a nobili famiglie o corti. Arrivò in seguito a Vienna, dopo essere passato per la Mantova dei Gonzaga, la Roma dei Ruspoli e gli Asburgo spagnoli. Proprio dalla corte viennese ottenne nel 1716 il titolo di Vicemaestro di Cappella di Sua Maestà e da quella carica poté estendere la sua influenza, la quale arrivò fino a Salisburgo per alcuni lavori per il principe arcivescovo tra cui Dafne che fu composta in occasione dell'inaugurazione del Teatro di Verzura nel giardino del Castello di Mirabell. La fiaba pastorale in oggetto si distingue musicalmente, ma anche l'intera produzione di Caldara, per la vivace arte del contrappunto cui va sommata una ricercata ispirazione melodica e un'invenzione aggraziata vocale che determina il mondo barocco nel quale il compositore operò. L'eccezionale riscoperta veneziana mette ancora una volta il Teatro La Fenice nel ruolo di Fondazione attenta e produttrice di tesori musicali da riscoprire soprattutto per il pubblico oggigiorno troppo abituato ad uno stantio repertorio.

L'esecuzione è stata realizzata nella splendida Sala dello Scrutinio del Palazzo Ducale di Venezia, luogo ricco di storia e di emozioni incontrastate nel volgere lo sguardo alle decorazioni della sala, culminate dal celebre dipinto della “Battaglia di Lepanto”. Il pubblico è stato immerso in un mondo barocco di corte, nel quale è stato in parte rinverdito il clima della prima esecuzione. Il regista Bepi Morassi, intelligentemente, non ha voluto imporre uno spettacolo estraneo all'ambiente ma ha ricreato una macchina “fantastica” in legno approssimativa a quelle che erano costruite nei secoli XVII e XVIII per sbalordire il pubblico, ovviamente nei limiti dello spazio e del luogo. Abbiamo avuto pertanto tre pedane fisse sulle quali agivano gli interpreti, un ascensore manuale ed effetti scenotecnologici che potremo definire originali, come il mare azionato manualmente da rulli con stoffe sovrapposte. Se a questo aggiungiamo lo splendore dei costumi rigorosamente d'epoca di Stefano Nicolao, e una credibile recitazione abbinata ad una funzionale drammaturgia, lo spettatore d'oggi ha avuto l'occasione di immergersi in un mondo arcaico scomparso ma ancora validamente rappresentativo.

Maestro concertatore e direttore dell'Orchestra del Festival è il bravissimo Stefano Montanari, che si è diviso il difficile compito facendo la spola con Verona ove era impegnato con Don Giovanni. In tale repertorio Montanari è carta non solo vincente ma garanzia di estrema perfezione direttoriale e potremmo azzardare il paragone che la sua presenza è identificata quale gamba di un tavolo che altrimenti non reggerebbe. Egli è una delle migliori bacchette italiane barocche, in questo caso anche eccellente virtuoso al violino, con squisiti interventi concertanti e con variazioni che animavano l'ascolto. L'impeccabile direttore coordinava sia la preziosa Orchestra Barocca del Festival, solo dodici elementi, che erano brillanti quanto in perfetta armonia di suono, sia la giovane compagnia di canto di ottimo livello.Francesca Aspromonte, nel doppio ruolo di Dafne e Venere, è stata soprano di brillante qualità vocale e puntuale precisione. Il controtenore Carlo Vistoli ha fornito una prova brillantissima nel ruolo di Febo, con tecnica mirabile e una voce ben amministrata nelle diverse sezioni. Kevin Skelton, Aminta e Mercurio, tolta una sommaria dizione, ha dimostrato buona precisione nei suoi interventi e una spiccata musicalità anche se con una voce poco emozionante. Renato Dolcini, Peneo e Giove, è stato ottimo interprete e raffinato cantante particolarmente a suo agio nel repertorio barocco. Successo trionfale al termine, e aggiungo meritatissimo per un'esecuzione di alto livello che ha compensato il torrido caldo della Sala, anche se genialmente al pubblico sono stati offerti un ventaglio e una bottiglietta d'acqua. Ascoltare musica barocca in tale ambiente è stata esperienza di rara emozione e immedesimazione in un mondo ove ci sono capolavori ancora da riscoprire.

Lukas Franceschini

26/7/2015

La foto del servizio è di Michele Crosera.