RECENSIONI
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Ripetizione è incantamento

La Scortecata di Emma Dante

Lo cunto de li cunti, noto anche con il titolo di Pentamerone, è una raccolta di fiabe di Giambattista Basile, autore napoletano di epoca barocca, che all'interno di una cornice narrativa di cinque giornate, sull'esempio del Decamerone, collocò cinquanta fiabe, alcune tratte dalla tradizione popolare, ma tutte aventi come protagonisti, oltre ai consueti re e figli di re, personaggi plebei, chiassosi, volgari, tutta una varia umanità espressione della Napoli popolare. La vecchia scorticata, decima favola della prima giornata, narra di una vecchia che, con la sua voce melodiosa, riesce a ingannare un re e a trascorrere una notte d'amore con lui. Giunta l'alba però il re, accortosi dell'inganno, getta la vecchia dal balcone: rimasta appesa a un albero, la donna viene tramutata da una fata in una bellissima fanciulla, e così riuscirà a sposare il re.

Emma Dante si è ispirata a questa trama per costruire La scortecata, un atto unico coprodotto dal Teatro Biondo di Palermo e dal Festival di Spoleto, in collaborazione con Atto Unico-Compagnia Sud Costa Occidentale, che dopo il grande successo nazionale viene proposto al Piccolo Teatro di Catania dal 27 al 31 marzo. La regista palermitana, pur mantenendo nelle sue linee essenziali la trama della favola, l'ha tramutata in un gioco di specchi tra realtà drammatica e finzione del racconto che le due vecchie sorelle protagoniste si narrano, ipertrofizzando in tal modo l'originaria oralità della fiaba: la pièce, affidata a due attori en travesti, si apre su un palcoscenico spoglio, dove l'unica nota di colore è un piccolo castello che ricorda quello della Walt Disney, elemento favolistico e onirico a un tempo, con i due protagonisti che si succhiano ostinatamente il dito mignolo. Oralità infantile, primo stadio della sessualità, che diventa oralità della narrazione e oralità sessuale, nel senso di un amplesso tra la vecchia e il re che solo alla fine si svelerà come soltanto narrato, cardine del rapporto tra le due vecchissime sorelle, che tra baruffe, dispetti e insulti, talvolta anche triviali, trascorrono le loro inutili giornate fingendo e rifingendo sempre la stessa favola, per sfuggire alla miseria, alla noia, o forse soltanto alla vecchiaia.

Sì, perché quel che vien fuori dall'originale trasposizione della Dante è soprattutto la non accettazione di sé da parte della sorella che nella fiaba originale viene tramutata in bellissima fanciulla: brutta sino all'inverosimile, dotata solo di una bella voce, ma soprattutto vecchia, tiranneggia l'altra insultandola, sbeffeggiandola, e farneticando di illusori corteggiatori della giovinezza, che ella non avrebbe accettato solo per non lasciar sola la sorella. Una mistificazione continua di se stessa, che nel finale si concretizza in un improvviso mutar di abiti, in una parrucca rosso fiamma, ma soprattutto nel nascondere ostinatamente il viso. La vecchiaia che non accetta se stessa, un po' come l'anziana donna abbigliata come un pappagallo che Pirandello eresse a emblema del suo umorismo. E quando l'orribile vecchia, esaurita la finzione quotidiana, finalmente non ne può più e chiede alla sorella di scorticarla, di toglierle la pelle per farne uscire quella nuova, la critica implicita ma quanto mai corrosiva dell'autrice sembra investire tutta una società che impone di non accettare più se stessi, di apparire sempre e comunque, in un gioco al massacro dove è la finzione ossessiva a dominare e non la serena accettazione di se stessi e di ogni fase dell'esistenza.

I due protagonisti, Salvatore D'Onofrio e Carmine Maringola, pur recitando in napoletano, sono riusciti a rendere perfettamente intelligibile il testo, grazie a una dizione particolarmente attenta e a un sapiente dosaggio delle pause e del ritmo del testo: coadiuvati dai grotteschi costumi della stessa Dante e dalle luci dure ma incisive di Cristian Zucaro, hanno recitato col corpo e con la gestualità prima che con la voce, oscillando sempre tra il piano della realtà drammatica e quello dell'oralità, in un climax di comprensione ed esplicitazione graduale della pietosa finzione tra le due donne, affidato a minimi elementi e scarti nella recitazione, che si è svelato pienamente solo nel crudele e desolante finale

Giuliana Cutore

29/3/2019