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Amsterdam

Importante riesumazione de La forza del destino

Questo nuovo allestimento de La forza del destino, opera difficile fra le più difficili, riscuoteva un successo straordinario e meritatissimo. Per primo va citata l'affascinante direzione di Michele Mariotti, che dimostrava di non essere solo un geniale maestro rossiniano e belcantista, con un'ottima Orchestra Filarmonica dei Paesi Bassi e un altrettanto bravo coro, e non solo dal punto di vista del canto, ma anche bravi artisti, istruito da Ching-Lien Wu.

La messinscena per la regia di Christof Loy sarà da mettere fra le più riuscite di quelle che portano la sua firma sebbene ci siano sempre dei momenti e dei concetti discutibili: come al solito la meravigliosa sinfonia – interpretata poi così – risulta interpretata senza ragione pur di presentare elementi che si riscontrano nel dramma di Rivas ma non nell'opera di Verdi; poi c'è quella smania di riempire le arie con personaggi e tanta agitazione sul palcoscenico – questa volta a farne le spese è stata la grande aria di Alvaro; per finire, la fissazione per la scena unica che appena si trasforma forza inutilmente il testo e la diversità tra le scene.

Ma invece il lavoro sui personaggi è stupendo, con rilievo particolare per quello di Preziosilla, ma non so cosa ne verrà fuori quando a interpretarla non sarà la fantastica Veronica Simeoni, che non solo cantava egregiamente ma anche interagiva, si dimenava e ballava seguendo la non facile coreografia di Otto Pichler in modo incredibile. Eva-Maria Westbroek, con pochi piani, e non sempre riusciti, e un registro acuto metallico, riusciva tuttavia a offrire un ritratto interessante di Leonora di Vargas. Roberto Aronica, dal canto suo, era un Alvaro appassionato, di canto spontaneo sicuro e inappuntabile e arrivava senza cedimenti alla fine di uno dei ruoli più ostici – e belli – tra quanti scritti da Verdi per un tenore. Alessandro Corbelli meritava sicuramente le ovazioni e le risate che destava il suo sensazionale Melitone, il migliore che mai mi sia stato dato di vedere insieme a quello, indimenticabile, di Sesto Bruscantini. Vitalij Kowaliow era un Padre Guardiano notevole, anche se nel terzetto finale, stranamente, lo si sentiva poco. Franco Vassallo, nei panni di Carlo di Vargas, faceva un'esibizione di mezzi generosi ma di fraseggio monotono e scarso di gravi nella cabaletta dell'atto terzo. Il Marchese di Calatrava di James Creswell sfoggiava una voce interessante ma ancora acerba. Carlo Bosi, se bisogno c'era, dimostrava ancora una volta con Trabuco perchè si tratta del migliore caratterista italiano. Avere poi Roberta Alexander per il breve ruolo di Curra, sebbene Verdi l'abbia pensato per un mezzo e non per un soprano, era davvero un lusso. Teatro gremito e pubblico in estasi.

Jorge Binaghi

6/10/2017

La foto del servizio è di Monika Rittershaus.