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Milano

Fantastico Giulio Cesare in Egitto

Ecco che con un'opera difficilissima e senza l'esca principale (Cecilia Bartoli, che per solidarietà con il sovrintendente Pereira – così disse – aveva disdetto– immagino che adesso passerà spesso dalle parti di Firenze) la Scala ha riconfermato il suo primato fra le case liriche (italiane o non) con un Haendel che – colmo dei miracoli – ha visto la sala del Piermarini piena, fatto qui infrequente per un titolo del barocco.

La messinscena di Robert Carsen, con tutte le sue incoerenze storiche – piuttosto moderni tutti questi militari in divisa, questa Cleopatra che per finire segna i contratti di gas come una donna di affari di oggi – è molto ironica, a momenti divertente, risulta di chiarissima lettura, e definisce in modo straordinario tutti i personaggi ma nessuno così bene come questo Tolomeo irritabile e violento che Christophe Dumaux canta – con un timbro più scuro del solito – e interpreta in modo straordinario.

Comunque in questo insieme davvero notabile c'era uno che eccelleva su tutti, il protagonista memorabile di Bejun Mehta, strepitoso da ogni punto di vista, con un fiato fenomenale, colorature pulitissime, puntature e messe di voce a non finire, legato da manuale... Impossibile scegliere un momento migliore dell'altro ma Aure deh per pietà è stato davvero commovente così come il lirismo di Se in fiorito ameno prato – scelto qui per finire l'atto primo – era una vera e propria filigrana.

Sara Mingardo non ha bisogno di presentazione. È il contralto italiano probabilmente più aristocratico nel campo del barocco e la sua dolente e altera Cornelia seduceva occhi e orecchie – non era da stupire che se la disputassero in tre.

Cleopatra era Danielle De Niese che ha adesso la voce più matura e meno da soubrette che quando spopolava anni fa nel ruolo. Particolarmente la trovo più adatta adesso, anche se qualche acuto è metallico e le agilità non sono sempre stratosferiche. L'approccio piccante è sempre quello e quindi le arie più malinconiche sono le meno interessanti (Piangerò la sorte mia e Se pietà di me non senti). Invece la presentazione cinematografica e la versione di V'adoro pupille risultavano azzeccatissime. Philippe Jaroussky avrebbe il tipo fisico e il timbro ideali per Sesto e in gran parte così è stato, ma purtroppo la voce incomincia a essere aspra in acuto e molto metallica e si capisce perchè Haendel avessea scritto in origine la parte per un mezzosoprano e non per un castrato. Bene Christian Senn nei panni di Achilla (con solo un'aria) e anche Renato Dolcini (Curio, il fido di Cesare) e come Nireno Luigi Schifano. I puntuali interventi del coro al solito livello di eccellenza con il marchio di Bruno Casini. L'orchestra della Scala su strumenti storici si faceva onore (anche in momenti pericolosi come Va tacito e nascosto) e metteva inrilievo l'eccezionale bacchetta di Giovanni Antonini. Applausi scroscianti alla fine ma anche a scena aperta dopo molte delle arie.

Jorge Binaghi

3/11/2019

La foto del servizio è di Brescia&Amisano.