RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Grande dominatrice è la parola…

All'interno della rassegna “Un palcoscenico per la città”, promossa dal Teatro Bellini di Catania, in sinergia con le più rappresentative istituzioni musicali della nostra città, è andato in scena il 17 febbraio al Sangiorgi Voci, melologo dall'Encomio di Elena, nella riduzione teatrale di Riccardo Insolia, proposto dalla Camerata Polifonica Siciliana già nel 2000, ma adesso offerto in una nuova versione rinnovata e arricchita. Il lavoro, ispirato al celebre Encomio di Elena di Gorgia da Lentini, filosofo e retore vissuto a cavallo tra il V e il IV secolo a.C., figura tra le più rappresentative della sua epoca, primo a studiare il linguaggio in sé e per sé, e considerato insieme a Protagora di Abdera tra i fondatori della cosiddetta sofistica, termine che etimologicamente non ha alcun significato spregiativo, ma indica soltanto una disciplina in grado di insegnare a parlare abilmente. E di questa abilità nel parlare Gorgia, che fu il primo a pretendere un compenso per le sue lezioni di retorica, era senz'altro un maestro, alla cui scuola si formò persino un grandissimo oratore come Isocrate, anch'egli autore di un Encomio di Elena, nel quale, pur in polemica con la sofistica, elogiò il maestro sia per il modo in cui aveva trattato la vicenda della regina di Sparta, sia per la scelta di un tema così straordinario.

Come si può vedere, scegliere di portare in scena un testo come quello gorgiano, che ha avuto sin dall'antichità un così largo seguito, sia negativo che positivo, è senz'altro una sfida impegnativa, soprattutto quando si tratta di scegliere l'impostazione e la struttura da dare al lavoro. Come ha sottolineato il prof. Aldo Mattina, presidente della Camerata Polifonica Siciliana, che ha presentato al pubblico la pièce, l'Encomio intende, come in un processo, sostenere la non reità di Elena secondo quattro assunti: Elena ha obbedito a un decreto degli dèi, ai quali non poteva opporsi; Elena è stata rapita con la forza da Paride; Elena è stata convinta, grazie alla forza della parola, da Paride; Elena è stata soggiogata da Amore. Dunque si tratta di un processo, e del processo ideale a una donna, pur progenie di dèi, morta da ormai lunghissimo tempo.

Su questa falsariga, e tenendo sempre ben presente il valore immenso dato alla parola, al logos, da Gorgia, si è mossa la messa in scena di Donatella Capraro, che ha curato anche le coreografie e i video della rappresentazione, in una perfetta sinergia tra movenze sceniche, musica e parola, dove il testo del filosofo è sembrato riemergere dal profondo del passato per offrirsi nuovamente in tutta la sua potenza evocativa al pubblico.

Su un palcoscenico spoglio, sul cui fondo si stagliavano gli strumentisti, i componenti del Coro Lirico Siciliano hanno atteso che dal fondo del parterre giungesse una figura che recava con sé un normalissimo carrello della spesa, su cui stavano un fagotto nero e una serie di oggetti, in apparenza dei pacchetti, che in seguito si sono rivelati essere simboli delle psefides, le pietruzze che i greci usavano nei processi per esprimere il proprio voto. Ogni componente del coro ha ricevuto una di tali pietre, mentre dal fagotto, gettato sulla scena, emergeva lentamente una figura femminile, un'Elena consunta dai secoli, come in una nekuia di omerica memoria. E questa Elena, impersonata da Donatella Capraro, con movimenti plastici, morbida nel suo ruolo di vittima-burattino degli dèi, si è presentata ai giurati e poi al retore-avvocato, impersonato da Emanuele Puglia, che ha recitato con una stentoreità ben adeguata al suo ruolo le parti più rilevanti dell'Encomio, con una dizione limpidissima, che ha permesso al pubblico di non perdere nemmeno una battuta.

Gli interventi del coro, istruito da Francesco Costa, pur se abbastanza limitati, hanno punteggiato con grande efficacia, anche teatrale, il lavoro, insieme alle musiche di Giovanni Ferrauto, dove la politonalità lasciava emergere tutta la dimensione evocativa dell'arcaico adombrata sin dall'inizio dall'Ermete psicopompo che conduceva Elena, hanno fornito il contesto sonoro sul quale le parole di Gorgia si innestavano con estrema naturalezza, mai sovrastate, anzi esaltate ora dagli interventi del clarinetto di Carmelo Dell'Acqua, ora dal flauto di Alessandra Marino, ora dal pianoforte affidato a Maria Pia Tricoli e ad Anna Maria Calì. Le percussioni di Giovanni Caruso, Enrico Caruso e Rosario Gioeni, mai intrusive, si stagliavano tuttavia nette, rimarcando anch'esse il richiamo costante a un'eternità senza tempo. I video, astratti ma simbolicamente allusivi, amplificavano questo compenetrarsi del passato nella modernità, soprattutto perché durante il loro scorrere era possibile percepire brandelli di greco antico, e in particolare della celebre definizione gorgiana gran dominatrice è la parola, che con piccolissimo corpo sa compiere cose davvero divine.

Giuliana Cutore

18/2/2019