RECENSIONI
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Barcellona

Un quarto di secolo dopo

Si dice presto, venticinque anni, ma non è poco in una vita umana e nella carriera di un cantante lirico. È tornato finalmente al Liceu Dmitri Hvorostovsky, questa volta in un concerto con arie di opere diretto dal giovane e valente maestro Mikhail Tatarnikov, ovviamente più idiomatico nel repertorio russo che nei frammenti italiani o francesi, che preparava pulcramente l'orchestra del Teatro non solo per i pezzi vocali ma anche per quelli sinfonici che come è solito integravano il programma della serata, e l'esecuzione era valida anche se non particolarmente brillante.

Nella prima parte, totalmente dedicata alla scuola russa, si sentivano scene da Il demonio di Rubinstein, La dama di picche di Cajcovskij, Aleko di Rachmaninov, ed Il principe Igor di Borodin, e i risultati erano sempre migliori man mano che si procedeva. Infatti, la voce suonava un po'ingolata, con meno volume, ma sempre con un fiato stupendo, nel frammento di Rubinstein, anche se il cantante non trovava facilmente la posizione fisica più comoda; poi arrivava il racconto di Tomski – eccellente, soprattutto dal punto di vista drammatico ma senza arrivare al livello del meraviglioso principe Yeletski nella stessa opera di cui il baritono siberiano è stato interprete di riferimento – una magnifica scena della gelosia del protagonista di Aleko e per finire un sublime monologo del protagonista del titolo di Borodin nell'atto secondo.

Nella seconda parte, dopo l'iniziale‘Resta immobile', in italiano, dal Tell rossiniano, che gli consentiva di sparare acuti formidabili benchè con un errore nel testo dell'ultima frase, passava ai momenti più attesi dal pubblico, la scena della morte di Posa nel Don Carlo e l'invettiva contro i cortigiani dal Rigoletto – e non so se impazienza o ignoranza portava alcuni a un applauso scomodo anche per l'interprete prima della frase finale del pezzo – eseguiti molto bene, con qualche peculiarità nel fraseggio probabilmente per ragioni di emissione: l'acuto non è sempre naturale, squillante e intrepido come un tempo ma può trattarsi di una situazione fugace. Finiva con i ‘ couplets' di Escamillo dalla Carmen, dove faceva sfoggio di timbro ed estensione, benchè senza coro e solisti il pezzo risulti alquanto monco.

Come solo bis cantava la celebre canzone tradizionale russa ‘Occhi neri'. Il pubblico passava dall'applauso affettuoso nella prima parte al delirio nella seconda: probabilmente avrebbe dovuto essere alla rovescia. Alla fine tanti fiori e tanta emozione, e anche il cantante era visibilmente commosso e felice. Gli auguriamo da qui tanta salute e che possa cantare così ancora molto tempo. Poi, di questi giorni, è quasi originale sentire pezzi pensati per un baritono cantati anche da un'importante e ancora rigogliosa voce di... baritono.

Jorge Binaghi

12/11/2016

La foto del servizio è di Antonio Bofill.