RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


Aimez-vous Brahms?

 

«Aimez-vous Brahms?» chiede Simon a Paula nell'omonimo romanzo di Françoise Sagan. Con ben altro intento, la nota domanda di Simon (che nel libro non è un modo per intavolare una discussione di musicologia…) è stata ripresa, nel festival MiTo 2014, per una serie di appuntamenti interamente dedicati al compositore amburghese. Quattro di questi hanno costituito i primi quattro concerti della stagione del Teatro Regio di Torino. Finalmente tornato alla base, dopo un'estate di voci di corridoio che lo avrebbero visto disertare la piazza torinese, Gianandrea Noseda, alla testa dell'orchestra stabile del Teatro stesso, dirigerà, in quattro (serrate) serate, le Sinfonie i Concerti per pianoforte, il Concerto per violino e il Doppio Concerto per violino e violoncello di Brahms. una full immersion nei suoi capolavori orchestrali, che non potrà che deliziare i palati più esigenti.

Per la serata inaugurale, giovedì 16 ottobre, è stato presentato prima il Concerto per pianoforte e orchestra n°1 in re minore Op. 15, solista Simon Trpceski, e poi la Sinfonia n°1 in do minore Op. 68.

Il Concerto sfodera fin dall'inizio tutto il nervosismo e la concitazione per cui Noseda è famoso. È una composizione adatta alle sue corde espressive, con quel magma orchestrale che denuncia il temperamento dell'autore che, non ancora venticinquenne, è ben deciso a squadernare la sua padronanza in materia di orchestra e pianoforte. A questa direzione così decisa fa da contraltare, inaspettatamente, un Trpceski dal tocco trasognato, distante dalla poetica eroica del Concerto. Il primo pensiero è stato che, di certo, un tocco così sarebbe da ascoltare in un brano di Debussy o di Chopin (sebbene nel repertorio di questo pianista macedone classe 1979 ci sia tanto Rachmaninov, Skrjabin, Prokof'ev: autori che spesso non vanno tanto per il sottile in quanto a dolcezze pianistiche): chopinano è l'attacco del primo, sospiroso intervento solistico, chopiniana è la progressione accordale che segue poco dopo (e che ricorda da vicino quella del Trio nel Terzo Scherzo Op. 39 del Polacco). Mirabili risultano pertanto la parte centrale del primo movimento e l'Adagio: in quest'ultimo, Trpceski parte come se dovesse eseguire il movimento lento di una sonata beethoveniana, per poi illanguidirsi nelle divagazioni solipsistiche, quasi notturnistiche, del resto del brano (che sembra qua e là anticipare l'Adagio assai del raveliano Concerto in sol).

Tra le due tendenze interpretative, escono vincenti le sezioni di compenetrazione solista-orchestra, dove Trpceski non prevarica e non viene prevaricato: vi è un rimando alla sperimentazione dell' Imperatore, ai Concerti di Liszt, una fusione totale di solista e orchestra in un dialogo paritario. All'epoca dell'epopea dei pianisti-compositori alla Hummel, alla Kalkbrenner, alla Thalberg, che facevano del virtuosismo la loro carta vincente, Brahms propone un lavoro sinfonico-pianistico in cui il pianoforte non mira a sovrastare l'orchestra, quanto piuttosto ad integrarsi con essa: comprensibile quindi la freddezza con cui venne accolto, nel 1859. Ma è proprio questa integrazione ad essere restituita all'ascoltatore nella lettura di Noseda-Trpceski.

Nel Rondò conclusivo, il “tono” brahmsiano, carente nei primi due movimenti, pervade anche il solista, cosa che irrobustisce a dovere il nerbo di questo muscoloso finale.

Qualche lieve nasalità di troppo nei fiati, e un gesto direttoriale non sempre essenziale e comprensibile, non turbano, ad ogni modo, la condotta dell'esecuzione, in cui rileviamo percussioni tenute sempre a bada, non martellate, e un tempo (Deo gratias) giusto in ciascun movimento.

Come se avesse esaudito un nostro personale desiderio, il primo encore di Trpceski, come da lui espressamente dichiarato (in un comprensibilissimo italiano) dedicato al compleanno del fratello, è il Valzer in la minore postumo di Chopin; del secondo, invece, nonostante la tonalità fosse sicuramente fa diesis minore o sol minore, non siamo riusciti ad identificare l'identità.

Inaspettato l'incidente della seconda parte del concerto. A poco più di due minuti dall'inizio della Prima Sinfonia Op. 68 è stato necessario interrompere l'esecuzione. «Non suona più il clarinetto» dichiara Noseda, raggiungendo fuori scena il clarinettista tra l'applauso del pubblico.

Tornato in orchestra lo strumento, si riparte da capo: ma l'attacco del primo capolavoro sinfonico di Brahms non ci ha impressionati a dovere, ancorché ascoltato due volte. Come al solito, l'eccessiva velocità è il difetto maggiore di Noseda: purtroppo, l'Un poco sostenuto in 6/8 che apre l'Op. 68 di Brahms è ingannevole – agogica e metro ricordano quelli di una barcarola, ma il contenuto è ben più drammatico –; e tra dirigerlo rallentato alla Celibidache (che si associa immediatamente a Bruckner, e possiamo solo immaginare quanto Brahms avrebbe potuto storcere il naso se un direttore bruckneriano avesse diretto una sua sinfonia!) e dirigerlo alla Bernstein ci sono innumerevoli sfumature, e ciascuno sceglie quella più convincente. Migliora entrando nel vivo dell' Allegro , dove la vitalità nosediana sospinge innanzi l'orchestra con una buona conduzione delle parti. Sorvolando sull'intervento del violino solista non troppo incisivo del secondo movimento, è forse nel terzo, Un poco allegretto e grazioso che viene reso al meglio lo spirito brahmsiano, quel tipo di cantabilità un po' rustica e sempre bonaria di molti suoi temi. È per certi versi, la Prima di Brahms, una sinfonia anomala, che rinuncia al terzo movimento in forma di Minuetto o di Scherzo, per concedersi un'ulteriore parentesi lirica, in vista del finale costruito per spunti progressivi, come se inizialmente non trovasse una strada sua, e procedesse per tentativi, lo stesso metodo costruttivo ideato da Beethoven per introdurre il finale della sua Nona. Apprezziamo la padronanza dell'orchestra durante tutto questo finale; peccato per il corale un po' troppo affrettato, che depaupera di poesia l'intero passaggio. A parte ciò, il tessuto sonoro viene mantenuto saldo durante tutta l'esecuzione; ben riuscita la poderosa conclusione, che fa scattare il meritato applauso.

All'orchestra va riconosciuto il primato degli archi, uniti nel suono e compatti nella massa sonora; imprecisi invece diversi attacchi dei fiati, in particolare del corno nel primo movimento e dell'oboe nel secondo.

Non per nulla Hans von Bülow chiamò la Prima di Brahms la “Decima” di Beethoven: e, sarà la combinazione o meno, ma vogliamo segnalare che il 7 maggio 1824 veniva eseguita per la prima volta la Nona di Beethoven, mentre esattamente nove anni dopo, il 7 maggio 1833, nasceva Brahms: chi se non lui avrebbe potuto scrivere la “Decima” di Beethoven?

Christian Speranza

29/10/2014