RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Gatti e Beethoven, terza puntata

 

Gran favore di pubblico per il concerto di giovedì 4 febbraio 2015 all'auditorium «Giovanni Agnelli» del Lingotto di Torino: in programma la Sesta e la Settima Sinfonia di Beethoven, terzo appuntamento per l'integrale delle Sinfonie dirette da Daniele Gatti alla testa della MCO, la Mahler Chamber Orchestra nata nel 1997 per volere di Claudio Abbado (i primi due, dalla Prima alla Quinta Sinfonia durante la stagione scorsa, gli ultimi due quest'anno, quello conclusivo, con l' Ottava e la Nona, il prossimo 27 maggio).

Si tratta di una produzione cruciale del compositore di Bonn. Filologicamente, abbinare la Sesta e la Settima di Beethoven non è esatto: la Sesta (in fa maggiore, Op.68) nasce assieme alla Quinta, nel 1807-08, e, con la sua cantabilità distesa, fa da contraltare alla sua ben più massiccia e drammatica sorella – e, avendo come intento la descrizione musicale dei sentimenti dell'uomo a contatto con la natura in campagna (intento esplicitato dai titoli apposti dall'autore stesso ad ogni movimento) si è guadagnata l'epiteto di “Pastorale” –; la Settima, invece (in la maggiore, Op.92), del 1811-12, del tutto diversa, è contemporanea all'Ottava. Non si poteva però fare altrimenti, se non sovvertendo l'ordine cronologico di composizione, cosa che, nell'ottica di un ciclo di concerti volti ad esaurire il catalogo sinfonico beethoveniano, non ha molto senso.

Daniele Gatti, da pochissimo direttore musicale della Royal Concertgebow Orchestra, ha condotto la MCO ad esiti di sicura resa sonora (ed emotiva) grazie ad una non comune intesa con i musicisti (gratificati da numerosi sorrisi) e da un coinvolgimento che talvolta ha trovato esternazione in qualche nota da lui stesso cantata a bassa voce. La MCO, da parte sua, si è dimostrata all'altezza del compito, dando vita ad un'esecuzione (quasi) sempre limpida, eccezion fatta per qualche scusabile affastellamento di piani sonori nello Scherzo e nel Finale della Settima. Le dimensioni contenute, poi, dieci violini primi e tre contrabbassi, riportano alle dimensioni presumibili di un'orchestra al tempo di Beethoven, altro pregio filologico da non sottovalutare.

Al giorno d'oggi, comunicare qualcosa di nuovo dirigendo un repertorio così frequentato come le Sinfonie di Beethoven è difficile. Ma Gatti vi è riuscito, per lo meno nella “Pastorale” ,e non scegliendo la via più facile. Non è ricorso, per esempio, a tempi più lenti o più veloci del normale. Ma l'avvio dolcissimo, come dal nulla, di quella quinta di viole e violoncelli, e il ritenuto poco prima della prima nota coronata (anche se non previsto in partitura) hanno perfettamente saputo dare l'idea del «Risveglio» dei sentimenti all'arrivo in campagna»: aria fresca, quiete, composta meraviglia: contemplazione. Il movimento procede con l'adeguata leggerezza, con una sonorità velata, quasi vezzeggiata e protetta. Il doveroso ritornello dell'esposizione, come da manuale (non sembra costume di Gatti, Deo gratias , espungere le ripetizioni, come a volte si fa…) e via verso lo sviluppo. Di quando in quando emergevano le trame dell'orchestrazione secondaria, soprattutto nella sezione dei corni: moderate concessioni per palesare il lavorio interno dell'orchestra, che c'è ma non deve sentirsi. Nella successiva «Scena al ruscello», il continuo mormorare dei violini secondi, compattissimo, è stato impalpabile e inafferrabile come l'acqua stessa. E sul finire del movimento, il clarinetto, imitando il cucù (piccola concessione di Beethoven ad un descrittivismo musicale di stampo settecentesco: l'imitazione di usignolo, quaglia e cucù da parte di flauto, oboe e clarinetto), con la sua accurata accentazione sulla prima nota, ha ricordato il Mahler dell'inizio del Titano. Un bravo al primo corno per l'intervento nella «Riunione di campagnoli» (formalmente lo Scherzo della Sinfonia), brano il cui caratteristico cambio di tempo nella sezione centrale, da ternario a binario (nel Trio cambia metro, come avverrà, più in grande, nella Nona ), è stato sottolineato da Gatti con notevole abilità: si percepisce tutta la robusta gaiezza contadina, rustica, sfrontata e genuina, forse un po' stereotipata, dei Trii e dei Finali delle Sinfonie di Haydn. E che impressione, dopo tre movimenti senza percussioni, l'irrompere di timpani, trombe e tromboni nella «Tempesta»! Tutta la sonorità finora velata della Sinfonia deflagra nel breve ma intenso temporale estivo, coi bassi a imitare le raffiche di vento (lo farà anche Wagner nel Fliegende Holländer) e i timpani a tirare vere bordate. Ma poi arriva, pacificante, il «Canto di ringraziamento» (che anticipa già la ,«Canzona di ringraziamento» del Quartetto Op.132) nel tempo cullante di 6/8, che riporta la serenità su una scena, potremmo immaginare, di tramonto estivo.

Nella seconda parte del concerto, una Settima più ordinaria e meno entusiasmante. Tecnicamente ineccepibile: ma la Settima va interpretata. Verso la fine dell'introduzione in Sostenuto, dove flauto e violini si rimpallano il mi per circa 60 volte, deve avvertirsi il caricamento di un'energia cinetica fatto per scaricarsi nella frenesia del Vivace : ora Gatti, questo caricamento non l'ha trasmesso. Così come è parso sotto tono anche il celebre Allegretto (l'unico movimento che piacque da subito). In proposito, si segnala che Riccardo Muti sottolineava come nella Settima non ci sia un vero e proprio tempo lento; e l' Allegrett, facendone le veci, non deve scadere in un Andante o in un Adagio; ma Gatti, qui, staccandolo alla velocità di un Allegro, gli fa perdere buona parte del dolente patetismo che ne è la cifra essenziale. Peccato per i timpani, che hanno qui coperto, più che altrove, la componente melodica del brano, accentuando più del necessario quella ritmica – in un brano dove, ad ogni buon conto, il ritmo è molto, ma non è tutto. Discorso già accennato prima per lo Scherzo della Sinfonia: buoni i contrasti dinamici, ma i corni a sovrastare la melodia è scelta di non comprensibile motivazione. Per concludere, un Finale, sì, in Allegro con brio, ma non così brioso, condotto con fin troppo raziocinio (e troppo poco cuore) non sembra turbare il pubblico, che al termine applaude entusiasta Gatti e l'orchestra.

Christian Speranza

13/2/2016