RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Con Mattia Olivieri

È un giorno alquanto piovoso ad Amsterdam. Vedo arrivare alla National Opera un giovane uomo che sembra un ragazzo, disinvolto, simpatico, senza nessun'aria particolare e tantomeno d'importanza. Se non fossimo rimasti d'accordo per quest'intervista e non conoscessi già il suo viso non avrei mai pensato di trovarmi davanti a un cantante lirico e dei più promettenti tra le nuove generazioni. Ma so che il giorno dopo, quanto canterà il Silvio di Pagliacci sul palcoscenico, lo vedrò forse uguale ma con in più quel carisma che si fa evidente dal momento in cui calca la scena. Un peccato che non si possa trasmettere sulla pagina contemporaneamente la voce, così timbrata e alta quando parla. Generosissimo poi con il suo tempo… ma veniamo al dunque...

Signor Olivieri, Lei ha già rilasciato alcune interviste. Inevitabile ripetersi ma vorrei ancora insistere sul fatto che Lei non sembrava in principio destinato a una carriera nel mondo lirico. Possiamo fare un piccolo riassunto?

Praticamente cantavo il pop italiano all'inizio, sembravo indirizzato piuttosto verso questa carriera. Poi sono subentrati diversi problemi, per esempio quelli di tipo economico. Con Internet appena uscito e la concorrenza di Youtube le case discografiche non riuscivano più a pagare per un CD e ci si doveva praticamente autoprodurre per fare un single; se poi le cose non andavano bene ci si ritrovava con niente in tasca e per una famiglia modesta come la mia la cosa diventava insostenibile. E non era ancora in uso la pratica di presentarsi a una trasmissione di quelle che consentono ai giovani talenti di farsi sentire. Eravamo in un limbo in quell'epoca e forse era destino che così fosse. Un signore di una casa discografica è stato molto chiaro e mi ha suggerito di studiare la musica per scrivermi le mie canzoni, perché così le cose sarebbero forse state più facili o comunque diverse. Allora sono entrato in Conservatorio per studiare canto e anche per potermi scrivere da solo delle canzoni. I primi due anni è stata veramente dura perché non capivo cosa c'entrassi io con tutti quei ragazzi che urlavano. Poi è stata la pianista del corso, Renata Nemola, che tutt'ora mi segue, a dirmi che avevo le qualità vocali e fisiche, anche se ancora non avevo la tecnica del canto impostato. Così mi portò a vedere una recita de Il Barbiere di Siviglia alla Scala. Io non avevo mai visto un'opera ma da lì ho deciso che era proprio questo che volevo fare, il mio mestiere. Ho subito capito che in questo campo doveva ancora esistere la meritocrazia perché chiaramente in teatro, davanti a duemila persone, ci sei tu con la tua voce, senza microfono, senza autotune come invece succede nella musica leggera; sei totalmente scoperto e quindi, nella mia testa, senza avere la “giustificazione” di un aiuto di tipo tecnologico, era più facile pensare di arrivare dove volevo, unicamente con il lavoro e lo studio...

E quel genere di musica le è piaciuta subito?

Non subito, onestamente, perché al Conservatorio s'inizia ovviamente con delle arie antiche, il Vaccai, per le quali non mi trovavo molto portato. Avevo certamente ascoltato le orchestre, ma il loro suono combinato insieme con la voce per me era una cosa del tutto nuova e ne son rimasto colpito (poi Barbiere è bellissimo, e siccome è un'opera buffa e c'è un mondo da rendere in scena è stata la scelta giusta; fosse stata un'opera più difficile non so se mi sarei deciso). Mi spiego: oggi adoro Wagner e sogno di misurarmi con Wolfram, ma adesso conosco i diversi linguaggi dell'opera ed è differente l'approccio; con la maturità si apprezza tutto e sono sicurissimo che questo sia il mio mestiere.

Lei accennava prima a una famiglia modesta. Come mai è arrivato alla musica? Mi pare di aver letto da qualche parte che è stata sua madre a indirizzarla verso quest'arte.

Mia madre in effetti voleva che studiassi (non solo io, anche mio fratello) la musica perché lei veniva da una famiglia di contadini di montagna in cui quando è nata non c'erano neanche le strade ed erano tanti figli... mi raccontava sempre che avrebbe voluto tanto suonare la chitarra e cantare, ma chiaramente se si comincia a lavorare a dodici anni dopo la scuola dell'obbligo questo non si può fare. Certamente lei e mio padre poi non ci hanno mai fatto mancare nulla ma la passione per la musica viene da lei. Ha cercato di farci studiare ogni sorta di strumento, ma non andò tanto bene perché suonare non è che mi piacesse troppo. Invece con il canto ho trovato la mia strada. Devo dire che anche mio fratello è intonato e canta bene ma aveva più passione per le auto (ride) e adesso è diventato ingegnere meccanico...

E poi com'è continuata l'avventura?

Ho seguito per un po' il Conservatorio e ho deciso poi di prendere un maestro esterno finché non ho trovato il mio attuale insegnante, Maurizio Leoni, anch'esso baritono e ancora in carriera; e talvolta mi appoggio anche a un altro maestro a Milano, Roberto Coviello – persona squisita che ho trovato grazie al mio agente; se devo provare un nuovo ruolo è essenziale l'apporto di un orecchio esterno.

E parlando di orecchie esterne e no, lei ha scoperto subito che la sua era una voce di baritono? Lo chiedo perché cantanti importanti non sempre sono riusciti a individuare al primo istante la loro specificità vocale...

Certo. Tutti mi hanno detto sempre che ero un baritono. Molto chiaro all'inizio, brillante. Ovviamente si va in giro, si sentono tante voci e cerchi di capire più esattamente, ma avevo ben chiaro che non avevo niente a che fare con il registro di tenore, mentre questo mi è sempre risultato comodo: non forzando nulla, provando molto, facendo dei piccoli passi in avanti, anche come repertorio...

La voce è cambiata dagli inizi?

Tanto. Io ho seguito due Accademie: quella di Bologna e il Centro di Perfezionamento di Valencia Plácido Domingo e ricordo che particolarmente nella prima gli insegnanti – anche cantanti famosi che venivano a fare una masterclass – mi dicevano che davo troppo, perché quando incominci forse sei insicuro, hai paura che non ti si senta. Suppongo che sia un percorso che tutti fanno e devi provare su tu stesso quando devi sottrarre e quando invece fare di più. E lo puoi fare provandolo sulla tua pelle; te lo possono dire, ma sei tu che devi capirlo dentro di te. Non si tratta di cose immediate e devi riuscire ad avere coscienza di quello che stai facendo: quanto senti tu, in ogni caso, non è sempre ciò che sentono gli altri.

La voce del baritono Olivieri piace a Mattia?

Sicuramente non sono uno che ama riascoltarsi, anche perché essendo pignolo cancellerei tutto. Si studia, ci si corregge. Quando canto mi piace, e mi rendo conto che riesco a fare certe cose che adesso sono in grado di fare. I maestri siamo noi stessi. Si può cambiare dall'interno. Ho maturato tanti miglioramenti sia personalmente che con la pianista, e anche con il mio maestro. Io sono riuscito a cambiare e a modificare cose di me stesso studiando, provando, cercando, ascoltando qualcuno…

“Ascoltando qualcuno”. Chi e come, per esempio?

Dischi e soprattutto da Internet, Youtube, perché lì si vede come fanno, quale posizione scelgono, come risolvevano il passaggio. Si può anche imparare tanto con l'imitazione... poi devi trovare la tua strada ma da qualche parte bisogna cominciare. Io di solito imparo un ruolo e ascolto come facevano i vari interpreti. Lo facevo molto quando non ero sicuro di come affrontare gli acuti e dovevo darmi da fare. Al Festival della Valle d'Itria, per esempio, mi hanno scritturato per cantare il ciclo di Mahler Das Knaben Wunderhorn, che copre una tessitura dal grave all'acuto, quant'è difficile. A quell'epoca ero un ragazzo, con due settimane per prepararlo e tecnicamente non ero perfetto, diciamo. Il mio Maestro era lontano e ho pensato subito a Fischer-Dieskau, per avere delle idee, per il fraseggio, volevo capire come risolveva lui certi problemi. Così sono riuscito a trovare gli acuti più liberi da solo… fermavo il video e ripetevo imitando.

Lei si augura che l'insegnamento nei conservatori cambi…

Nel senso che per un cantante un'ora la settimana è davvero troppo poco. Io ho fatto passi da gigante quando ho incominciato a studiare tre volte alla settimana, per sei mesi. È un canto che non è naturale: c'è una tecnica di respirazione particolare, si tratta di proiettare la voce, non è una canzonetta. Quando si fa lezione tutti insieme magari qualcuno resta ad ascoltare gli altri (io lo facevo); dipende da cosa vuoi tu perché io volevo, ad esempio, capire come facevano altri visto che ognuno è diverso. Non è poi che quando studi vai anche dal pianista per esercitarti. Sono soldi che escono e sei un ragazzino. Io ho cercato di non pesare sui miei, lavoravo e ho fatto un po' di tutto (ceramica, postino, corriere, andavo da Bologna a Modena tutto il giorno con un furgone... bisogna arrangiarsi). Sono contento di quello che ho fatto perché ho saputo cosa vuol dire il lavoro in generale... Basti pensare alla lavorazione della ceramica d'estate, dove sudi da matto e poi respiri polvere. Tutto serve per farti capire com'è la vita: non c'è solo il canto nella vita... Noi siamo fortunati ad avere questo mestiere ma bisogna ricordarsi del resto. Forse queste esperienze mi sono state utili anche per approfondire il canto; nell'opera ci sono tanti personaggi normali, non è che si impersoni sempre in scena il re di Castiglia (ci arrivi con l'aiuto del regista e con la tua fantasia). In teoria per me dovrebbe essere più facile interpretare il contadino, dato che ho vissuto in campagna dieci anni e mi prendevo cura degli animali (ride). Portare in scena un personaggio dipende soprattutto dalla sensibilità di ognuno di noi. Ognuno ha la sua idea interpretativa. Per esempio, in un anno ho fatto tre produzioni di Favorite, in due delle quali c'era un doppio cast, e quindi due re di Castiglia. È molto interessante vedere come l'interprete approccia il personaggio: per me Alphonse è una persona profondamente innamorata anche se ha l'orgoglio regale, l'appartenenza a una classe (penso alla scena del terzo atto dove comunque lui sta dando la sua donna al rivale). Un re romantico. Per gli altri interpreti era magari soprattutto serio. Io lo sentivo profondamente malinconico, costretto alle sue scelte da diversi stimoli e doveri. E il bello per il pubblico è appunto questo di avere interpreti differenti …

Lei ha per un ruolo, o in generale, una voce baritonale – o più – di riferimento?

Molte. Uno che adoro particolarmente è Cappuccilli per l'eleganza della linea di canto e la padronanza della tecnica; e poi non è mai volgare. La via è quella; poi può darsi che perché lo vuole il regista, il maestro o per la stessa voglia di fare qualcosa per il personaggio si vada un po' sopra le righe, ma è quello il modo di cantare che piace a me. Senti la sua incisione del Conte di Luna e tutto sembra facile mentre “Il balen” è un'aria spaventosamente difficile se la canti come l'ha scritta Verdi, con tutti i piani. Ci vogliono dei polmoni di acciaio, e nel suo canto non si avverte mai lo sforzo; tutto pare naturale. Dipende anche dai ruoli. E poi mi piace tantissimo il velluto di Bruson quando canta Macbeth e i grandi ruoli verdiani e donizettiani.

Lei ha fatto la sua carriera ancora secondo il vecchio stile della gavetta per un po' di anni prima di arrivare a parti importanti in teatri di primissimo livello. Ritiene che sia la strada giusta anche se adesso per Lei pare definitivamente superata?

È servito tantissimo. Se oggi mi sento scaltro in scena, e me lo dicono, è per tutta l'esperienza acquisita che ti permette di misurare come e quanto devi fare (e questo lo puoi provare più se fai il Barone de La Traviata e non con un grande ruolo). Poi anche facendo dei piccoli ruoli puoi cantare accanto a artisti importanti, una cosa che è anche un'opportunità unica e un piacere. E da un piccolo ruolo preparato in fretta per salvare una situazione di emergenza può arrivarne poi uno più importante, perché i teatri normalmente tengono presente che hai fatto loro una cortesia. Ed è anche una bella sfida perché devi imparare il ruolo in un giorno, poi magari hai una prova di regia e vai sul palcoscenico...

Questo vuol dire che Lei fa presto a imparare...

Direi che ho questo vantaggio; sono piuttosto veloce e questo è un plus. Anche con il testo, mai avuto un problema di memoria (strano, perché nella mia vita normale non ricordo nulla... ride). Quando un ruolo lo studio una volta è difficile che lo dimentichi anche a distanza di anni: mi è capitato proprio con questo Silvio che canto adesso per la prima volta ma l'avevo studiato cinque o sei anni fa, poi è venuto il debutto in Don Giovanni e non se ne è fatto nulla: alla prima prova con il pianista ricordavo praticamente tutto.

Quando Lei prepara un ruolo nuovo, sia o no in fretta, come fa? Cosa viene per primo o è più importante per Lei?

Adesso che ho una cultura più ampia e so più o meno com'è il personaggio le cose sono un po' cambiate. Un tempo studiavo prima ciò che mi diceva il pianista o il maestro perché loro mi conoscevano bene o forse meglio di me stesso. Mi fidavo, come mi fido tuttora quasi ciecamente, di tre o quattro persone, tra cui il mio agente, Luca Targetti. Non prendo mai una registrazione finché non ho imparato a memoria il personaggio. Poi magari sì, per vedere altre idee o soluzioni. Contemporaneamente penso alla situazione scenica perché questo mi aiuta a trovare colori. Magari poi regista e maestro mi chiedono una cosa diversa da quella che proponevo io, ma così va bene perché dobbiamo essere preparati a modificare, essere versatili, aperti, cambiare in un attimo; proprio questo trovo che sia il bello del nostro mestiere, sempre con la nostra sensibilità come dicevo prima; siamo sempre lí.

Ma può capitare che qualcuno chieda delle cose che per lei non vanno con il personaggio, con la musica o che lei ritiene di non poter fare...

Allora... Io intanto parto dal presupposto che niente non si possa fare e quindi provo a fare tutto, dal punto di vista registico o musicale. Se poi non ce la faccio ne parlo perché ovviamente per il bene dello spettacolo bisogna trovare un compromesso, un equilibrio, una via di mezzo. Ma io cerco di fare tutto un po' perché sono testardo e mi piace fare una cosa a cui prima non avevo pensato e che non è nelle mie corde. Mi piacciono le sfide: prendiamo Dandini, che sette anni fa non volevo assolutamente fare perché mi preoccupavano le agilità. Due anni fa però ho avuto un cambio nella mia testa e mi son detto che prima di dire no bisogna provarci. Magari poi si valuta che quel ruolo non fa per te, ma così non è stato per Dandini, che era come avere un grosso scoglio, un muro davanti a me. Forse non sarò ricordato come il miglior Dandini, ma io ho fatto del mio meglio, sono contento del risultato e devo dire che ho avuto anche delle critiche molto positive...

Una delle ragioni di quest'intervista è appunto il suo Dandini scaligero, o il re delle varie Favorite. Lei si sente più a suo agio in un autore, un repertorio?

A me piace tutto, mi sento molto bene, forse la mia voce me lo permette. Prendiamo il canto da camera, per esempio. Non è per me una cosa marginale, anche se obiettivamente faccio molto di più opera. Succedeva anche a Bologna: dovevi imparare dei Lieder, o veniva uno specialista per una masterclass e dovevi preparare qualcosa. Dipende da dove si parte. E ricordo a Valencia quando è arrivato il noto specialista Roger Vignoles (grande pianista accompagnatore) e mi ha accompagnato in Ravel, Schumann e Schubert ed è rimasto molto soddisfatto. Ma la verità è che quando ha messo le mani sul pianoforte è cambiato il mio canto. Era un tutt'uno, ci dev'essere una bella alchimia. Siete voi due, nudi, e quindi devi emozionare con la sola musica. Forse anche più difficile dell'opera. Sei nudo, non c'è scena, non c'è un'orchestra che copra alcune magagne o magagnette, forse si guarda meno il dettaglio. Ciò detto, ora come ora, la mia è una carriera fondamentalmente operistica.

Mi sembra di vedere sempre meno cantanti italiani fuori dall'Italia o dall'Europa e in particolare nel mondo anglosassone. Sbaglio?

Non saprei dire sinceramente. Io per esempio non ho cantato ancora a Parigi, Vienna, Berlino mentre l'ho fatto in Spagna (Valencia e Barcellona), in Italia (Milano, Firenze, due teatri dove ritorno spesso, tra altri posti), a Monaco di Baviera, ad Amsterdam e in Sudamerica (Brasile) E prossimamente a Bruxelles, A Londra e in America del Nord (Houston). Non so. Forse non si dovrebbe scegliere un cantante in un'audizione ma ascoltato dal vivo in una recita: si vede se passa l'orchestra, come si muove...

Cosa prevede in quanto a sviluppo della sua carriera? Stili, autori, epoche, scuole...

Io non mi pongo limiti di lingue, per esempio. Al limite puoi imparare a cantare senza parlare la lingua, come fanno anche altri colleghi con le lingue difficili per un italiano (tedesco, russo, per esempio). D'altra parte, non c'è nulla che non vorrei tornare a fare di quel che ho già fatto. Mozart mi piacerebbe tenerlo sempre in repertorio. Fra qualche anno naturalmente Guglielmo non mi starà così bene per il fisico, non per la voce, ma Don Giovanni e il Conte posso cantarli sempre. Ad ogni modo io trovo che oggi siamo in tantissimi e che il livello è salito, nel senso che prima c'erano i divi, le star, ma il divario con il resto era forte. Adesso credo che ci sia complessivamente un maggior numero di cantanti bravi...

Lei aveva parlato qualche volta anche dei ruoli per i quali non si pensa così spontaneamente a dei cantanti mediterranei...

Senz'altro. Mi piacerebbe tanto fare Billy Budd, un'opera e un ruolo bellissimi. Adoro Britten, anche se è così difficile. Anche Peter Grimes, anche se Balstrode non è così importante. E un sogno sarebbe il protagonista dell'Onegin...

Repertorio francese?

Pescatori di perle, il Valentin del Faust... Ci sono tante opere in francese, che poi mi piace tanto proprio come lingua e trovo che sia di aiuto per il canto. Non so, sono cose che vengono naturali anche se non sei di madrelingua; è sicuro che alla base dev'esserci lo studio, ma non è solo lo studio che me lo fa diventare facile: i ruoli in francese sono più nella mia gola che quelli di altre lingue. Ci sono delle amiche francesi che mi chiedono come faccia a legare i suoni talvolta meglio di un francese nativo.

E Offenbach? Lei ha già fatto qualcosa in passato. Io vedrei benissimo una ripresa di Madame Favart, che è un lavoro importante e piuttosto sconosciuto, con la signora Simeoni e lei?

È bello non fermarsi su un solo autore, un solo periodo. In questo senso, per come sono io, io amo far tutto, mi sento aperto per fare diversi tipi di repertorio. Ciò detto, non è che si possa fare tutto e ci sono dei ruoli che ti capitano anche per caso...

Pensa sempre che volere è potere?

Assolutamente. Questo è un mio mantra. Sono convinto che se vuoi fare una cosa, con il lavoro e lo studio ci arrivi.

Glielo chiedo perchè per un baritono, italiano o no che sia, Verdi è un traguardo importante

Certamente! È nei mie progetti. Canto già il Ford del Falstaff anche se è un modo di canto diverso rispetto al Verdi classico. Chiaramente è un punto di arrivo. Ci sto pensando, qualche cosa probabilmente arriverà anche non troppo in là... Grazie alla Favorite soprattutto ho capito che la voce guarda in quella direzione, perché non si tratta di poter o non cantare un ruolo di Verdi ma di farlo con comodità, di sentire che corre libera...

La sua voce si è evoluta anche se è ancora soprattutto quella di un baritono brillante, nobile...

La prima delle Favorite è stato uno spartiacque. Anche se avevo già un contratto per Barcellona ho dovuto studiarlo in otto giorni per Firenze e fare subito le prove; non mi aspettavo che le cose venissero così bene. È un ruolo di quelli che prendi, li studi, li molli durante anni e poi ci ritorni e invece... Con Dandini, che non è normalmente nelle mie corde, ho fatto così, ho iniziato un anno e passa prima, per forza, perché altrimenti in dieci giorni non ce l'avrei fatta. Invece con quel Donizetti è capitato il contrario... Per il Conte di Luna spero essere pronto in un paio d'anni. Ho studiato quasi tutto il ruolo e quando esco dallo studio mi sento la voce in maschera, alta e risuona più di quando sono entrato perché credo appunto che vada in quella direzione...

E in quella di Ernani ....

Io degli acuti non ho paura, non è che mi creino dei grossi problemi. Se mai talvolta mi preoccupano alcune note gravi. Quel la di passaggio ne I puritani, per esempio. Non sarà difficile ma per me è stato una fissazione. Bellini purtroppo non mi è ancora capitato tranne qualche brano in concerto (ero felicissimo di poter debuttare Filippo Visconti nella Beatrice di Tenda ma purtroppo il titolo è stato cancellato …). L'anno scorso ho cantato in Giappone il duetto di Puritani con il basso e mi son trovato bene. L'aria tanti anni fa la trovavo un po'difficile, ma è vero che si matura e le cose di una volta ora vengono più facili, e comunque in altro modo: al debutto avevo 23 anni; ora ne ho 35. Qualche cosa sarà passata, cambiata…

C'è la vita che passa anche...

Assolutamente. Io credo che Verdi sarà una conseguenza naturale del mio percorso. Anche per il Rodrigo del Don Carlos (sono andato a vedere pochi giorni fa una recita della versione in francese ad Anversa) sento che sono piuttosto preparato.

Lei che è così sciolto sul palcoscenico ha seguito corsi di teatro o come ha fatto?

Quando avevo tempo libero (non più) andavo spesso a vedere spettacoli teatrali. A parte qualche piccolo corso, quel che faccio e sono in scena è frutto del mio lavoro con i registi, anche se quando ero giovane io ero piuttosto esuberante sul palcoscenico; mettevo troppo. Ma ai registi piaceva o piace perché dal troppo puoi togliere; invece se si tratta del caso contrario... Non ho mai avuto paura di osare tutto sul palcoscenico; in particolare durante le prove puoi esagerare per poi pulire e arrivare al personaggio; si deve cercar di vedere l'effetto di un gesto, di un movimento, di una battuta...

Io ricordo un Malatesta alla Scala particolarmente iperattivo...

Totalmente iperattivo perché Livermore, il regista, lo vedeva come il factotum, una specie di Mastroianni che faceva una e ne pensava mille. Io sono uno che ama particolarmente questo tipo di allestimenti perché non mi piace troppo essere passivo in scena, star fermo lì e canti. Poi magari fai un altro Malatesta che è esattamente il contrario perché dipende dal regista, e questo per me è molto interessante.

E quando Le dicono di sembrare Mastroianni, lei va a guardarsi qualche film del grande Marcello?

Sì, perché poi fra l'altro posso vedere un film e non ricordarlo finché non incomincia, poi quando lo vedo invece si, quasi scena per scena (tutta la commedia italiana e i film di Totò). Ho già parlato della mia scarsa memoria nella vita quotidiana. Sono fatto così, i Gemelli sono un po' di aria e poi mi sento molto più giovane dell'età che ho. All'epoca di Verdi un Germont padre poteva avere 35/40 anni, ma nella mia testa mi manca ancora qualcosa per fare questi ruoli; non mi sento padre e forse farei un Germont giovanile (anche se è il ruolo forse più comodo tra i più noti di Verdi, ma devo aspettare). Ci ho provato a Parma col pianoforte, tutto il ruolo, con i ragazzi dell'Accademia... le note c'erano tutte ma mancava la maturità (non è che sia cattivo, pensa alla figlia e all'opinione pubblica). Duetto, le frasi della fine, l'intervento al terz'atto fanno sì che non sia un personaggio squallido.

Personaggi cattivi?

Adoro i cattivi ma non ne ho fatti ancora. Aspetti… il don Giovanni forse, ma non lo reputo cattivo; nella mia idea l'uccisione del Commendatore è arrivata così, perché devi sopravvivere. Ma non vedo l'ora di fare un personaggio cattivo (Scarpia, per esempio).

Rapporti con i colleghi?

Ottimi, anche perché amo scherzare con tutti, e generalmente c'è un bel clima al lavoro

Tempo libero, anche se ha già detto che molto non ne ha?

Purtroppo con questa professione... Ma siccome sono sempre i giro e visito città splendide, già una passeggiata per una di queste è qualcosa di molto bello, poi visitare i musei, vedere le mostre, qualsiasi cosa insomma... Per esempio qui ad Amsterdam sono andato due volte ai concerti del Concertgebouw. Purtroppo questa volta non mi è stato possibile per via delle mie recite di assistere a qualche spettacolo di balletto, che qui è molto importante. Peccato perché mi sarebbe piaciuto e non è che non ci vada per riposarmi il giorno prima di una recita; posso uscire ma per esempio non a sentire musica o vedere qualcosa che mi agiti… poi il giorno dopo non sarei abbastanza tranquillo...

Agenda futura?

Parecchio piena... ruoli nuovi e quindi prove che sono più faticose mentalmente perché è molto diverso se riprendi un personaggio che hai già fatto e conosci, anche se cambia tutto.

Alcuni cantanti mi hanno detto quando si finisce un'intervista che mai nessuno chiede loro le cose che vorrebbero dire... Mattia Olivieri, vuole aggiungere qualcosa anche se ho forse abusato del suo tempo?

Abusato per nulla! Per me questa chiacchierata è stata un vero piacere. Cosa vorrei dire ancora… Mah ... Non so... Mi piacerebbe ribadire quanto sono felice di poter fare questo mestiere. Si dovrebbe vivere con gioia per la fortuna di farlo. Io sempre ho pensato e penso in modo positivo. Nella vita se qualcosa deve o doveva succedere succederà, altrimenti bisogna guardare avanti. Ci sarà un momento per tutto. Tutto arriverà. Delle cose non vanno in porto per il timing o magari mi chiama un teatro quando sono già impegnato. Qualche volta ci vuole un colpo di fortuna.

Ci sarà sicuramente, come sicuramente c'è già stato. Grazie mille della disponibilità, signor Olivieri, e ancora auguri.

Jorge Binaghi

18/10/2019