RECENSIONI
-

_ HOMEPAGE_ | _CHI_SIAMO_ | _LIRICA_ | _PROSA_ | _RECENSIONI_| CONCERTI | BALLETTI_|_LINKS_| CONTATTI

direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Un Tristano (in) borghese

«Le prime battute risuonarono con eccezionale, tormentosa lentezza; pause angosciosamente lunghe s'intercalavano tra una frase e l'altra. Il motivo del desiderio, solitaria e smarrita voce notturna, fece udire sommesso la sua ansiosa interrogazione. Un silenzio, un'attesa. Ed ecco, veniva la risposta: lo stesso motivo sbigottito e sperduto, ma più chiaro, più dolce. Una nuova pausa. E poi – con quella meravigliosa intensità soffocata che è come un balzar su, un felice esasperarsi della passione – echeggiò il motivo dell'amore, salì verso l'alto, si innalzò estatico fino alla dolcezza dell'amplesso, ricadde sciogliendosi… e con un cantar profondo, greve di doloroso gaudio, subentrarono i violoncelli a sviluppare la melodia». Così Thomas Mann, nel suo Tristano (1903, trad. di Emilio Castellani per Mondadori), descrive l'inizio del Preludio del Tristan und Isolde di Wagner, opera (o meglio «azione in tre atti», citando Wagner stesso) che, composta tra il 1854 e il 1859, approdò per la prima volta su un palcoscenico il 10 giugno 1865 dopo quaranta letture d'orchestra del povero Hans von Bülow, alle prese con una partitura smisurata e quanto mai ostica. E che palcoscenico: quello del Teatro Nazionale di Monaco, alla presenza del re Ludwig II di Baviera, il monarca talmente infiammato dalla musica di Wagner, da ricreare nel suo castello di Neuschwanstein le scenografie delle opere del suo protetto (con tanto di finto ingresso alla grotta di Venere del Tannhäuser!). Questa enigmatica partitura (con tutto il seguito di suggestioni e languide atmosfere oniriche notturne che ha ispirato – si veda Il convitato delle ultime feste di Auguste de Villiers de L'isle-Adam) è potuta approdare sulle scene solo grazie allo sforzo congiunto di questi due visionari. E, ancora una volta, motore di tutto, com'è noto, fu l'amore. Amore di Ludwig II per quel curioso personaggio di nome Richard Wagner, certo; ma anche amore di Wagner per una certa Agnes/Mathilde Luckemeyer, moglie del banchiere Otto Wesendonck (il suo migliore amico!), il quale, dal 1850 in avanti, diede asilo a lui e alla di lui moglie Minna in un cottage poco distante da Villa Wesendonck, presso Zurigo, dove Wagner poté proseguire la stesura della Tetralogia, fino a metà del II atto del Siegfried. A quel punto, l'amore tra Richard e Mathilde divampò, pur occultato, per quanto possibile, agli occhi dei rispettivi coniugi e alimentato da lettere e biglietti non poco compromettenti. Ora, nelle frequenti scappatelle di Wagner, Minna figura un po' come Gemma Donati nella vita di Dante: sempre presente, mai citata in causa. Ma quando Minna riuscì a mostrare a Otto le ardenti lettere di Richard indirizzate a Mathilde, le cose cambiarono. L'amicizia tra i due si ruppe e Richard andò a passare sette mesi di totale isolamento a Venezia, dove, nel 1857, terminò il II atto del Tristan und Isolde (l'opera verrà terminata definitivamente a Lucerna nel 1859) . La passione tenuta necessariamente segreta, soffocata, tra Mathilde e Wagner diede a quest'ultimo l'ispirazione per un lavoro nel quale sublimare il tumulto sentimentale di quell'ultimo periodo (e con un linguaggio musicale innovativo, che per certi versi rimarrà un hapax anche nella stessa produzione wagneriana). Nulla di meglio, quindi, che affondare nel poema medievale di Goffredo di Strasburgo in cui il cavaliere Tristano, dovendo consegnare a suo zio Marke, re di Cornovaglia, Isotta, principessa d'Irlanda, data in sposa quale pagamento di un pesante e ingiusto tributo tra i due Stati (Bella gerant alii, tu, felix Austra, nube), si innamora, ad opera di un filtro magico, della suddetta Isotta. I due, costretti a vedersi solo di notte, al riparo da sguardi indiscreti, vengono traditi da Melot, cavaliere di Marke e migliore amico di Tristano (quali coincidenze!). Un breve duello; Tristano, ferito da Melot, ripara nel castello diroccato di Kareol, sua terra natale. Si trascina nella sua agonia fisica e morale (prefigurazione del futuro Amfortas?), finché una nave all'orizzonte non gli riporta la sua amata Isotta, accorsa in suo aiuto. Ma a quel punto sopravviene la morte di Tristano e la conseguente morte di Isotta per amore (il famoso Liebestod): finalmente riuniti, finalmente annullata quella tensione che li faceva vivere solo per reincontrarsi, i due amanti possono morire insieme, a suggello di un amore che, nato sotto maligna stella, trova il suo compimento e la sua risoluzione nella sua autodistruzione. Qualcosa di simile era già capitato nel finale del Fliegende Holländer, circa quindici anni prima. Ma qui assume connotazioni eminentemente biografiche, oltre che filosofiche, richiamandosi al concetto di vivere come «morire perennemente trattenuto» che Wagner scopre proprio in quegli anni nel pensiero di Schopenhauer.

In scena dal 10 al 22 ottobre 2017 al Teatro Regio di Torino, il Tristan und Isolde nella regia di Claus Guth, già allestito all'Opernhaus di Zurigo ma presentato in Italia per la prima volta, intende sottolineare proprio la componente biografica: nessun ponte di nave, nessun castello diroccato, ma una villa altoborghese di metà Ottocento, con costumi dell'epoca (poco credibili le abat-jour e le applique elettriche, contando che la lampadina fu brevettata nel 1878…): villa Wesendonck con gli alter-ego Tristano-Richard, Isotta-Mathilde, Marke-Otto (e Melot-Minna?)? Interpretazione accattivante, originale e non scontata, contando soprattutto che, con buona pace di Wagner che sottotitola il suo lavoro Handlung, «azione», di azione sulla scena ce n'è ben poca (è quasi tutta psicologia interna, resa fenomeno acustico-musicale), cosa che rende difficile ai registi «far fare qualcosa» ai cantanti. Interessante anche il dualismo Isotta-Brangania, dapprima vestite identiche e, durante le furiose invettive di Isotta del I atto contro Tristano e la Cornovaglia, caratterizzate da uguali movenze, quasi che lo sdegno della principessa trovasse adeguato riflesso nella fedele ancella, e poi antitetiche, nel II atto, una in bianco, Isotta, una in nero, Brangania, a rimarcare, a giudizio dello scrivente, l'opposizione giorno-notte sulla quale tante volte torna il libretto wagneriano durante il lungo duetto d'amore, laddove il bianco (luce-giorno) è assegnato a Isotta, che vive realmente di notte, libera di amare Tristano, e il nero (oscurità-notte) a Brangania, che mette in guardia Isotta al sopraggiungere dell'alba.

La direzione di Noseda (con riferimento alla recita di martedì 17), alla testa dell'Orchestra del Teatro Regio di Torino, si dimostra decisamente adeguata. I tempi sono «wagnerianamente» lenti, là ove occorre (Preludi al I e III atto, assolo del corno inglese, ecc.), con ampia profondità di suono, ma sanno all'occorrenza rendersi tumultuosi a seguire l'andamento psicologico dei personaggi, come nel I atto, che, con la sua ora abbondante rischia di risultare tedioso, se non sorretto da una direzione vigorosa (e non per forza veloce!) e che qui invece è filato senza mai calare di tensione drammatica. Non di rado, tuttavia, l'orchestra prevarica le voci, rendendole inudibili, peccato forse meno grave qui che non nella direzione di opere italiane, vista, in Wagner, l'eguale importanza delle voci e dell'orchestra (anzi, a volte la superiore importanza di quest'ultima, che si fa, con i Leitmotiven, portavoce empatica dei personaggi), ma nondimeno non così auspicabile.

Nasale e a tratti con segni di stanchezza la voce di Stefan Vinke (Tristano), che, seppur tenore eroico wagneriano di lungo corso, mostra caratteristiche vocali differenti da Peter Seiffert, altro interprete chiamato qui a Torino e anch'egli tenore eroico wagneriano, dove i (lievi) cedimenti sono sopravvenuti solo alla lunga tirata delirante a inizio III atto e solo alla prova generale (e sostenere quattro recite in dodici giorni non è impresa facile…). Convincente nel registro medio ma poco incline agli acuti, che vengono come sparati senza controllo come pirotecniche follie, per quanto riguarda Rachel Nicholls, a suo agio nel repertorio bachiano e beethoveniano. Migliore Ricarda Merbeth, che, cantando abitualmente un ampio repertorio di Wagner, ma anche di Strauss e Berg, dimostra maggior dimestichezza e controllo vocale anche in monologhi lunghi e impegnativi quali quelli di Isotta. Per contro, hanno trovato ottimo riscontro Steven Humes (Marke), Martin Gantner (Kurwenal) e Michelle Breedt (Brangania). Il primo, nel suo cappotto con colletto di pelliccia, comunica la giusta gravitas del suo personaggio, sorretta da una voce di tutto rispetto, sebbene non troppo profonda per essere un basso (non che qui sia richiesto un basso profondo, ma un po' più di cassa armonica non sarebbe guastata, vista l'alta offensione che incorre al Re Marke). Il secondo porta un vivace guizzo di ironia e simpatia in un'opera costituita interamente da personalità granitiche (come in quasi tutto Wagner, ça va sans dire), grazie alla sua confidenza col palcoscenico e le doti di attore. Notevole la terza, vera coprotagonista partecipe della vicenda, che ricopre il ruolo con sostenuta autorevolezza, dimostrando spiccata personalità anche vocalmente. Completano il cast Jan Vací k (Melot), Joshua Sanders (un Pastore), Franco Rizzo/Giuseppe Capoferri (un Timoniere) e Patrick Reiter (un Marinaio).

Christian Speranza

23/10/2017

Le foto del servizio sono di Ramella & Giannese - Edoardo Piva.