RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

La donna serpente

al Regio di Torino

Finalmente i palinsesti dei teatri italiani iniziano a essere più variegati e non rifugiarsi nei soliti titoli di repertorio con la scusa che il pubblico evita proposte diverse. In questo mese abbiamo avuto tre proposte molto interessanti di rara esecuzione: La cena delle beffe di Umberto Giordano alla Scala (di cui abbiamo parlato in precedenza), La campana sommersa di Ottorino Respighi a Cagliari e ora La donna serpente di Alfredo Casella al Teatro Regio di Torino.

Penso che questa premessa sia doverosa poiché l'abituale frequentatore del teatro d'opera ha oggigiorno poche alternative rispetto ai titoli proposti, soprattutto di autori italiani, dei quali soliti compaiono solo ed esclusivamente i titoli più conosciuti, gli altri vengono collocati nell'oblio ad eccezione di alcuni festival. È dunque molto indicativa la proposta del Teatro Regio di Torino di allestire l'opera del proprio concittadino, la quale è rappresentata per la prima volta nel teatro torinese, e parallelamente è stato organizzato un festival dedicato al compositore. Inoltre La donna serpente si può considerare come l'unica vera e propria opera lirica di Casella poiché le altre sono un'opera da camera, un mistero in un atto e alcuni balletti. Peculiarità che il musicista, già affermato pianista e compositore di spartiti da camera, si sia avvicinato all'opera lirica solo dopo i cinquant'anni d'età. In effetti, la domanda era quale stile affrontare e come porsi nel teatro lirico dopo musicisti come Verdi, Puccini, Wagner e Strauss? Casella sceglie una strada non definita pur avendo ben chiaro che era doveroso scartare il verismo e il drammatico wagneriano, e questo avviene nel periodo della sua piena maturità artistica. Nello scegliere una fiaba teatrale di Carlo Gozzi, il compositore volle “romanzare” l'intrinseca natura antirealista del melodramma forgiando un genere che in Italia era stato spesso ignorato, ovvero il fiabesco. La drammaturgia è caratterizzata da varietà e velocità. Le componenti teatrali sono la commistione tra il tagico e il comico, quest'ultimo è distinto dall'inserimento nell'intreccio fantastico ma drammatico delle maschere della commedia dell'arte, esperimento che utilizzò anche Puccini nell'ultima sua opera incompiuta. L'aspetto sentimentale dello spartito è rappresentato dai due protagonisti: la fata Miranda e il Re Altidor. Molto riuscita la scena nel finale secondo, nel quale ai bambini rimasti (momentaneamente) orfani è intonato un canto di consolazione di grande pathos. Altrettanto il grande assolo di Miranda del terzo atto, la protagonista canta un lamento a cappella, improvvisando, Casella s'ispira alla tradizione del seicentesco “recitar cantando”, non tralasciando anche uno stile di madrigalistica ispirazione. L'orchestrazione disegna il tema fiabesco con molteplici e continui colori, cui il compositore rivela ottima maestria di disegno, tuttavia non sempre efficace nel tessuto operistico, le forme sono originali, ma è evidente una recitazione statica.

Le passate rappresentazioni dell'opera, riportate nel bellissimo programma di sala, tra esecuzioni teatrali e radiofoniche, si contano solo sette proposte compresa questa torinese. Poche, tuttavia l'opera italiana del ‘900 non è prassi molto frequentata. Anche le reazioni della prima assoluta sono contrastanti, chi parla di scarso successo, chi di pubblico entusiasta, resta il dubbio… che non è fondamentale, piuttosto bene ha fatto il Teatro Regio di Torino a programmare l'opera utilizzando uno spettacolo creato la scorsa estate al Festival di Martina Franca.

Proprio perché nato per uno spazio all'aperto lo spettacolo di Arturo Cirillo, con scene di Dario Gessati e gli sfarzosi costumi di Gianluca Falaschi, non ha trovato pienamente al chiuso l'aspetto fiabesco. La scena molto minimale, il palcoscenico era spesso vuoto, ma fortunatamente illuminato da Giuseppe Calabrò, ottimo light designer, era costituita da quattro strutture moventi che utile rilevarlo erano utilizzate con maestria. Piuttosto sia le masse sia i singoli cantanti non trovavano una cifra teatrale narrativa, troppo statici, entrate banali, spesso lasciati al loro istinto piuttosto che guidati nel mondo fantastico e drammatico di Casella. Punto di forza le coreografie di Riccardo Olivier utilizzate in molti momenti orchestrali.

Il vero artefice di questa riproposta è stato il direttore Gianandrea Noseda che, fermamente convito del valore dello spartito, ci ha regalato una lettura emozionante, ricca di sfumature, curata nel dettaglio, di incisività narrativa, e che ha evidenziato con forza i molteplici aspetti della dimensione orchestrale ora cameristica, ora impulsiva e veemente. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza il contributo dell'ottima Orchestra del Regio con la quale il direttore ha rapporto d'eccellenza.

La difficoltà di allestire La donna serpente consiste anche nel radunare un foltissimo cast, il quale oltre ai protagonisti ha parti brevi ma molto importanti nel contesto musicale. L'occasione odierna è stata all'altezza del compito.

Carmela Remigio, la fata Miranda, coglie in questo ruolo un successo personale molto superiore a sue recenti performance drammatiche. La scrittura lirica di base le permette di mettere in risalto una vocalità brillantissima, abbinata a una buona rifinitura del fraseggio e del canto recitato, e questo si apprezza in particolar modo nell'assolo all'inizio del terzo atto (“Vaghe stelle d'orsa”). Non sono mancate una perizia in zona acuta e un'immedesimazione drammatica di pregio.

Convincente anche Piero Pretti, che ha realizzato Re Altidòr accentando la parola e reggendo la non facile prova con una linea di canto pertinente e mai forzata. In alcuni passi forse la scrittura era impervia per la sua voce, ma il cantante ha saputo superare l'ostacolo con grande musicalità e partecipazione scenica.

Di grande resa vocale e teatrale le quattro figure delle maschere, le quali hanno in Roberto De Candia, Pantul, un apice per carisma ed esperienza di scena, cui si sommano Fabrizio Paesano, Tartagil, Marco Filippo Romano, Albrigor, e Francesco Marsiglia, Alditruf. Molto brava Erika Grimaldi, Armilla, che si produce in un canto fluido e preciso. Pregevoli le prove di Francesca Sassu, precisa Frazana, e Anna Maria Chiuri, imperiosa Canzade. Più in ombra Sebastian Catana, un Demogorgon dalla ruvida vocalità

Completavano la locandina con molta professionalità Fabrizio Beggi (Togrul) Kate Fruchterman (fata smeraldina), Donato Di Gioia (Badur), Emilio Marcucci (primo messo e voce di Geonca), Alejandro Escobar (secondo messo), Eugenia Braynova (prima fatina), Roberta Garelli (seconda fatina), Giuseppe Capoferri (voce interna). Il Coro del Teatro Regio, preparato da Claudio Fenoglio, ha fornito prova di grande professionalità aggiungendo al generale contesto un apporto impareggiabile.

Teatro molto gremito per un'opera cosi poco rappresentata e in pratica sconosciuta, il pubblico ha gradito e ha tributato un caloroso successo, al termine, a tutti gli interpreti.

Lukas Franceschini

26/4/2016

Le foto del servizio sono di Ramella &Giannese-Edoardo Piva ©Teatro Regio di Torino.