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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

9/4/2016

 

 


 

Un illuminante volume di Paola Chillemi su

Giovanni Pennacchio

Nato a Napoli il 14 aprile 1878, Giovanni Pennacchio manifestò sin da bambino un'irrefrenabile passione per la musica, studiando con grande fervore al Regio Albergo con Nicola D'Arienzo, Pietro Platania e Camillo De Nardis. Diplomatosi brillantemente al Conservatorio della città partenopea come alunno esterno, all'età di soli diciannove anni divenne maestro della banda del 77° Reggimento Fanteria e nel 1908 venne chiamato a fare parte, con Alessandro Vassella, della commissione ministeriale per la riforma del regolamento delle bande militari. Negli anni precedenti lo scoppio della prima guerra mondiale divenne maestro del 70° Reggimento Fanteria di stanza a Firenze, chiudendo poi la sua carriera militare con la direzione della banda di Arezzo e Pistoia.

Nel 1914 partecipa al concorso “Max Cormick” per un'opera lirica italiana, indetto dalla città di Parma e risulta vincitore con l'opera in tre atti Enrica, libretto di Gino Civetta, ma purtroppo lo scoppio della guerra impedì l'esecuzione della partitura. Il premio era stato finanziato dalla moglie del miliardario Mc Cormick, figlia del miliardario John D. Rockfeller, che era venuta a Parma nel 1913 per assistere agli spettacoli e alle feste del centenario verdiano. La gentildonna in tale occasione aveva versato 100.000 mila lire per la costruzione del monumento a Verdi e a seguito di questo munifico gesto il Municipio parmigiano le concesse, assieme al marito e ai figli, la cittadinanza onoraria, che quale contraccambiò con lo stanziamento di altre 20.000 lire per un premio da conferire per concorso al Conservatorio di Musica di Parma. A dirigere l'opera vincitrice era stato designato il maestro Cleofonte Campanini, che avrebbe anche dovuto contribuire con una certa somma. Tuttavia né quest'ultimo né i suoi eredi, dopo la sua avvenuta morte nel 1919, onorarono l'impegno. Il maestro Pennacchio intenterà una causa agli eredi di Campanini, causa che dopo varie peripezie finì nel nulla di fatto anche perché nel frattempo la partitura dell'opera, nel trambusto di quegli anni, era andata irrimediabilmente perduta.

Di grande rilevanza nella vita di Pennacchio fu l'amicizia con Ruggero Leoncavallo di cui portò a compimento l'opera Edipo Re, su libretto di Giovacchino Forzano che lo aveva tratto dall'originale sofocleo. La prima dell'opera ebbe luogo, con buon successo, all'Opera Theatre di Chicago il 13 dicembre del 1920 sotto la guida del maestro Gino Marinuzzi. Di tale opera si ebbe in Italia la prima rappresentazione a Siena, in forma semi-scenica, nel 1958 e poi una rappresentazione completa al Teatro Regio di Torino nel 2002 con protagonista il baritono Renato Bruson.

Dal 1926 al 1951 Pennacchio diresse la banda civica comunale di Catania, per mezzo della quale ebbe modo di diffondere, realizzandone magistrali trascrizioni per banda, le opere di autori quali Claude Debussy, Paul Dukas, Italo Montemezzi, Ildebrando Pizzetti, Pietro Platania, Ottorino Respighi, Franco Alfano, Francesco Cilea, Igor Stravinskij, Riccardo Zandonai e tanti altri. Morì centenario nel 1978 assistito con affetto e devozione dal suo allievo Salvatore Chillemi e dalla sua famiglia.

La figlia di quest'ultimo, Paola Chillemi, ha pubblicato da qualche mese il preziosissimo volume Giovanni Pennacchio. La vita di un compositore all'ombra di Leoncavallo, edito dalla Zecchini di Varese, testo nel quale viene ricostruita in modo minuzioso, circostanziato, preciso e ricco di documenti la produzione e la biografia del musicista napoletano.

L'autrice nella stesura del suo ampio ed esauriente saggio di 365 pagine si è avvalsa di una miriade di documenti in suo possesso, fra cui locandine, programmi di concerti, articoli di giornali dell'epoca, lettere e biglietti inediti inviati da terzi a Pennacchio e viceversa. Il testo è anche arricchito da un minuzioso catalogo della produzione musicale del bravo compositore e di tutte le trascrizioni di musiche per banda da lui realizzate, oltre a un'inestimabile appendice che raccoglie il carteggio inedito fra Giovanni Pennacchio e Ruggero Leoncavallo. Altrettando inedita risulta tanta parte del materiale grafico, iconografico e fotografico presentato.

Una sezione del libro curata dal valente musicologo Riccardo Viagrande è stata riservata a un'analisi attenta e particolareggiata dell'intera produzione musicale del maestro Pennacchio nella quale spiccano, oltre alla già citata Enrica, l'opera in un atto Redenzione (rappresentata nel 1938 al Teatro Massimo Bellini di Catania), l'operetta in tre atti Il re dell'aria (rappresentata nel 1930 al Politeama Garibaldi di Palermo) e l'operetta in tre atti Manuel Espadas , varie liriche per canto e piano e anche una produzione di carattere sinfonico: Sanctus Apollinaris (impressione sinfonica), Sinfonia in mi minore (sinfonia in 4 movimenti), Sinfonia ciclica (in tre movimenti con un finale) e il Trittico michelangiolesco (tre movimenti dedicati a tre capolavori di Michelangelo: Mosè, la Pietà e il David).

Per dovere di cronaca dobbiamo notare che ad oggi il volume della Chillemi su Giovanni Pennacchio è l'unica pubblicazione che ricorda il valente compositore napoletano. Il comune di Catania, la cui banda il maestro diresse per oltre venticinque anni, non lo ha mai ricordato con un concerto o altra qualsiasi manifestazione. E non ebbe egli torto, riguardo alla sua esperienza venticinquennale di direttore della Banda Civica di Catania a dichiarare: «Li ricordo con molta simpatia per quanto riguarda il pubblico, con degli appunti per quanto riguarda le autorità. Non si interessavano. Volevano la fine della banda: è per questa ragione che nel ‘50 l'ho abbandonata. Fu rifiutata persino la possibilità di trasformare quella di Catania in una banda regionale. Io dal Comune di Catania non ho mai avuto niente. Non mi è stato detto neanche grazie. Qualcuno mi suggerì che era questione di gelosia in quanto applaudivano me e non loro. Trovo poi che l'istituzione dell'orchestra stabile sia stata un'ottima cosa. Ma per il pubblico non pagante la banda era unica. Quando tenevamo un concerto belliniano venivano diecimila persone». Sante e sagge parole riguardo le autorità etnee (amministratori e politici) le quali ancor oggi si infischiano bellamente persino di un musicista della levatura di Vincenzo Bellini, al quale sembra impossibile consacrare un Festival degno della sua fama, come peraltro avviene annualmente a Pesaro per Rossini, a Bergamo per Donizetti e a Parma per Verdi.

Giovanni Pasqualino

19/11/2018