RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Maometto II

per la prima volta al Teatro dell'Opera di Roma

Nel Maometto II Gioachino Rossini infrange deliberatamente la corazza delle convenzioni melodrammatiche, confezionando un lavoro la cui caratteristica peculiare è l'ampiezza dei pezzi d'insieme, unitamente all'assoluta libertà del trattamento formale. Una volontà sperimentale che, in occasione della prima napoletana del 1820, gli negò il successo da parte di un pubblico sconcertato da tale irrequietezza inventiva, disorientato da una partitura che appariva anomala rispetto alle abitudini del tempo. Coadiuvato dalla spregiudicata originalità del libretto che il duca Cesare Della Valle aveva ricavato da una sua tragedia, alla stesura del quale egli stesso partecipa, il compositore inserisce una vicenda privata di forte intensità emotiva sugli accadimenti storici che narrano dell'assedio di Negroponte da parte degli Ottomani. Il conflitto travolge l'animo di Anna, figlia dell'eroico Erisso, il quale la vorrebbe sposa a Calbo, mentre il suo cuore è già di Uberto, salvo poi scoprire che l'oggetto della sua passione non è altri che il nemico Maometto, presentatosi sotto mentite spoglie. Le coordinate del consueto triangolo amoroso vengono dunque scompaginate, in linea con un dettato del tutto peculiare.

Travagliata la vicenda ricettiva del Maometto II, rielaborato in veste ottimistica per le recite veneziane del 1822-23, trasformato in un'opera autonoma (Le siège de Corinthe) per il palcoscenico parigino. Il resto è storia recente, a partire dalla prima esecuzione moderna andata in scena a Pesaro nel 1985. Il Teatro dell'Opera di Roma, nell'accostarsi per la prima volta a questo titolo ingiustamente trascurato, sceglie la versione napoletana originale. Una partitura intessuta di aulica tragicità, dalla scrittura finissima e dall'invenzione incandescente. Lo spettacolo è quello di Pier Luigi Pizzi visto a Venezia nel 2005, appositamente modificato per le nuove esigenze, considerando che allora era stata rappresentata la stesura del 1822. L'adozione di una scena unica, l'interno della città assediata in rovina, garantisce l'effetto claustrofobico e la tinta tragica della vicenda. Nell'accostarsi alla partitura, Roberto Abbado è forse troppo preoccupato di rendere al meglio la drammaticità dell'azione, finendo per mortificare gli aspetti di classica nobiltà. Una direzione nel complesso un poco piatta e non molto frastagliata, che non rende pienamente giustizia ad uno degli esiti più alti del Rossini “serio”.

Riguardo il cast, la migliore è Marina Rebeka, un'Anna dalla voce purissima e virginale, sempre a posto nella coloratura. Se qualcosa le manca è una maggiore convinzione nel registro epico, ma la sua prova è comunque da ricordare. Un gradino al di sotto il Calbo di Alisa Kolosova, sempre corretta vocalmente ma dal temperamento un po' appannato. Apprezzabile il Maometto di Roberto Tagliavini, anche se non sempre adeguatamente autorevole. Juan Francisco Gatell scurisce la voce per una parte che non gli è particolarmente congeniale, quasi tutta giocata su un declamato centrale e robusto. La linea vocale ne esce sconnessa, tanto che nel registro grave il timbro si offusca, mentre nell'acuto e nelle fioriture l'intonazione ondeggia pericolosamente. Insufficienti i comprimari Enrico Iviglia (Condulmiero) e Giorgio Trucco (Selimo).

Riccardo Cenci

5/4/2014

La foto del servizio è di Luciano Romano.

 

 

 

 

Giobbe Covatta all'ABC di Catania

Una serata all'insegna dello sberleffo

La satira nasce con l'uomo e scopo degli attori comici è certo quello di divertire, allietare, svagare e ricreare il pubblico. Ma in verità ci sono forse due modi di indurre alla risata: uno più leggero, ameno, superficiale, che si avvale dell'eterno contrasto uomo-donna, della barzelletta, del calembour, del motto di spirito ecc; ed un secondo più mordace, tagliente, acre, ma dall'intento più profondo, che intende diventare pedagogico, irriverente verso governanti, politici ed alti magnati della finanza, quasi rivalsa beffarda dell'uomo comune.

Quest'ultima tipologia di satira è tipica del comico “impegnato”, del comico contestatario, che vuole dar voce ai deboli, ai vinti, agli sconfitti, ai diversi, agli emarginati, ai discriminati, insomma un comico alla Dario Fo, alla Maurizio Crozza ed appunto alla Giobbe Covatta, per distinguerlo da quello più ovattato, disimpegnato e quasi cabarettista, come Gino Bramieri, Raimondo Vianello, Sandra Mondaini ed altri.

Venerdì 19 novembre, presso il teatro ABC di Catania si è esibito Giobbe Covatta, un comico che ha evidenziato ampiamente di appartenere alla gamma dei comici che come scriveva Orazio intendono con le loro interpretazioni cogliere le profonde contraddizioni della realtà e del sociale, il cui intento è quello «ridendo castigat mores» e nel contempo oltre loro stessi di far ridere anche la gente mettendo in ridicolo figure di ministri, onorevoli, giornalisti, divi, politici e ogni sorta di personaggio della vita pubblica.

Bersagli quasi fissi dello humor partenopeo messo in campo dall'abilissimo, versatile e spassoso comico sono stati il presidente del consiglio Silvio Berlusconi ed i ministri Brunetta, Gelmini, Carfagna, Bondi, messi alla berlina con una verve davvero esplosiva, scoppiettante ed esilarante, rimarcandone perfino gli enormi strafalcioni e svarioni. L'attore ha dimostrato di essere un eccellente showman, riuscendo da solo a tenere la scena per quasi due ore, modulando la voce con estrema accortezza ed abilità, utilizzando una gestualità elegante e disinvolta ma sempre perfettamente contestualizzata, non annoiando mai, perfino quando ha proposto la lettura della Carta Internazionale dei Diritti dell'Uomo. Il foltissimo pubblico assiepato nella platea del teatro ABC ha gratificato Giobbe Covatta di lunghi, calorosi e reiterati applausi.

Giovanni Pasqualino

20/11/2010