RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 Madrid

L'agognato ritorno di Norma

Da troppo tempo il capolavoro belliniano, uno dei titoli fondamentali dell'opera lirica, mancava da Madrid, per non parlare della sua assenza dal Teatro Real, dove ora è tornata per ben dodici repliche con tre compagnie di canto. Per fortuna, quasi tutto ha funzionato bene o molto bene nelle due recite, con due cast diversi, che ho visto.

Per l'allestimento si è scelto quello recente di Valencia, per la regia di Davide Livermore, attuale sovrintendente del Palau de les Arts. Come ultimamente è solito fare abbiamo avuto delle proiezioni e dei video a non finire, secondo la marca di fabbrica. Delle volte la soluzione è riuscita (caso Forza del destino a Valencia), in altri casi molto meno. Qui ci troviamo purtroppo nella seconda ipotesi. Non male i costumi, tranne quello, terribile, di Oroveso, nè le luci o le citate proiezioni, ma non ce ne sono troppe di idee, se non per esempio quella di far traversare quasi tutta l'opera, a cominciare dalla sinfonia stessa, dove chiaramente andavano contro la musica, da spiriti più o meno infernali delle foreste druidiche, oppure quella di lavorare molto sui figli della coppia (mista, certo, tra invasore romano e sacerdotessa nativa): immagino che appunto per l'ultimo fatto e per ragioni di parità di genere (mai dire sesso, per cortesia) diventati, anziché i due maschietti di sempre, un maschio molto battagliero (come il papà proconsole) e una femmina erede dei raptus profetici della madre. E non sembra particolarmente azzeccato, ma si dovrebbe chiedere alle interpreti della parte, presentare insieme Norma e Adalgisa: la povera ‘vergine alunna' deve sorbirsi in diversi atteggiamenti, anche inginocchiata, tutta la scena di ‘Casta diva'. Lo so che in questi ultimi tempi i registi non sono contenti della situazione del personaggio, ma almeno finora lo fanno intervenire dopo il suo ultimo intervento canoro, non prima del primo. E poi, c'è poco da fare, particolarmente quel librettista e quel compositore avevano alcune buone idee drammatiche e se non volevano presentare un personaggio fino a un momento dato dovremmo crederci: lo so che succede spesso ma proprio la sortita di Adalgisa è un bellissimo esempio ‘contrario sensu'.

L'aspetto musicale era molto più fortunato, anche se la concertazione di Roberto Abbado era più che forte, e menomale che aveva delle voci penetranti e/o robuste; quando meno forte suonava l'orchestra, complessivamente molto bene, era quando sul palcoscenico c'erano dei volumi meno importanti, e anche, più che ‘tradizionale', piuttosto convenzionale. Di sicuro con un maestro più ‘estroso' la scarsa consistenza in zona grave di Mariella Devia (particolarmente evidente nel quadro finale dell'atto primo) avrebbe trovato una cornice più favorevole, come era accaduto al momento del debutto nel ruolo a Bologna. Una sola è stata la recita con la grande belcantista ligure, e lì veniva dimostrato ancora una volta come uno strumento non ideale per la parte può, con lavoro, musicalità, serietà dare una versione importante della sacerdotessa senza inventarsi piagnucolii, o altre scemenze che finiscono con la rottura della voce, e soprattuto non diventare un monumento al kitsch con cui Bellini non ha avuto mai niente a che vedere. Va detto pure che davanti alle smanie di ogni tipo di soprano (e non) per cantare un ruolo che, anche poco tempo fa, era temuto e solo frequentato da poche cantanti, la grande Devia è la prova vivente che quando si hanno una tecnica, uno stile e una voce ancora intatta non ci sono ruoli vietati. Tanto di cappello davanti a tanta arte, e non solo per il momento della carriera della Devia, ma per i risultati concreti, con cabaletta doppia e variazioni difficili e intelligenti, e una precisione nei passi fioriti da lasciare a bocca aperta, perfino nell'aspetto scenico. Non solo i suoi fans ma il teatro tutto, stracolmo, le prodigavano ovazioni meritatissime anche se, presi dall'entusiasmo, le dedicavano anche ai suoi colleghi, e qui si dovrebbero fare dei distinguo.

Il coro, preparato da Andrés Máspero, era molto bravo, sebbene nella seconda scena di Oroveso la sezione dei tenori fosse un po' fragile, molto brava Maria Miró nei panni di Clotilde e a posto il Flavio di Antonio Lozano: gli manca un po' di flessibilità e di squillo, ma si tratta di un tenore valido per una parte breve e per niente facile. Fernando Radó, anche se conciato come se fosse Sitting Bull, ci offriva un eccellente Oroveso, forse più a suo agio nel secondo atto – tutti i principali cantavano solo in questa recita, anche se il giovane basso argentino canterà ulteriormente un'altra: di buon colore, volume, emissione ed estensione e continua nella sua carriera ascendente con tranquillità e tanto lavoro.

Il giovanissimo Stefan Pop presenta un materiale stupendo; ma ancora non sa cosa farsene delle frasi e i recitativi di Pollione, in particolare quelli dell'atto primo e, nel canto, la tendenza a cantare forte e senza controllare la linea di canto – il fiato corto lo costringeva a tagliare parecchie frasi – era evidente. Tra i suoi ruoli figurano solo quelli lirici ma la voce pare andare verso il tenore spinto e quindi c'é qualche perplessità per l'evoluzione della sua carriera. Come attore è inesistente ma simpatico, cosa che il proconsole romano non è.

Ketevan Kemoklidze mi aveva finora fatto ottima impressione, ma non sembra che Adalgisa faccia per lei, almeno finchè non trovi un'altra emissione in centro e grave, dove in più di un suono artefatto e poco bello non si capisce una sola parola. Nel secondo dei duetti con la protagonista aveva poi qualche difficoltà in acuto e nell'intonazione.

In quella che in origine era la seconda compagnia le cose erano globalmente più omogenee e il risultato migliore. Angela Meade è una di quelle voci ideali per Norma, almeno per chi ritiene valida una certa tradizione ‘italiana' nella parte: ampia, timbratissima, di un'estensione a dir poco fenomanale (‘In mia mano al fin tu sei' finiva con un acuto incredibile), capace contemporaneamente di messe di voce favolose, una buona intonazione e una padronanza della coloratura molto accettabile per questo tipo di voce, senza naturalmente arrivare alle filigrane della Devia. Non ha certo una figura ideale e non si tratta di una grande attrice, ma la forma di cantare ci fa capire perfettamente la psicologia del personaggio.

Veronica Simeoni disegnava un'Adalgisa semplicemente ideale: ha ulteriormente approfondito nel ruolo e la sua sortita è un esempio di canto, dizione, fraseggio, sfumature, e così continuava per tutta la serata. Non ultimo, la si sentiva perfettamente anche nei momenti più scatenati dell'orchestra e quando doveva cimentarsi con il volume della Meade, con cui invece la si vedeva molto affiatata, superando il soprano americano nell'esatezza dei vocalizzi, e la sua voce non è per niente leggera. Così, con una figura straordinaria e una capacità artistica notevole, la sua era un'interpretazione di riferimento.

Roberto Aronica era un magnifico Pollione, nella cui interpretazione seguiva anch'esso la tradizione più ‘all'italiana' per così dire, e pensarlo come coppia della Meade era in questo senso un'ottima scelta: cantava con grande padronanza, le variazioni della cabaletta c'erano anche se non troppe, sceglieva le soluzioni più rischiose in zona acuta, aveva il fisico per la parte, e come interprete guadagnava interesse man mano che la recita preocedeva per arrivare a un intensissimo finale.

Simón Orfila cantava Oroveso con voce e colore di basso come mai prima; purtroppo questo elemento positivo era contrastato da un canto molto più rozzo del solito.

Il pubblico, molto numeroso anche in questa recita, applaudiva ma non con il calore del giorno prima.

Jorge Binaghi

3/11/2016

Le foto del servizio sono di Javier del Real.