RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Narrami, o Musa, l'eroe multiforme…

Chi era Odisseo? Anzi, chi è? L'eterna metafora dell'uomo che, partito un giorno dalla sua patria, insegue per mari e per terre il fantasma del suo nostos, di un ritorno alla terra natia, o forse soltanto di un ritorno ad una dignità umana perduta nel continuo vagabondare dell'esule? Uomo multiforme lo definì Omero, uomo che ha molto sofferto, uomo paziente, addirittura uomo divino: comunque sia, Odisseo ha impregnato di sé la poesia e la cultura, da Dante a Joyce, e Foscolo lo dipinse come un uomo “bello di fama e di sventura” che alla fine potè baciare la sua petrosa Itaca. Ma altre fonti dicono che ci fu un altro viaggio di Odisseo dopo il nostos ad Itaca, un viaggio che lo condusse ai confini del mondo, oltre le colonne d'Ercole, viaggio che si concluse col “folle volo” del quale parla Dante: e questa tradizione ha ripreso Valerio Massimo Manfredi, in una trilogia moderna dedicata ad Odisseo, dal titolo Il mio nome è Nessuno, dove l'ultimo viaggio terreno dell'eroe omerico viene descritto in tutta la sua ansia di conoscenza, slargando i confini del mito sino a farne un simbolo non solo del destino umano, ma dell'eterno peregrinare che attende chi, per ansia di sapere, per fatalità, per disgrazie o per fortuna è comunque un diverso.

Su questa diversità di Ulisse insisteva il bellissimo balletto che è andato in scena al Teatro Antico di Taormina il 7 luglio, nell'ambito della sesta edizione del Taormina Opera Festival diretto da Enrico Castiglione, dal titolo Odyssey. Una storia d'amore siciliana, ideato dal coreografo Mvula Sungani, che ne ha curato anche la regia, su musiche originali di Alessandro Mancuso, eseguite dal vivo, e con la partecipazione dell'étoile Emanuela Bianchini. Uno spettacolo composito, che partiva da un'idea di fondo che, pur non avendo basi filologiche, è peraltro molto suggestiva: Omero sarebbe stato una donna che, nell'attesa del suo uomo, avrebbe rielaborato la sua nostalgia dando appunto forma al poema del nostos. Dunque, le figure femminili che Odisseo incontra, da Nausica a Circe, dalle sirene a Calipso, fino a Penelope, altro non sarebbero che proiezioni del dilacerante desiderio della consorte. Ipotesi suggestiva senz'altro, ma che restava comunque abbastanza estranea alla coreografia, dalla quale emergeva invece prepotente, anche attraverso i canti e i versi recitati, l'idea di un Ulisse assolutamente contemporaneo, dell'esule per forza, che ad ogni tappa del viaggio incontra mostri, difficoltà, rischia di perdere la dignità umana nel senso più alto del termine, cosa del resto icasticamente scagliata al pubblico in un verso dove si parla di uomini ridotti ad armàli. Facile leggere un rimando a Circe, ma ancor più facile e logico leggervi il tema dell'immigrazione contemporanea, dove davvero uomini come noi sono ridotti a men che bestie, uccisi, scagliati in mare, affamati, lasciati a marcire sugli scogli di Mentone, o nelle stazioni, in un osceno sfruttamento sconosciuto sinanco ai negrieri ottocenteschi, ma che la nostra Europa bancaria tollera senza una piega, come del resto tollera che la nazione che ha dato al mondo la filosofia, la poesia e soprattutto la parola stessa democrazia veda aumentare la mortalità infantile, morire la gente per le strade e piacevolezze del genere, limitandosi soltanto a berciare di PIL, avanzo primario e idiozie del genere, e dimenticando che tante volte una stessa nazione, certo non meritevole di pietà umana per quello che aveva combinato a tutto il mondo, ha comunque ottenuto tale pietà, ripagando ancora una volta il mondo con miseria, arroganza e con tutto quello che costituisce la specialità della Germania.

Il diverso, l'immigrato, erano al centro di un balletto dove il corpo dei ballerini si faceva linguaggio nel senso più alto del termine, piegandosi a posizioni di grande tensione muscolare, richiedenti certamente una preparazione atletica di prim'ordine. Una danza fisica, che imponeva al corpo umano pose scultoree, di grande plasticità, additanti un profondo disagio che il bellissimo, a tratti inquietante taglio luci di MSPD Studios esaltava insieme a effetti audio che davano proprio la sensazione di trovarsi sul mare in tempesta, lo stesso mare mugghiante che giorno dopo giorno affrontano migliaia di profughi, di diversi, di persone che nulla sanno di banche e PIL ma tentano solo di salvarsi la vita.

A questa sensazione di estremo coinvolgimento, che gli spettatori hanno mostrato di apprezzare con frequenti ed entusiastici applausi, si univano alcune novità assolute per chi è abituato alla danza classica: l'uso delle donne come porteurs, posizioni acrobatiche di stampo circense, la scelta di far danzare ballerini e ballerine con vertiginosi tacchi che conferivano al tutto un aspetto straniante, con i danzatori divenuti sorta di mostri mitologici, immagini e simboli del pericolo, della ferinità, dell'incombere del male sulla vita umana. A tali momenti se ne univano poi altri di sincera gioia di vivere, icasticamente accompagnati da una sfrenata tarantella o da movimenti di danza più tradizionali e rassicuranti.

Uno spettacolo diverso, che univa linguaggi e forme espressive svariate, reinventandole e ricreandole per dar vita ad una nuova idea di danza, di grande suggestione visiva e di notevole impatto emozionale.

Giuliana Cutore

9/7/2015