RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Barcellona

Concerto dimezzato grazie a Vueling

Se pensate che un volo tra due città europee di meno di due ore può diventare un incubo di cinque ore tra l'ora di partenza e quella di arrivo (non contando il tempo già perduto in aeroporto) siete più furbi di me. Non avrei mai pensato che non sarei arrivato per tempo a un concerto per questo motivo, ma chi viaggia con Vueling dev'essere preparato a tutto. Così sono arrivato solo all'ultimo brano della prima parte del recital con cui si presentava al Palau de la Música Olga Peretyatko – per un po' di tempo Peretyatko-Mariotti, com'era stata annunciata qui, ma si vede che oggi siamo tornati alla situazione di partenza…

Ho perduto quindi le chansons di Fauré e di Liszt e l'aria di Corinna da Il viaggio a Reims (ho ascoltato da fuori press'a poco la metà). La prima parte finiva con “Bel raggio lusinghier”. Fatta eccezione della sua magnifica protagonista a Pesaro ne La scala di seta non mi è mai parso che Rossini fosse un autore molto adatto alla bella e simpatica signora Peretyatko, in particolare la sua Desdemona che ho sentito due volte in anni piuttosto lontani l'uno dall'altro. Le agilità sono corrette ma timide, le variazioni poco interessanti e da studente, il timbro non è adatto per il centro e qualche acuto suona aspro. Qualche vistoso portamento non è neanche troppo da lodare. Ma il soprano si vede che ha i suoi fans (dai tempi quando cantava la Blöndchen ne Il ratto dal serraglio ), e anche se la sala non era stracolma aveva i suoi bravi che sono saliti d'intensità nella seconda parte. “O luce di quest'anima” presentava gli stessi – per me – inconvenienti, e più evidenti perchè l'aria si addice molto di più alla vocalità della cantante. Il recitativo precedente veniva reso in forma alquanto meccanica. Senza recitativo (nè, manco a dire, cabaletta) la “Casta diva” era una preghiera troppo interiore, felice nei piani ma non nelle arcate sonore, e i suoni velati di “Bel raggio” si facevano presenti ancora una volta. Per di più sbagliava una frase, il testo non era sempre chiarissimo e l'intonazione della fine era alquanto ondeggiante. Dopo abbiamo avuto diritto a due mazurche di Chopin (opus 67, numeri 3 e 4) interpretate correttamente dal maesto Giulio Zappa, come del resto in tutto il programma tranne qualche nota isolata e un uso un po'abusivo del pedale. Nella prima aveva anche fatto sentire una pièce di Rossini, Une caresse à ma femme, che per i motivi evocati non ho potuto sentire. È sempre più frequente nei concerti di canto che ci siano brani per pianoforte solo e non capisco troppo il perché, o forse non voglio capirlo.

Sono arrivate poi le canzoni russe e il livello saliva molto ma non era del tutto omogeneo. Nelle tre di Cajcovskij c'era differenza tra la più nota (op.38/3) e la seconda (op.47/7), molto riuscite, e la terza (op.47/6) che stranamente mancava di emozione. Di Rachmaninov si ascoltavano l'op.21/7, parecchio nota, con una preziosa messa di voce in fine. La famosa Vocalisse metteva in riliego un timbro metallico, senza troppa malìa e un centro di scarso peso. Lo stesso capitava al registro grave nella notissima op.14/11 dove anche l'acuto finale non era felice.

Tra il tripudio degli astanti sono arrivate la “Villanelle” di Anna Dell'Acqua, bella e in versione eccellente, una canzone di Rimsky Korsakov fantastica e un buona esecuzione (ma tra l'anonimo e l'anemico) del celebre “Je veux vivre” dal Roméo et Juliette di Gounod.

Jorge Binaghi

2/6/2018

La foto del servizio è di Antonio Bofill.