RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


Les pêcheurs de perles

all'Auditorium RAI di Torino.

Un tempo le performance operistiche negli Auditorium Rai (quattro) erano molteplici e variegate, inoltre avevano il pregio di proporre composizioni rare anche di autori famosi. La possibilità era dettata prevalentemente dall'esecuzione in forma di concerto che faceva risparmiare notevolmente sulle produzioni. Oggi, dopo il ridimensionamento degli anni '90, l'Orchestra Rai è una e ha sede nella città storica ove nacque, Torino. Nell'ambito di una lunga e interessatissima stagione sinfonica, quasi tutta trasmessa alla Radio, molti concerti anche in televisione, propone in ogni stagione anche qualche titolo operistico.

Per il 2015 nella rassegna denominata “Altro che Classica” il titolo prescelto è stato la celebre, ma assai poco eseguita, opera di Georges Bizet Les pêcheurs de perles. È abbastanza paradossale che Bizet sia ricordato solo esclusivamente per il suo ultimo capolavoro Carmen, e non anche per altri suoi scritti che seppur inferiori contribuirono alla formazione compositiva che sfociò nella predetta opera ma che sarebbe il caso di apprezzare per ampi motivi di estetica. I pescatori di perle sono uno di questi e colpisce soprattutto in tempi moderni quanto quest'opera sia stata dimenticata, poiché per molto tempo è stata banco di prova di numerosi tenori. Composta per il Théâtre Lyrique di Parigi (30 settembre 1863) è un'opera incentrata sulla tematica principale dell'Ottocento: l'amore, con le sue molteplici sfaccettature, qui però sviluppato in modo onirico, sentimentale seppur tragico nella conclusione. Inoltre non possiamo non evidenziare il colore locale, isola di Ceylon, e l'insieme esotico della vicenda, che per tutta la seconda parte del XIX secolo fu molto utilizzata in campo operistico. È proprio questa “tinta” esotica che ci rivela un Bizet, seppur giovanissimo, autore di teatro musicale geniale che realizza un gioiello sottovalutato per relazione drammatica e storica ma con un'inventiva unica e larmoyante.

In questa esecuzione abbiamo ascoltato la versione originale dell'opera del 1863 che differenzia sostanzialmente nel finale III. In precedenza furono utilizzate altre versioni non propriamente pertinenti e la pubblicazione dell'originale si deve ad Arthur Hammond nel 1974.

Nell'edizione torinese dell'opera abbiamo trovato il direttore Ryan McAdams poco addentro al repertorio francese, con soluzioni timbriche assai opinabili. La bacchetta mancava clamorosamente nel linguaggio operistico bizetiano, sfoderando enfasi e sonorità eccessive che facevano perdere non solo il “gusto” esotico della partitura ma soprattutto una drammaturgia narrativa che sarebbe dovuta essere cesellata e colorata piuttosto che “violenta” e priva di filo conduttore. L'orchestra Rai confermava la sua ottima formazione anche se l'assolo dei corni era imbarazzante.

Nel ruolo principale tenorile abbiamo avuto in Paolo Fanale un buon esecutore, suo pregio è stato non imitare nessuno, anche se probabilmente un po' impaurito della parte. Se da un lato abbiamo avuto il buon cantante con preziosa voce lirica-lirico leggera capace di mezzevoci e pianissimi autorevoli, dall'altra era carente di colore ed espressione risultando sovente monocorde. È' auspicabile che riprendendo in seguito il ruolo possa trovare una cifra interpretativa più consistente anche in virtù del fatto che ha cantato il ruolo in due serate consecutive.

Rosa Feola, Leila, era un soprano lirico con ottime capacità nella coloratura, di buona fattura musicale, senso misurato del canto e una variegata espressione stilistica.

Nel ruolo di Zurga è stato ingaggiato all'ultimo momento Vincenzo Taormina in sostituzione dell'ìindisposto Luca Grassi, che aveva cantato la sera precedente. Onore al merito di aver “ripassato” la parte in poche ore prima dell'esibizione, la quale tuttavia ha mostrato un cantante probabilmente più adatto ad altro repertorio, considerata la poca raffinatezza, notevoli forzature e un timbro greve poco rifinito.

Luca Tittoto era un Nourabad di lusso e peccato sia stato scritturato per un ruolo così marginale. La voce è molto bella e calibrata, omogenea nei registri, morbida ed espressiva.

Una menzione particolare per il Coro del Teatro Regio di Parma, istruito da Martino Faggiani, che ha fornito prova di estrema professionalità e ottima resa canora.

L'auditorium Rai di Torino non era gremito, anzi si notavano numerosi vuoti, cosa molto strana considerata la rara esecuzione dello spartito, ma il pubblico presente al termine ha premiato tutta la compagnia con numerosi e convinti applausi.

Lukas Franceschini

2/4/2015