RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


L'Incoronazione di Poppea

alla Scala di Milano

Con la rappresentazione al Teatro alla Scala de L'incoronazione di Poppea di Claudio Monteverdi, nell'allestimento curato da Robert Wilson, si conclude la trilogia del compositore cremonese iniziata nel 2008.

Le opere di Monteverdi, solo tre, sono basate sul frutto di esperienze anche precedenti che riguardano la tecnica del madrigale e la musica sacra, generi nei quali egli raggiunse risultati ineguagliabili. Il fulcro dell'esperienza teatrale riguarda due epoche distinte, quella mantovana agli inizi e quella veneziana verso la parte conclusiva della sua produzione. L'incoronazione appartiene alla seconda e sono evidenti le svariate trasformazioni stilistiche del melodramma all'italiana, frutto anche dell'ispirazione “della fioritura della scuola romana”, e i relativi mezzi espressivi sono evidenti e sviluppati in una gamma drammatica molto ampia ed articolata. Notevolmente ridotto il peso corale, e saranno il recitativo e l'arioso a predominare in maniera funzionale dando luogo a sviluppi nel dialogo poetico teatrale. Nella storia musicale le opere tracciano le basi su cui si ergerà il monumentale melodramma italiano.

Emilio Sala, in un breve saggio inserito nel programma di sala, pone l'accento sul grande enigma della partitura. L'opera fu rappresentata per la prima volta a Venezia, Teatro di SS. Giovanni e Paolo, stagione di Carnevale 1643, della quale rappresentazione non abbiamo nessuna fonte scritta di partitura, tranne un breve riassunto della trama che non indica il nome del compositore (pubblicato nello “Scenario dell'opera La coronatione di Poppea”). Anche nell'edizione ufficiale del libretto pubblicata da Giovanni Francesco Busenello (1656) non compare il nome di Monteverdi e neppure sulle due partiture manoscritte, conservate una a Venezia l'altra a Napoli, ciò induce molti musicologi a legittimi dubbi sulla paternità integrale dell'opera al compositore cremonese. Si aggiunga che il duetto finale non compare nello Scenario e neppure nel libretto pubblicato da Busenello. La sinfonia introduttiva corrisponde ad una composizione di Francesco Cavalli per Doriclea , opera andata in scena dopo la morte di Monteverdi. Dal punto di vista filologico e testuale L'incoronaizone di Poppea è zeppa di problemi ancora irrisolti. Rinaldo Alessandrini, autore dell'edizione critica utilizzata per questo spettacolo scaligero, specifica che è impossibile sovrapporre una stesura che comprenda le due versioni di Napoli e Venezia, aggiungendo che un altro manoscritto intermedio è andato perduto. Si può con certezza attribuire a Monteverdi il 60% della musica oggi restata, con inserimenti per alcune riprese di altri compositori, in primis Cavalli. La versione eseguita riflette pertanto scelte personali dello stesso Alessandrini, sommo studioso di musica barocca, di Monteverdi in particolare, ed è frutto di riflessioni anche su altri spartiti, e non volendo affermare una soluzione definitiva, impossibile, egli ha cercato una fedeltà stilistica nel teatro seicentesco, considerando le successive manipolazioni della partitura come un'esigenza connessa alla vibrante quotidianità del teatro di tale secolo, trovando una soluzione drammaturgica e musicale più completa possibile.

Robert Wilson prosegue l'impianto teatrale giù utilizzato per le precedenti opere allestite. Si tratta di un mondo visivo teatrale astratto, dove la recitazione è scandita da passi e movenze lente e mimica gestuale ricercata e di estrema eleganza, un teatro che potremo definire arcaico in uno stile puramente seicentesco. Di tal epoca anche i bellissimi costumi (sempre di Wilson) ispirati ad un'ipotetica quanto immaginaria prima rappresentazione veneziana. Le scene, ancora del maestro americano, s'ispirano ad un'antichità romana tuttora esistente quale reperto storico nella Roma del XXI secolo. Trattasi di uno spettacolo emozionante, di ampi spazi, i pochi elementi con cambio rapido ci portano nelle molteplici e complicate trame per il potere. Genio assoluto del teatro sperimentale, Wilson realizza una drammaturgia e una visione che catalizza lo spettatore, nella bellezza dei colori pastello e delle forme scultorie messi in evidenza da uno splendido impianto luminoso. Il tema portante è il trionfo dell'amore sul male che seduce ed è probabilmente più immediato e conosciuto. Tuttavia si deve rilevare che questo tipo di teatro, seppur affascinante, è abbastanza ripetitivo in Wilson, basti citare il Macbeth bolognese o la sua visione di Madama Butterfly, ma in Monteverdi funziona alla perfezione, un po' fastidiosa invece la luce fissa al neon a livello di palcoscenico. Quest'operazione funziona ed affascina anche per la straordinaria prova di un cast che ha saputo recitare e disimpegnarsi sul palcoscenico in maniera superba.

Sopra di tutti c'era la straordinaria mano direttoriale di Rinaldo Alessandrini, musicista e musicologo che in questo repertorio non credo abbia rivali. Era la seconda volta che assistevo alla sua concertazione del capolavoro monteverdiano, e per l'aderenza stilistica, il pathos, la variegata ricerca di accenti e colori non si trovano aggettivi efficaci per esprimere la bellezza e la competenza di tale operazione. Un plauso particolare ai membri dell'orchestra della Scala che hanno partecipato a tale operazione, e all'eccezionale basso continuo realizzato dal Concerto Italiano.

Il cast era molto omogeneo, e si è adoperato in maniera espressiva nella complessa operazione musicale e teatrale, anche se con qualche distinguo.

Miah Parsson era una corretta Poppea, ma poco espressiva, Leonardo Cortellazzi un Nerone limitato e con registro acuto da raffinare (ammetto che preferisco una voce femminile nel ruolo). Delude in parte l'Ottone di Sara Mingardo, che credo sia stata in serata non felice, per un suono molto ovattato e spento, ma il fraseggio era esemplare, mentre Monica Bacelli, Ottavia, era leggermente sopra le righe stilisticamente. Andrea Concetti era un solido Seneca, Maria Celeng una precisa e simpatica Drusilla, Adriana Di Paola e Silvia Frigato s'impegnavano con onore nel ruolo di Arnalta e Amore. Nel reparto maschile convincevano Furio Zanasi, nel triplice ruolo Liberto-soldato-tribuno, Luca Dordolo, e il bravo Mirko Guadagnini che impersonava un preciso valletto, mentre Giuseppe Di Vittorio era una Nutrice troppo caricata. Si aggiungono correttamente per dovere di cronaca anche gli altri interpreti: Luigi De Donato, Monica Piccinini e Andrea Arrivabene.

In teatro, stranamente, si registravano molti vuoti, la recita cui ho assistito era addirittura in abbonamento. Per coloro che non sono accorsi un'occasione mancata per ascoltare un capolavoro musicale e in generale ben eseguito, i presenti hanno invece tributato al termine un convinto applauso a tutta la compagnia.

Lukas Franceschini

21/2/2015

Le foto del servizio sono di Lucille Jansch.