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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

9/4/2016

 

 


Concerti di primavera – La voce e l'orchestra

Primo concerto: il lugubre Musorgskij

Dmitry Beloselsky

L'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai (OSN) ha concluso appena una settimana fa la stagione 2015/16: eppure, eccola già impegnata nel ciclo dei «Concerti di primavera», incentrati, come l'anno scorso, su un tema conduttore. E, se l'anno scorso tale tema è stato il pianoforte e il suo rapporto con l'orchestra, quest'anno si tratta della voce umana: «La voce e l'orchestra» è infatti il sottotitolo comune di questi appuntamenti che, per cinque giovedì di fila, vedrà alternarsi direttori e cantanti e stili di canto diversi, sempre sostenuti dall'OSN e ospitati dall'Auditorium Arturo Toscanini di Torino.

Il primo «Concerto di primavera», del 19 maggio 2016, è stato tutto dedicato a Modest Musorgskij (1839-1881): occasione propizia per accostarne pagine famosissime ad altre meno note. Gran parte della sua produzione più conosciuta, infatti, circola rimaneggiata nelle versioni completate, orchestrate o riorchestrate da altri musicisti. È il caso della pagina che apre il concerto. Tutto parte dagli abbozzi del 1858 per un'opera lirica mai realizzata, La notte di San Giovanni, tratta da Gogol'. Nel 1867 Musorgskij quegli abbozzi divennero La notte di San Giovanni sul Monte Calvo, fantasia sinfonica rivista poi diverse volte e mai definitivamente sistemata. Cinque anni dopo la morte dell'autore, nel 1886, sulla pagina intervenne Nikolaj Rimskij-Korsakov, che ne cambiò il titolo (Una notte sul Monte Calvo), ne modificò diverse armonie, la riorchestrò pressoché tutta e vi aggiunse il finale. Probabilmente l'operazione non sarebbe dispiaciuta a Musorgksij: “Modinka” e “Korsinka,” come si chiamavano tra loro per gioco, furono per un periodo addirittura coinquilini, e spesso si consigliavano l'un l'altro circa le proprie musiche.

Juraj Valcuha, da ex-Direttore principale dell'OSN, torna per inaugurare questa piccola rassegna di concerti e propone la versione originale di Musorgskij del 1867. Per chi ha nelle orecchie quella più famosa di Rimskij, le differenze sono evidentissime: l'orchestrazione è più selvaggia, meno raffinata, procede per lo più per blocchi sonori, le idee melodiche sono ancora grezze e come “nascoste” nell'orchestra (la strumentazione di Rimskij provvederà a metterle in risalto). E Valcuha, almeno per quanto è stato dato di capire, cerca di restituire lo spirito originale della partitura: cercando di non farsi “indiavolare” anche lui, mantiene una condotta manierata, sobria, e non evidenzia i temi più di quanto l'orchestrazione musorgskijana permetta. Disattendendo la sua dote principale, la chiarezza nel delineare le linee melodiche, confeziona infatti un ascolto interessante, a suo modo filologico, in cui si sono dovuti mentalmente isolare i temi dal ponderoso accompagnamento orchestrale per poterli seguire.

Star della serata è stato il basso Dmitry Beloselsky, già ospite dell'OSN in passato per il concerto «Verdi e il potere» (10-11/01/2013). A lui sono stati affidati i Canti e danze della morte, ciclo di Lieder su liriche di Arsenij Golenišcev-Kutuzov, scritto da Musorgksij nel 1875-77 per canto e pianoforte con l'intento, non realizzato, di orchestrarlo. Alla strumentazione lavorarono, dopo la morte dell'autore, Glazunov e Rimskij-Korsakov (1882), ma per questo concerto si è preferita la versione approntata da Šostakovic nel 1962 (il quale, all'epoca aveva acquisito dimestichezza col linguaggio di Musorgskij riorchestrando, nel 1939-40, il Boris Godunov). I quattro testi messi in musica, scarni ma evocativi, descrivono situazioni in cui, come da titolo, la morte è protagonista e ghermisce, nell'ordine, un bambino sotto gli occhi di sua madre (Ninna nanna), una ragazza al culmine della sua bellezza (Serenata), un contadino ubriaco (Trepak) e dei soldati al termine di una battaglia (Il generale).

Russo l'autore, russo, il musicista, russo lo strumentatore… ucraino il cantante. Beloselsky domina potentemente la cupa orchestra di Musorgskij-Šostakovic, ridotta qui, da sedici (La notte di San Giovanni sul Monte Calvo) a quattordici violini primi, con un timbro da baritono scuro, più che da basso vero e proprio: pur non raggiungendo quella pienezza e quella gravità tipica dei grandi bassi russi, si è registrata una sicurezza notevole dell'emissione vocale in tutti i registri e una lodevole interpretazione dei testi, soprattutto del primo, in cui la voce della Morte, più calma e solenne, e della Madre, più accorata, sono state differenziate con abilità.

Chiudono il concerto i Quadri di un'esposizione, suite pianistica di Musorgskij del 1874 – omaggio al suo amico pittore e architetto Victor Hartmann, scomparso l'anno prima a 39 anni – oggi celebre soprattutto nella veste orchestrale che Ravel le diede nel 1922 (benché questa non sia l'unica: “Korsinka”, che pure vagheggiò l'idea di strumentarla, non lo fece, ma da allora vi hanno provveduto circa una trentina di autori!) e proprio in tale veste qui eseguita. Sono brani che descrivono brevemente il soggetto dei vari dipinti di Hartmann, accompagnando l'ascoltatore/visitatore con una Promenade tra un quadro e l'altro.

L'interpretazione di Valcuha si pone come problematica. Si parte con la Promenade introduttiva, affidata alla tromba solista e a un corale di ottoni, molto sostenuta, e il tono generale dell'intera esecuzione si mantiene su questa sostenutezza che non lascia adito a sfumature metronomiche. Quasi tutta la suite è impostata su una corrività poco giustificabile, che depaupera la pur espressiva e lussureggiante strumentazione raveliana (che include, come curiosità, anche celesta, raganella, frusta, sassofono contralto ed eufonio) di poesia e di incisività. Si salvano Il vecchio castello (un castello in rovina davanti a cui un bardo intona un'antica leggenda), dove la densa pensosità del brano ha goduto di un'interpretazione adeguata, Bydlo (un pesante carro agricolo polacco trainato da buoi), che, a dispetto della velocità eccessiva, fa dei crescendo e dei diminuendo i suoi punti di forza, e tutti quei brani in cui la frenesia diviene cifra espressiva del soggetto del quadro: la vivacità di un parco coi bambini in Tuileries, di un mercato in Limoges e l'impressionante strega Baba Jaga in La capanna sulle zampe di gallina. Ben diretta invece la conclusione, La grande porta di Kiev, grandioso affresco conclusivo (descrizione di un grande portale progettato da Hartmann per la città di Kiev) in cui rientra anche il tema della Promenade, trattato con una maestosità sufficiente, ma che avrebbe potuto essere anche maggiore, senza per questo risultare eccessiva.

Christian Speranza

26/5/2016