RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 

 

Alì Babà e i quaranta ladroni

alla Scala di Milano per il Progetto Accademia

L'annuale allestimento del Teatro alla Scala per il “Progetto Accademia” è stato Alì Babà e i quaranta ladroni di Luigi Cherubini che torna nel teatro milanese dopo cinquantacinque anni. Il progetto prevede la realizzazione dell'opera da parte dei giovani frequentatori dell'accademia di canto, dopo un lungo periodo di studio con il mezzosoprano Luciana D'Intino, e il coinvolgimento dell'Orchestra e del Coro dei ragazzi sempre dell'Accademia, cui si affiancano altri studenti nelle sezioni tecniche. Un processo da anni diventato realtà, che merita il plauso per l'impegno assunto dal Teatro alla Scala, il quale si prodiga nella formazione di nuove risorse, a trecentosessanta gradi, nel teatro musicale.

Ali-Baba ou Les quarante voleurs, così nella versione originale francese, è l'ultima opera di Cherubini, la cui produzione si svolse in Italia e in Francia dal 1788. Egli fu uno dei protagonisti del teatro musicale francese e almeno due titoli sono significativi: Lodoiska e Médée. Per questa sua ultima opera egli prese spunto da uno spartito incompiuto, Koukourgi , per il Théâtre Feydeau, dal quale riprese quattro pezzi. Il libretto, tratto dal famoso racconto che per tradizione si rifà alla raccolta delle Mille e una notte, fu scritto da Eugènie Scribe e Anne Honoré Joseph Duveyrer. Essi rielaborarono quasi del tutto la drammaturgia rendendo il protagonista un ricco mercante e inserendo il personaggio di Nadir, il giovane tenore innamorato, imprescindibile nelle opere del primo Ottocento. La prima si ebbe all'Opera Garnier di Parigi il 22 luglio 1833, con un cast di rango, tra essi Laure Cinti-Damoreau, Marie-Cornelie Falcon, Adolphe Nourrit, Nicolas-Prosper Lavasseur, tuttavia l'opera fu un insuccesso, pare che addirittura lo stesso compositore non fosse presente in teatro. L'opera fu rappresentata per alcuni anni soprattutto in Germania, ovviamente in tedesco. Nel secolo scorso fu riproposta a Essen, nel 1962, e alla Scala nel 1963, in versione ritmica italiana, con un cast ragguardevole: Wladimiro Ganzarolli, Teresa Stich-Randall, Alfredo Kraus, Oriana Santunione e Paolo Montarsolo.

La scrittura di Cherubini si adatta al nuovo corso del grand-opéra ma con una concezione duplice, l'opera è soprattutto comica e anche se gli effetti orchestrali sono rilevanti e ricchi d'effetto i pezzi chiusi s'inseriscono come in una sequenza. Il tentativo pare sia quello di mettere troppe idee e spunti armonici, che rendono in parte dispersivo l'esito generale ma lo stile è sempre di fattura, e l'ampia gamma di registri è concessa dal soggetto fiabesco.

La regia di Liliana Cavani è pregevole per l'amabilità con cui narra la vicenda e fortunatamente senza voler ricercare soluzioni contemporanee a tutti i costi. Forse a tratti potrebbe essere una drammaturgia troppo oleografica ma è lineare e comprensibile. Il lavoro sui singoli non è dei più ricercati ma i giovani elementi del cast si sono impegnati molto e hanno saputo trarre individualmente e differentemente aspetti più che positivi.

Le scene di Leila Fteita sono sontuose e molto ridondanti, creano anche un certo effetto ma al pubblico hanno fatto storcere il naso forse per convenzionalità. I costumi di Irene Monti sono in tipico stile dell'opera, funzionali e molto cromatici. Molto azzeccati i balletti, eseguiti dai giovani allievi della Scuola di Ballo, su brillanti coreografie di Emanuela Travaglia.

Anche in quest'occasione è stata adottata la versione italiana dell'opera, probabilmente la stessa del 1963, ed è un peccato perché forse la lingua francese avrebbe offerto ascolti più raffinati e incisivi. Sul podio il bravissimo concertatore Paolo Carignani ottiene quanto di meglio dall'Orchestra dell'Accademia, la quale lo segue con grandissima professionalità e precisione davvero ammirevole. La difficile partitura è trattata dal maestro con valido gioco di colori e un equilibrio di sonorità che conferiscono con appropriato linguaggio sia l'aspetto comico sia di grand-opéra. Prova positiva anche per il Coro dell'Academia diretto con buona preparazione da Alberto Malazzi.

Il cast, nel suo complesso, è stato molto volenteroso e preparato, dimostrando anche un peculiare entusiasmo. Il meno convincente era Alexander Roslavets, il protagonista, il quale dimostra molti limiti interpretativi e una voce, seppur con pregi nel timbro, ancora acerba e poco duttile. All'opposto la prova del soprano Francesca Manzo, Delia, era il fiore all'occhiello tra i solisti. La voce è bella e molto rifinita nei registri, accomunata da un'efficace stile interpretativo, accento e fraseggio, riuscitissime le sfumature vocali, veri piccoli gioielli.

Buona la prova di Riccardo Della Sciucca, Nadir, che ci offre una bella interpretazione con una voce molto rifinita e ben impostata, senza problemi di volume, specialmente in acuto, e capace di un canto morbido e delicato. Magari col tempo saprà anche utilizzare con più perizia l'accento, ma è un giovane da tenere presente per occasioni future. Ottima la prova di Alice Quintavalla, Morgiane, dotata di voce importante, scura e pastosa; funzionale con gusto e precisione anche l'Aboul-Hassan di Maharram Huseynov. Qualche ruvidità si è riscontrata in Rocco Cavalluzzi, Ours-Kan, ma il giovane baritono ha un pregevole materiale e una presenza scenica mirabile. Precisi e con buone prestazioni gli altri componenti del cast: Gustavo Castillo, Thamar, Chuan Wang, Calaf, e Ramiro Maturana, Phaor.

Teatro non esaurito ma con folto pubblico, il quale al termine ha tributato un meritato e caloroso successo a tutta la compagnia.

Lukas Francechini

2/10/2018

Le foto del servizio sono di Brescia e Amisano-Teatro alla Scala.