RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


La principessa Rana

Un primo motivo per cui il ventunesimo appuntamento della stagione 2013/2014 con l'OSN Rai, all'Auditorium Arturo Toscanini, l'8 e il 9 maggio, ha risvegliato l'interesse degli amatori è stato il programma di non comune ascolto.

La serata è iniziata con un frizzante “aperitivo”, il Concerto in re per orchestra d'archi di Igor Stravinskij, scritto a Hollywood tra il 1945 e il 1946 dietro commissione di Paul Sacher per celebrare il ventesimo anniversario dell'Orchestra da Camera di Basilea. Sotto la guida di Dima Slobodeniouk, ha preso vita un'esecuzione in cui, nel primo movimento, è stata messa in luce prevalentemente l'ironia e la leggerezza che sostanzia molte delle pagine neoclassiche del compositore di Lomonsov; nel secondo, benché la direzione sia scivolata via con grazia, dando ai ribattuti dell'accompagnamento il mood di un valzer, ci è sembrato che l'accento venisse posto sul languore che cerca, senza trovarlo, il sapore degli Adagi di Vivaldi – quelle pagine che avevano già affascinato Bach (al punto da spingerlo a curare delle trascrizioni per organo di alcuni Concerti per violino e archi) e che, pochi anni dopo il Concerto in re, avrebbero affascinato Gian Francesco Malipiero (Vivaldiana, 1952, che proprio all'Auditorium Rai di Torino ebbe la prima esecuzione assoluta, il 17 aprile 1953) – come se troppa nebbia avvolgesse, in una mattina d'inverno, la laguna veneziana, e delle sue forme si intuissero solamente i contorni sfumati, le cupole: si respira un'atmosfera settecentesca, ma il cesello finissimo della scrittura, le dissonanze e il grande allontanamento dalla tonalità d'impianto (la seconda sezione del primo movimento modula da re maggiore a re bemolle maggiore: nel Settecento ci saremmo aspettati una modulazione a la maggiore o a sol maggiore) recano inconfondibilmente l'impronta del Novecento (simile impressione si ricava dall'ascolto della stravinskiana Sonata per pianoforte del 1924), quasi che l'umidità, l'erosione della carta e il dissolversi dell'inchiostro avessero agito su un manoscritto settecentesco inscrivendo nei pentagrammi note estranee all'armonia classica. Si tratta di un'operazione di rivisitazione, di riscrittura dell'antico, che si fa attualizzazione (e non mera copia, esercizio di stile, anzi, che sfugge all'esercizio di stile proprio grazie a ciò) attraverso lo specchio deformante del tempo. Non ci sembra fuori luogo un parallelismo: simili riflessioni animano l'opera pittorica di Nicola Samorì, artista contemporaneo che, inserendo strappi, erosioni e colature di colore (praticati con dita, spatole o sostanze chimiche) nelle sue tele, riproduzioni efficacissime di dipinti del XVII secolo, anticipa l'effetto di usura del tempo del supporto espressivo (e, giocoforza, del prodotto finale) e le cala nella dimensione transeunte della “vita” dell'opera d'arte. Scelta non casuale è quindi il titolo della mostra tenutasi a Vicenza da aprile a giugno 2014: La pittura è cosa mortale. L'arte ha una vita, inevitabilmente con un inizio e una fine; e la riscrittura dell'antico anche in questo caso, come in quello di Stravinskij, è una forma di “neo-classicismo”, beninteso distintissimo dal consueto modo di intenderlo.

Vivaldiano anche il piglio d'avvio del terzo movimento, che ci ha ricordato la conclusione dell'Estate.

La serata è proseguita con la Prima Sinfonia in do maggiore Op. 21 di Beethoven. Siamo nel 1800, a un primo punto di svolta per il linguaggio beethoveniano. È il suo primo lavoro sinfonico, ma già vi sono diverse novità rispetto al modello fissato da Haydn: la struttura in forma-sonata proposta non solo nel primo, ma anche nel secondo e nel quarto movimento; un Minuetto che di fatto è già uno Scherzo, grazie alla verve e al tempo notevolmente accelerato; un'introduzione lenta al primo movimento che, anziché affermare fin dall'inizio la tonalità d'impianto, do maggiore, preferisce iniziare con una dissonanza che modula subito a fa maggiore: un'introduzione in piano, come indecisa, quasi che l'orchestra chiedesse il permesso di cominciare (ben diversa dall'introduzione lenta della Seconda , che aprirà la sinfonia con un perentorio accordo di re maggiore a piena orchestra); e un'introduzione lenta anche al quarto movimento (cosa per l'epoca mai tentata), con quella scala costruita aggiungendo una nota dopo l'altra come a voler spazientire il pubblico prima di trascinarlo nella corsa finale.

Stranamente, Slobodeniouk propone una lettura dell'Adagio molto – Allegro con brio piuttosto scomposta, esagitata: quel con brio è stato inteso con fuoco . Migliora nel secondo movimento, Andante cantabile con moto dove notiamo una buona sottolineatura delle entrate a canone degli archi e una soddisfacente variazione di dinamiche tra piano e forte (compresa una scansione ritmica del timpano, verso la fine dell'esposizione, che non ha sovrastato la linea melodica principale, ma l'ha accompagnata discretamente). Il Minuetto, indicato Allegro molto e vivace, viene diretto nel solco della tradizione, adottando un tempo consono all'andamento ritmico-melodico del brano. Buon dosaggio delle voci orchestrali, forse a volte coperte da trombe un po' troppo squillanti. Ottimo invece l'effetto di aspettativa creato dall'introduzione lenta all'Allegro molto e vivace, cui si accennava prima, frutto di un sapiente gioco di ritenuti. Si segnalano infine un piglio brioso e sbrigliato, con degli sforzati energici atti a concludere degnamente questa piccola, grande perla sinfonica.

Completamente dedicata a Prokof'ev la seconda parte della serata, col Secondo Concerto per pianoforte e orchestra in sol minore Op. 16: una pagina che destò scandalo al momento della prima esecuzione, con l'autore al pianoforte, nel 1913; ma, poiché la partitura originale andò perduta, Prokof'ev dovette ricostruire il concerto sulla base degli schizzi sopravvissuti della parte solistica. Tale ricostruzione vide la luce in Baviera nel 1923: dieci anni a separare le due versioni, tra le quali ci sarà stato sicuramente qualche cambiamento.

Al giorno d'oggi è possibile eseguire solo la versione ricostruita. Ad interpretarla, in sostituzione della prevista Yuja Wang, è stata chiamata la giovanissima Beatrice Rana, per la prima volta ospite dell'OSN Rai. Questa promessa italiana del pianoforte si è cimentata in una delle pagine più difficili del repertorio (dove spesso viene chiesto il terzo pentagramma per poter scrivere in modo leggibile la parte del solista), disimpegnandosi con souplesse meravigliosa. Complice anche la direzione di Slobodeniouk, su tutto il primo movimento, Andantino – Allegretto , ha prevalso un'impressione meditativa, impressione fugata via nel corso della cadenza: non neghiamo qui il nostro stupore di fronte alla forza sfoderata, con dominio assoluto della tastiera, in questa sezione altamente virtuosistica del Concerto, che è proseguita fino all'irrompere degli ottoni, caratterizzati da un'accentuata colorazione cupa. Lo Scherzo ha suscitato l'effetto di una scarica elettrica. Si tratta di uno di quei brani tipicamente novecenteschi a “moto perpetuo” che lasciano nella testa dell'ascoltatore un che di macchinoso, di finto, di allucinato. La solista si dimostra di una precisione metronomica, anche se talvolta il brano porta necessariamente ad esprimere una certa freddezza intrinseca. Il successivo Intermezzo. Allegro moderato lo abbiamo associato ad un gesto grottesco, esagerato. Gli ottoni in apertura, che possono ricordare l'inizio della Danza dei Cavalieri del prokof'eviano Romeo e Giulietta oppure l'inizio del Primo Concerto per pianoforte di Rachmaninov, e le percussioni, rese molto scure nel timbro, hanno contribuito ad una sicura resa del brano, forse il più originale dei quattro, grazie anche a quei glissandi veloci e precisi della parte pianistica, quasi risatine sardoniche di un folletto dispettoso. Nel Finale abbiamo apprezzato soprattutto la direzione, che ha mirato ad integrare pariteticamente solista ed orchestra e a riprendere, nelle parti più calme, il tono meditativo del primo movimento.

Richiamata più di una volta sul pubblico, Beatrice Rana ha risposto agli applausi scroscianti regalando ben tre fuori programma: i primi due sono stati il Preludio n. 16 in si bemolle minore Op. 28 di Fryderyk Chopin (eseguito magistralmente) e Widmung, Lied per voce e pianoforte di Robert Schumann, su testo di Friedrich Rückert, dalla raccolta Myrthen Op. 25, trascritto per pianoforte solo da Franz Liszt nel 1848 (S 566). Contattata via Facebook per delucidazioni sul terzo bis, l'Elegia per la mano sinistra di Leopol'd Godovskij, si è dimostrata affabile e gentile.

Indiscrezioni sulla prossima stagione concertistica vogliono che Beatrice Rana sarà nuovamente ospite dell'OSN Rai. Non mancheremo di tornare ad ascoltarla, per apprezzare ancora di nuovo questa principessa della tastiera: la principessa Rana.

 

Christian Speranza

29/6/2014