RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Barcellona

Pienone e successo scontato

Un concerto di Juan Diego Flórez con Vincenzo Scalera al pianoforte è sempre un richiamo irresistibile e la grande sala se non aveva appeso il tutto esaurito sarà stata molto vicina. Come lo stesso tenore ha detto a metà della prima parte – parla molto con il pubblico ed è molto simpatico, ed è attento alle risposte, non diciamo quando i compatrioti peruviani inneggiano al loro paese – 'si vede che qui ho dei fans'. Ha avuto subito applausi e in crescendo tra la prima e la seconda parte con punte di delirio per gli ultimi numeri e, manco a dirlo, applausi e bravo ancora più accesi per i generosi (è stato un epiteto che una signora commossa gli ha gridato mentre un'altra gli porgeva un ramo di rose) bis che spaziavano da canzoni latinoamericane con chitarra suonata dal divo (con commenti vari, tra l'altro la sua capacità di suonare o la musica e le parole che apparentemente aveva dimenticate per ricordarsene subito dopo) ad altre con pianoforte, l'ultimo naturalmente il tube 'Vincerò' in altre epoche conosciuto come 'Nessun dorma'.

Io sento ancora una profonda ammirazione per Flórez ed è sempre un grandissimo belcantista soprattutto in parti di tenore contraltino. E naturalmente ogni cantante è libero di scegliere in tutta indipendenza – se lo si lascia, ché questo sarebbe un altro discorso; sono pochi i fortunati – dirigere la sua carriera una volta riconosciuto il suo talento. Il pubblico, maggioritariamente composto dai detti fans, non troverà mai niente da ridire e fremerà se sente dire che il suo idolo fa qualche scelta rischiosa quando non sbagliata. Il critico che non se la tira e sa quel poco che può contare il suo parere (forse sbagliato ma almeno onesto) si trova in ambasce. Non se la sente, per far presto e non avere grane, di osannare tutto, perché anche lui è libero di sbagliare dicendo la sua. E si potrebbe fare un articolo lungo sulla confezione del programma, sui gruppi, sui singoli pezzi da diversi punti di vista, stilistico, tecnico, linguistico, la voce considerata in sé stessa, il fraseggio e via discorrendo. Ma questa volta non lo farà perchè crede che non abbia nessun senso. Si limiterà a raccontare il programma e la prossima volta – ce ne sarà sicuramente – ci penserà due volte prima di chiedere l'accredito appunto perchè si ammira un artista. Bellini: tre pezzi da tre ariette e sei ariette; 'A te, o cara' (I Puritani), recitativo, aria e cabaletta (una volta sola) da I Capuleti e i Montecchi; Donizetti: 'Allegro io son', in italiano (Rita) . Siccome s'impone sempre di più in questi concerti qualche momento per il piano solo, in questo in particolare ne abbiamo avuto quattro: due nella prima parte (un largo di Bellini e un valzer di Donizetti) e due nella seconda (la versione per piano della ‘Meditazione' dalla Thais massenetiana) e una romanza senza parole di Verdi. Il primo gruppo di questa seconda parte erano tre arie tra le più note estratte da operette di Franz Lehár (Das Land des Lächelns, Paganini e Giuditta). Poi un gruppo francese con l'aria del fiore dalla Carmen e la cavatina del protagonista del Faust di Gounod. Per finire il programma c'erano la romanza di Foresto dall'Attila verdiano ('Oh, dolore') e la cavatina e cabaletta (anche qui solo una volta) di Oronte da I Lombardi.

Jorge Binaghi

9/5/2019

La foto del servizio è di Antonio Bofill.