RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Il potere svela il volto di chi lo detiene

Misura per misura

Da sinistra: Valerio Santi, Francesco Russo e Giovanni Santangelo.

Riproporre oggi un testo di Shakespeare significa compiere a priori una precisa scelta di tipo registico: si può infatti optare per una rappresentazione tradizionale, che mantenga cioè intatto il carattere aulico delle pièces del Bardo, appuntandosi dunque più sulla fedeltà all'originale e a una recitazione alta e declamatoria che accentui il senso di lontananza storica, oppure, ma questo implica una concezione totalmente diversa del teatro shakespeariano e forse anche del grande teatro in generale, farne emergere il messaggio astorico e perenne che esso veicola, salvaguardandone allo stesso tempo quella modernità eterna che è la caratteristica delle vere opere d'arte. In questo secondo caso, il lavoro del regista sarà volto a evidenziare tutti quegli elementi che possono divenire metafora del presente e nello stesso tempo a porre in primo piano quei difetti umani, che oggi come ieri e come domani costituiscono parte essenziale delle contraddizioni e delle caratteristiche della società cosiddetta civile.

Valerio Santi, che ha curato la regia, le musiche e la scenografia di Misura per misura in scena al Teatro L'Istrione di Catania dal 5 al 7 aprile, ha senz'altro scelto la seconda possibilità, proponendo una sua personale visione di questo celebre dramma, dalla struttura composita e ambivalente, visto che mescola con estrema disinvoltura sia elementi tragici che comici, i quali ultimi gli valsero in epoca vittoriana l'accusa di oscenità. Per far ciò ha dovuto risolvere almeno due grandi problemi, uno di tipo rappresentativo-scenico, l'altro di tipo più marcatamente testuale: non sarebbe bastato infatti trasportare in una modernità di maniera Misura per misura, utilizzando magari costumi attuali e mantenendo una recitazione di tipo aulico, né sarebbe stato possibile conservare intatto un testo che, soprattutto nelle sue parti comiche, si serve di giochi di parole e di spunti umoristici già di difficile resa dall'originale inglese in italiano, e ormai scarsamente pregnanti anche nella nostra lingua, perché ancorati a modi di dire in disuso nel ventunesimo secolo. Con una scelta coraggiosa, Santi ha praticamente riscritto le parti umoristiche, affidate a Madonna Strafotta, a Lucio, a Gomito e a Pompeo (del quale sono stati accentuati i caratteri giullareschi, quasi clowneschi, impliciti nel suo ruolo di servo e mezzano dell'attempata prostituta), arricchendoli di molti elementi contemporanei tratti dal linguaggio e dalla gergalità attuali, col risultato che il pubblico ha potuto apprezzare appieno l'originale intenzione comica del testo, mentre il contrasto con l'elemento drammatico della vicenda principale è emerso quanto mai netto, permettendo al messaggio implicito nelle scelte sceniche di emergere in piena luce. Sul fronte registico e scenografico, Santi ha fatto agire gli attori all'interno di un graticcio che poteva simulare contemporaneamente, grazie alla divisione dello spazio scenico, un convento, una piazza, una sala delle udienze di tribunale o una cella, ma che alludeva anche alla gabbia delle convenzioni sociali, del perbenismo, del moralismo, oltre che al carcere della corruzione e del potere che ingabbia l'individuo. Inoltre, la scelta di un trucco molto marcato, più o meno clownesco, ben tratteggiava il carattere di maschere dei personaggi, di ruoli sociali esteriori che celano una realtà umana magari completamente diversa, spiccando sui neri costumi di netta ispirazione dark, che nella loro voluta esagerazione e nei loro orpelli tipizzavano ulteriormente gli interpreti, suggerendo al tempo stesso l'immagine di un mondo in declino, di una società corrotta e corruttibile oltre ogni umana idea, di un Medioevo prossimo venturo messaggero di una nuova barbarie.

Rosaria Francese e Filippo Brazzaventre.

Gli attori hanno costituito parte integrante di tale progetto, mantenendo una recitazione che, almeno nella parti comiche, si poneva a metà tra il grottesco e il naturalistico, evitando tuttavia le secche della caricatura gratuita: Daniele Sapio, nel ruolo di Pompeo, ha saputo benissimo sottolineare il carattere giullaresco del suo personaggio, mentre Salvo Scuderi, nel ruolo di Gomito in cui era stato conglobato anche quello del bargello previsto da Shakespeare, ha riscosso notevole successo per il carattere macchiettistico delle sue battute, tutte intessute di storpiature linguistiche degne di un Catarella ante litteram. Rosaria Francese, Madama Strafotta, ha dato vita a un personaggio grossolano e scurrile quanto basta, ma capace di mostrare anche una dolente umanità, pur se la scelta di farla recitare in un siciliano moderno e marcatamente catanese ha forse costituito l'unica nota discordante della regia: più opportuno sarebbe stato, a nostro avviso, optare per un italiano basso, magari con l'inserzione di qualche vocabolo in vernacolo aulico, e per una dizione sporca, marcando senza forzature, come per gli altri personaggi, il contrasto tra parti comiche e parti drammatiche.

Filippo Brazzaventre, Lucio, personaggio che Shakespeare aveva definito un fantastico, stravagante ma anche poietico, nel senso che è un po' il motore della trama in quanto partecipa sia dell'elemento comico, perché è un abituale frequentatore di casini e cliente affezionato di madama Strafotta, sia di quello drammatico perché amico di Claudio che cercherà di aiutare andando a trovare la sorella Isabella, ha ben reso questa duplicità insita nel ruolo, elevando e abbassando il registro della sua recitazione in sintonia con gli sviluppi della vicenda: servendosi di una mimica molto espressiva e di una gestualità vivace e irruente ma al tempo stesso sempre attenta e misurata, ha saputo mostrare tutti i vizi del suo personaggio, scolpendo un bonario perdigiorno non privo di una profonda coscienza delle ipocrisie sociali e insieme capace di darsi da fare per un amico in pericolo.

Giovanna Mangiù, Isabella, ha ben reso la figura della giovane novizia dalla morale inflessibile, evidenziandone il rigorismo anche nei colloqui con il fratello Claudio, interpretato da Marco Guglielmi. Efficace anche l'Escalo di Francesco Russo, e la Mariana di Cindy Cardillo, mentre Giovanni Santangelo, nel ruolo del Duca Claudio, ha costruito un personaggio volta a volta insinuante, deciso e ironico, riuscendo a porsi in ogni momento, pur se con una recitazione quasi sempre tranquilla e pacata, come il vero motore della vicenda. Attore dalla gestualità composta e dall'ottima dizione è riuscito a essere contemporaneamente un frate dolce e mite e un sovrano autorevole e carismatico.

Valerio Santi, nel ruolo del vicario Angelo, ha confermato ancora una volta le sue doti attoriali e la sua particolare inclinazione per i personaggi ambigui e ambivalenti: la sua efficace mimica e la plasticità del gesto, che si impietriva talvolta in una maschera tragica, in una smorfia dolorosa, in un ghigno crudele, ha fatto emergere non solo le contraddizioni del granitico vicario, ma soprattutto la sua terribile ipocrisia paradossalmente unita a una sincera contrizione, rendendo palpabile, complice anche l'ottimo disegno luci di Ségolène Le Contellec, lo sdoppiamento di un uomo che il potere ubriaca, angelo e demone a un tempo.

Giuliana Cutore

6/4/2019