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Attualità ed etica dell'Histoire du soldat di Stravinsky

A Montepulciano l'opera che ha ridefinito i canoni del teatro musicale

Un soldato marcia ostinatamente su un piccolo palcoscenico di legno simulando un lungo cammino, accompagnato dal ritmo marziale di una banda. Torna a casa per una licenza, ma in breve si trasformerà in un profugo errante senza meta né speranza, complice il suo incontro con un diavolo dispettoso e ingannatore. Il tema dello sradicamento era all'epoca, siamo nel 1917, particolarmente bruciante per uno Stravinsky espropriato dalla rivoluzione Bolscevica, esule in Svizzera a causa dell'infuriare del primo conflitto mondiale. L'Histoire du soldat nasce in questo contesto drammatico, fra ristrettezze economiche e ambasce per un futuro oltremodo incerto. Un pezzo di teatro ambulante volutamente povero che risulta di grande attualità in un periodo di crisi generalizzata. Merito del Cantiere Internazionale d'Arte di Montepulciano aver riproposto questo brano fondamentale dell'estetica contemporanea, con il quale Stravinsky volta definitivamente le spalle al gigantismo orchestrale ottocentesco e alla scuola russa tardoromantica, spingendosi in territori “altri” non immemori della lezione jazzistica d'oltreoceano.

Ci troviamo di fronte alla nascita di una nuova forma di teatro musicale, che prende le distanze dal tradizionale spettacolo operistico. Il soggetto, tratto dalle suggestioni favolistiche di Afanas'ev, filtrato attraverso i tragici impulsi della guerra, supera il contesto folclorico russo per assurgere ad un livello universale. Il testo è opera dello scrittore Charles Ferdinand Ramuz, anch'egli costretto dalle circostanze ad una vita da profugo. Una tematica che non mancò di affascinare fra gli altri Pier Paolo Pasolini, autore di una sceneggiatura mai realizzata sul medesimo soggetto, il quale nella figura del demonio vedeva l'incarnazione del potere tirannico dei mezzi di comunicazione di massa. In un momento storico in cui interi popoli sono costretti a lasciare le proprie terre, si pensi ai conflitti in Palestina, in Siria, in Libia, in Iraq e in Ucraina, quello che oggi colpisce di più è il dramma dello sradicamento. Merito di Stravinsky e Ramuz aver confezionato un lavoro di perenne attualità, in grado di rivisitare il mito di Faust in chiave moderna. Il violino che il soldato cede al diavolo in cambio del libro che permette di guardare nel futuro, realizzando qualsivoglia desiderio, è infatti il simbolo dell'anima perduta. L'onnipotenza guadagnata non è nulla in confronto alla perdita degli affetti e dell'amore. In tal senso Stravinsky sembra avvicinarsi ai morality plays di arcaica memoria, azioni sceniche fra il tragico ed il comico a carattere didattico ed educativo riguardo la caducità della vita terrena, a significare l'eterno dramma dell'uomo. Essenziale e funzionale la messa in scena presentata al Cantiere, opera di Jean-Philippe Clarac e Olivier Deloeuil. Tommaso Ghezzi incarna un soldato fragile come un burattino nelle mani del demonio. Alcuni suoi atteggiamenti da vittima predestinata lo accostano al Wozzeck di Berg, o alla sua versione cinematografica confezionata da Werner Herzog, mentre l'atmosfera surreale che a volte si respira nell'azione ricorda il buon soldato Sc'vèik creato dallo scrittore Jaro sl av Hašek (e non è un caso che proprio in questi giorni ricorrano i cento anni dall'inizio del primo conflitto mondiale). L'interpretazione di Gianni Poliziani è colma di mefistofelica malizia, mentre Blanche Konrad dona un tocco di leggerezza al ruolo della ballerina. La conclusione, con la bandiera dell'Unione Europea esposta in scena, è un monito ad un mondo che, come il soldato, rischia di abdicare alla propria anima. Buona l'esecuzione musicale affidata alle cure di Fabio Maestri. Nonostante l'organico ridotto e la scrittura in apparenza semplice, la partitura è infatti ricca di insidie, e richiede una grande attenzione nel miscelare i timbri e nel seguire i ritmi inconsueti.

Riccardo Cenci

1/8/2014