RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Voci di notte

Il grande critico Rodolfo Celletti affermava che il cantante lirico è un atleta: lo è perché il lavoro diaframmatico è frutto di costante allenamento, lo è perché la giusta emissione del fiato richiede assoluto controllo, lo è perché il punto esatto del passaggio di registro è frutto di studio e di totale conoscenza del proprio organo fonatorio, lo è insomma perché dietro al canto c'è tutto un lavorio muscolare, respiratorio e dunque anche cardiaco più o meno paragonabile a quello di un maratoneta, di un calciatore, di un nuotatore e via dicendo. Dunque, come ogni atleta, anche un cantante lirico ha il proprio momento di acme, di pieno fulgore, di massima potenza e di assoluto splendore della voce, momento al quale, fatalmente, segue un declinare più o meno lento, a sua volta influenzato dalle scelte di repertorio, dallo stile di vita condotto, dalle condizioni cardiocircolatorie e respiratorie, più in generale dalla costituzione fisica, tutte variabili fisiologiche e imponderabili che, se assicurano a cantanti come Mariella Devia una longevità stupefacente, ad altri, come per esempio Maria Callas, procurano un declino rapido e inesorabile dinanzi al quale chi ne è vittima non può che arrendersi onde evitare di diventare la caricatura di se stesso.

Questa premessa fisiologico-musicale era necessaria per intraprendere una critica oggettiva al lunghissimo recital Le stella della lirica, svoltosi a Taormina il 28 agosto al Teatro Antico in onore della compianta Daniela Dessì, il celebre soprano prematuramente spentosi lo scorso anno. Lo spettacolo prevedeva, oltre alla presenza di cantanti esordienti, iniziativa comunque lodevole perché permette di ascoltare voci giovani e forse promettenti, anche quella di nomi di rilievo della lirica internazionale, come Maria Dragoni, Giovanna Casolla, Sumi Jo e Aprile Millo. Ad annunciare i brani di volta in volta eseguiti era Enrico Stinchelli, mentre accompagnatore al pianoforte era Gianfranco Pappalardo Fiumara.

Maria Dragoni ha scelto per il recital la celeberrima “Casta Diva” dalla Norma di Vincenzo Bellini, aria che ha cantato senza cabaletta e adiuvata dai puntuali e precisi interventi del Coro Lirico Siciliano, diretto da Francesco Costa: nonostante l'innata musicalità, la Dragoni ha offerto al pubblico un'interpretazione men che routinaria, mettendo purtroppo in evidenza un logorio pressoché irreversibile della voce, logorio che non le ha consentito di affrontare con la sicurezza e l'incisività di un tempo né i sovracuti né i legati belliniani che costituiscono parte integrante di un'esecuzione che possa dirsi tale.

Giovanna Casolla ha invece eseguito nel corso del recital l'aria di Eboli “Oh don fatale” dal Don Carlos e “Pace, pace mio Dio” da La forza del destino di Giuseppe Verdi: il celebre soprano falcon, che ha compiuto sovente incursioni nel repertorio mezzosopranile, ha dato prova di una voce ancora possente, soprattutto nella zona media, dalla brunitura davvero suggestiva, anche se, data la non più tenera età, il logorio degli acuti, sovente scoperti e non perfettamente controllati, e una certa opacità dei gravi attestavano, per mantenere l'analogia iniziale, una forma atletica ormai poco invidiabile.

Quanto a Sumi Jo, soprano ormai maturo, ha eseguito il duetto “Verranno a te sull'aure” da Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti, in coppia col tenore Roberto Cresca, e “Qui la voce sua soave” da I puritani del nostro Cigno: cantante belcantistica, dalla bella coloratura, pur con delle sbiancature poco significative nella zona acuta, Sumi Jo non è riuscita però a trovare un esatto punto di equilibrio tra la sua vocalità e le esigenze interpretative di due ruoli sopranili dove la coloratura e il belcanto (almeno nel senso stretto e storico del termine) devono cedere il passo a un diverso approccio che, non essendo più quello puramente rossiniano, anticipa, e in special modo ne I Puritani, esigenze vocali più aderenti a una drammaturgia più cogente, preludio lontano ma non troppo dei successivi sviluppi verdiani: per intenderci, Bellini stesso non avrebbe apprezzato una scena della pazzia di Elvira infiocchettata di vocalizzi e abbellimenti non scritti, atti a mettere in bella mostra una vocalità a sé stante, incurante delle esigenze drammatiche. La cantante ha invece disatteso totalmente tale esigenza, accostando in maniera poco ortodossa la sua Elvira più alla Rosina del Barbiere che alla disperata eroina belliniana.

Infine Aprile Millo ha interpretato il grande duetto dal primo atto scena quinta da Tosca di Giacomo Puccini “Mario, Mario”, sempre in coppia con Roberto Cresca, e “Rivedrai le foreste imbalsamate” da Aida di Giuseppe Verdi, insiemel baritono Sergio Bologna: qui abbiamo assistito alla performance di una cantante di buon livello, che si è disimpegnata abbastanza bene, rispettosa delle diverse esigenze dei ruoli, pur se ormai abbastanza lontana dagli splendori vocali che l'hanno resa celebre.

Prima di passare alle voci esordienti, è doveroso aprire una parentesi riguardante il tenore Roberto Cresca: innanzitutto va precisato che la locandina del recital prevedeva la partecipazione anche di un altro tenore, Fabio Armiliato, compagno della compianta Dessì, e di un altro grande nome della lirica, Desirée Rancatore, entrambi poi risultati assenti. Cresca dunque è risultato essere l'unico tenore presente sul campo e, forse appunto per questo emozionato, ha mostrato carenze di impostazione vocale, che si traducevano in acuti sbiancati, in una zona media di poco rilievo, evidenziando purtroppo una scarsa tenuta di voce che non gli ha permesso di essere all'altezza né della Millo né di Sumi Jo. Più o meno lo stesso discorso va fatto per Sergio Bologna, (che ha eseguito anche “Nemico della patria” dall'Andrea Chénier di Umberto Giordano) baritono dalla discreta brunitura, ma con una zona grave poco possente e con evidenti manchevolezze nella tenuta del suono.

Le voci esordienti, tutte femminili, spaziavano dal soprano Maria Vetere, che ha eseguito “Addio del passato” da La Traviata e “D'amor sull'ali rosee” da Il Trovatore di Giuseppe Verdi, dando prova in entrambi i brani di limitata tenuta vocale, di acuti scoperti e di una non perfetta tecnica degli abbellimenti, più o meno gli stessi difetti evidenziati dal soprano Silvana Froli che ha eseguito “Un bel dì vedremo” da Madama Butterfly di Giacomo Puccini e “Io son l'umile ancella” da Adriana Lecouvrer di Francesco Cilea. Altrettanto di poco rilievo Tea Purtseladze, che ha cantato “Vissi d'arte” da Tosca di Giacomo Puccini.

Ben diverso discorso va fatto invece per il mezzosoprano Federica Carnevale e per il soprano Elena Bakanova: insieme hanno interpretato la celebre “Barcarolle” da Les contes d'Hoffmann di Jacques Hoffenbach, con gusto squisito, tecnica impeccabile e musicalità davvero rara, accompagnate ancora una volta con grande professionalità dal Coro Lirico Siciliano, mentre la Carnevale si è poi esibita nella celebre “Habanera” dalla Carmen di George Bizet e la Bakanova in “O mio babbino caro” dal Gianni Schicchi di Giacomo Puccini, quest'ultima aria quasi un'oasi paradisiaca di copertura degli acuti e di dolcezza e facilità di emissione. Bene anche Sofia Mitropoulos, che ha cantato "Ritorna vincitor" dall'Aida di Giuseppe Verdi.

Per finire, non si può non citare la performance di Sabrina Messina, che si è esibita in “Mon coeur s'ouvrea à ta voix” dal Samson et Dalila di Camille Saint-Saëns. Certamente lodevole il coraggio del giovane mezzosoprano, che ha scelto di cimentarsi con una delle arie più celebri ma anche più difficili del suo repertorio, ma è altrettanto vero che i risultati sono stati di gran lunga inferiori all'audacia: né il respiro né l'emissione vocale sono stati adeguati alla sensuale morbidezza del brano, durante l'esecuzione del quale la cantante ha più e più volte forzato, con esiti decisamente limitati.

Il Coro Lirico Siciliano, punta di diamante della serata, che ha aperto con l'Ave verum corpus di Wolfgang Amadeus Mozart, in onore della Dessì, proseguendo poi con “Va' pensiero” da Nabucco di Giuseppe Verdi e concludendo con “Inneggiamo il Signor non è morto” da Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni, ha confermato ancora una volta la sua indubbia professionalità, l'affiatamento dei suoi componenti e la grande musicalità e fedeltà testuale del direttore Francesco Costa.

Giuliana Cutore

29/8/2017

Le foto del servizio sono a cura della Redazione.