RECENSIONI
-

_ HOMEPAGE_ | _CHI_SIAMO_ | _LIRICA_ | _PROSA_ | _RECENSIONI_| CONCERTI | BALLETTI_|_LINKS_| CONTATTI

direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Concerti di Primavera – La voce e l'orchestra

Terzo concerto: il soprano di Mozart

Programma tutto mozartiano per il terzo «Concerto di Primavera», giovedì 09/06/2016 dall'Auditorium Arturo Toscanini di Torino, sempre con l'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai (OSN): due Sinfonie, la n ° 34 e la n ° 39, e diverse arie per soprano hanno permesso a Hansjörg Albrecht e a Rachel Harnisch di sfoggiare, il primo le sue doti direttoriali, la seconda la sua voce.

Il concerto si è aperto con la Sinfonia n° 34 in do maggiore K 338, datata 29 agosto 1780 e composta a Salisburgo nell'interregno tra il rientro dalla sua avventura parigina e la partenza per Monaco (novembre 1780) per l'allestimento dell' Idomeneo . È una pagina quanto mai pomposa, ascrivibile al filone delle “sinfonie festive”, caratterizzate da una strumentazione luminosa, grazie a trombe e timpani e da un carattere estroverso e brillante, cui contribuisce in questo caso la tonalità di do maggiore, tonalità “olimpica” per antonomasia nell'universo di Mozart (la famosa Jupiter sarà proprio in do maggiore). Curiosamente mancante del Minuetto, schizzato ma non concluso, la K 338 ne verrà arricchita negli anni viennesi in occasione di un'Accademia diretta dall'autore stesso.

Di più ampio respiro e più nobile fattura è la Sinfonia n° 39 in mi bemolle maggiore K 543, datata 26 giugno 1788 e facente parte, assieme alla n° 40 K 550 e alla n° 41 K 551 (proprio la Jupiter cui si accennava prima), rispettivamente del luglio e agosto di quello stesso 1788, della triade conclusiva di Sinfonie mozartiane, il cosiddetto Schwanengesang (Canto del cigno). E Schwanengesang è anche il sottotitolo della K 543, considerata la forma più compiuta di fusione tra stile galante e stile dotto.

Albrecht sfodera una grinta direttoriale non comune, chiedendo un'orchestra a quattordici violini primi (che, per essere “mozartiana”, è forse un po' eccessiva, volendo essere filologici, soprattutto mantenendo, come si è fatto, i fiati “a due”). I tempi osservati sono particolarmente rapidi, ma in linea con il brio e la verve della musica eseguita. L'Allegro vivace d'apertura della K 338, alleggerito della ripetizione dell'esposizione, è particolarmente esuberante, gli accenti di festosità e pomposità venendo sottolineati a dovere con tensione e drammaticità (piccolo appunto: tenendo però in costante evidenza trombe e timpani, nonostante la loro funzione timbrico-armonica, e non melodica). Ripetizioni secondo partitura rispettate, invece, per il Finale. Allegro vivace, anche qui con brio da vendere (e trombe in primo piano). Con acume, la direzione è stata rallentata durante lo sviluppo per apprezzarne le sfumature e le ricchezze, come per ricaricare le batterie e concludere con ritrovato slancio al momento della ripresa.

Brio perfino eccessivo, che ha sfiorato la frenesia, nella successiva K 543. A parte l'Andante con moto, di cui è stato accuratamente evidenziato il pathos nel cuore del movimento, e quel passaggio ombroso che pare già anticipare Brahms, l' Allegro d'apertura e l' Allegro conclusivo hanno fatto le spese di una corrività eccessiva, in cui è parso che l'esuberanza andasse ogni tanto fuori controllo; è pur vero che il primo tema del primo Allegro, tutto basato sulle note della triade di mi bemolle, anticipa già l'Eroica beethoveniana (anch'essa in mi bemolle): ma non è argomento sufficiente per traslare – anacronisticamente – in una composizione di Mozart la carica di cavalleria dell'Eroica. Ha sorpreso soprattutto la direzione del Minuetto: certo, è già un Minuetto che prelude agli Scherzi delle sinfonie post-mozartiane, vicino a quelli delle Londinesi di Haydn o quello della Prima di Beethoven (che di fatto è già uno Scherzo); ma il tempo è Allegretto, non Allegro molto o un altro di consimile agogica. È un peccato, perché una direzione di così tanto spirito tende mediamente a valorizzare brani come quelli presentati in questa serata; se però si esagera con il calcare la mano, si ottiene un risultato che non è più quello ottimale.

Di stampo diverso la direzione delle arie d'opera. Diventa qui protagonista la voce di Rachel Harnisch, soprano svizzero che ha fatto di Mozart uno dei suoi autori prediletti. La si coglie perciò perfettamente a suo agio in Se il padre perdei, dallIdomeneo, re di Creta K 366 (il primo vero capolavoro nel genere serio di Mozart), nel Recitativo e Aria Sposo…mia vita… Fra i pensier più funesti di morte dal Lucio Silla K 135, in L'amerò, sarò costante da Il re pastore K 208 (in duetto col primo violino dell'OSN Alessandro Milani) e nel Recitativo e Aria Crudele! Ah, no, mio bene – Non mi dir, bell'idol mio dal Don Giovanni K 527. La scelta, come si evince anche dai numeri di catalogo, è ricaduta soprattutto su arie tratte da opere giovanili (sebbene sia difficile parlare di opere “non giovanili” per un compositore che non raggiunse i 36 anni d'età…). Nella quasi totalità di queste esecuzioni la voce è impegnata in melismi suadenti adagiati su tempi rilassati (un Bravo ad Albrecht per non averli accelerati) e con dinamiche che raramente toccano il forte; fa eccezione l'aria conclusiva, tratta dal Don Giovanni, più mossa e con gorgheggi più impegnativi. La voce della Harnisch, mai calante, se non nelle note più gravi, in grado di sostenere filati omogenei e regolari, non ha potuto perciò esprimersi al meglio, complice anche un'orchestra che diverse volte l'ha coperta, anche se non totalmente. E qui Albrecht potrebbe essere giustificato, sebbene, in un concerto di arie d'opera, debba prevalere per forza di cose la voce. Sicurezza nell'intonazione (anche senza supporto armonico) e morbidezza di timbro per una voce che (forse anche a causa del repertorio scelto, come si diceva), non è riuscita a correre molto lungo la sala, intonata ma relativamente debole; voce, d'altronde, non molto rotonda, non molto piena, ma estremamente aggraziata per una cantante il cui repertorio è, comprensibilmente, soprattutto di agilità e di eleganza. L'esecuzione, perciò, ha convinto e soprattutto affascinato per questa eleganza vocale da statuina di carillon. Non un demerito, quindi, ma un invito a riscoprire la bellezza delle piccole cose, vi è stato nella performance della Harnisch, che, apprezzata dal pur non molto numeroso pubblico, si è prodotta in un encore, il piccolo gioiello Porgi, amor, qualche ristoro dalle Nozze di Figaro K 492, e in un bis (insistentemente richiesto), la parte finale di Non mi dir, bell'idol mio, eseguita in chiusura di concerto.

Christian Speranza

15/6/2016