RECENSIONI
-

_ HOMEPAGE_ | _CHI_SIAMO_ | _LIRICA_ | _PROSA_ | _RECENSIONI_| CONCERTI | BALLETTI_|_LINKS_| CONTATTI

direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


Dall'America alla Sicilia

Viaggio nostalgico di un barbiere d'altri tempi

Massimo Venturiello

Il mito dell'America ci riporta indietro a colonie di emigranti che, in fuga da una miseria per molti versi simile a quella attuale, si imbarcavano stipati su piroscafi alla volta di un paese che per molti segnò l'inizio di un'avventura straordinaria che li avrebbe portati a costruirsi posizioni economiche inimmaginabili. Pochi questi fortunati, a fronte di migliaia e migliaia di italiani che in America trovarono sì un lavoro, ma non riuscirono ad elevarsi granché dal loro status di origine. Little Italy si chiamava il quartiere popolato da frotte di italiani, soprattutto meridionali, che tra grattacieli e cemento tentavano di ricostruire angoli della loro terra d'origine: ed ecco le pizzerie, le pasticcerie, i ristoranti italiani, ma anche i barbieri. Strana categoria, agli inizi del Novecento, un misto di barbiere, veterinario, medico e cavadenti, almeno nei piccoli paesi dell'entroterra siciliano.

Barberia, barba capiddi e mandulinu, di Gianni Clementi, che ha debuttato il 14 novembre al Brancati di Catania, narra appunto, tra musica, nostalgiche rievocazioni e amorosi rimpianti, la storia di un giovanotto che, nato in America da genitori emigrati, agli inizi del suo apprendistato di barbiere a New York, è costretto in fretta e furia, divenuto involontario testimone di un delitto mafioso, a ritornare in Sicilia per scampare ad una morte pressoché certa. Qui trova ad accoglierlo uno zio, anche lui barbiere, che in brevissimo tempo (morirà all'indomani dell'arrivo del nipote) lo catapulterà in una dimensione arcaica del mestiere, odorosa non solo di brillantina, ma anche di secrezioni animali ed umane non esattamente olezzanti di buono. Ma, e qui sta l'originalità di un lavoro tutto giocato sul filo dell'ironia e del disincanto, il vivace giovanotto si adatterà benissimo a questo nuovo ambiente, senza tanti rimpianti per l'improbabile sogno americano: tra pezzuole, barbe, denti guasti e calendarietti profumati, si scaverà una nicchia nella quale vivrà felice e beato un'esistenza magari un po' piatta, in una Sicilia vista non solo come terra atavica, oggetto di nostalgia, ma soprattutto come un milieu a misura prettamente umana, densa di odori, sensazioni e immagini totalmente avulse dalla realtà cementizia degli States.

Massimo Venturiello ha interpretato con grande professionalità questa figura di barbiere-aedo, dando prova di una mimica davvero efficace, di ottima dizione e musicalità: senza una sbavatura, ha dominato il palcoscenico con toni affabulatori, con gestualità sciolta e naturale, non scadendo mai nel facile patetismo di tante rivisitazioni filosiciliane. La sua regia, volta a ricostruire con pochi tocchi pregnanti un ambiente d'altri tempi, è riuscita ad evitare le secche della scena spoglia, consentendo allo stesso tempo un'agevole capacità di movimento all'attore, che ha riempito letteralmente di sé il palcoscenico, con ritmi ora serrati ora distesi di recitazione, validamente coadiuvato dai musicisti della Compagnia Popolare Favarese, orchestra “da barba” siciliana, autrice delle musiche e degli arrangiamenti, composta da Pasquale Augello, Peppe Calabrese, Nino Nobile, Maurizio Piscopo e Mimmo Pontillo, che hanno eseguito le loro composizioni con piglio sicuro, ottimo senso del ritmo e perfetta coordinazione.

L'assenza di intervallo ha conferito ulteriore fluidità ad una pièce deliziosa, garbata ed ilare, assolutamente priva di compiacimenti campanilistici, che il folto pubblico intervenuto ha mostrato di apprezzare moltissimo.

Giuliana Cutore

18/11/2013