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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

9/4/2016

 

 


 

Juditha Triumphans:

tutti i colori di Vivaldi

Artista dai mille talenti, musicista ma anche pittore, incisore e scrittore, Federico Maria Sardelli incarna l'idea dell'erudizione intesa in senso rinascimentale, in grado di abbracciare una molteplicità di campi all'interno dello scibile umano. Alla guida dell'Accademia barocca di S. Cecilia si è cimentato con la Juditha Triumphans, capolavoro del repertorio sacro vivaldiano. Molti i compositori ammaliati da questo mito biblico, da Galuppi a Cimarosa, da Jommelli a Mozart, senza dimenticare in tempi più recenti Honegger e Paul Dessau, a testimonianza di una potenzialità drammaturgica intonsa anche in epoca moderna. L'azione sacra pensata da Vivaldi non è esente da suggestioni sceniche. La riduzione librettistica, stringata nei tempi e nei personaggi, è opera di Giacomo Cassetti, il quale amava dilettarsi nelle trame di argomento religioso, tralasciando quelle prettamente profane. La scelta del soggetto è legata alla gravità del momento storico, con la Serenissima impegnata nell'annosa guerra con gli ottomani, minacciosamente sbarcati a Corfù. Gli abitanti di Venezia accolgono tale notizia con comprensibile trepidazione, timorosi di perdere un luogo di notevole importanza strategica.

In questo clima la narrazione acquista un carattere di chiaro patriottismo, con la guerra fra ebrei ed assiri a simboleggiare il conflitto in corso. L'isola venne liberata nel 1716, con grande sollievo della città lagunare e dell'intera Europa. Nel medesimo anno l'oratorio viene eseguito nell'Ospedale della Pietà, una delle quattro istituzioni presenti a Venezia con il compito di educare gli orfani e i bambini abbandonati. Vivaldi non era impegnato solo nella didattica musicale dell'istituto, ricordiamo esclusivamente femminile, ma aveva anche il compito di scrivere lavori per le musiciste della Pietà. Come evidenzia Carlo Vitali nel saggio confezionato per l'allestimento al Teatro la Fenice del 2015, il librettista costruisce una originale drammaturgia della luce, che trova analogie con la pittura veneta del Cinquecento, da Tiziano a Tintoretto. L'alternanza fra luce e ombra, fra il giorno e la notte, scandisce le vicende del dramma. Agli occhi di Oloferne l'ombra appare dispersa dalla bellezza di Giuditta, ma è proprio nell'oscurità ebbra di vino che il generale perderà la testa. La notte è il luogo del delitto, ma la luce sorge imperiosa a rischiarare l'orizzonte della gloria veneziana, esplicitamente evocata nel finale.

Invano cercheremmo i drammatici scuri dell'esperienza caravaggesca, o le violente prospettive di Artemisia Gentileschi. La Juditha vivaldiana risalta per nobiltà ma non è una furia guerriera. Il mondo del “Prete rosso” è sfumato, ricchissimo di colori e arioso nelle scelte strumentali. Proprio la strumentazione è la caratteristica peculiare della partitura. Le numerose arie con strumenti obbligati, dalla viola d'amore al mandolino, dal Salmoè (prototipo del moderno clarinetto) all'organo, definiscono una scrittura estremamente variegata e originale. In particolare è la protagonista a beneficiare di tale ricchezza. Nell'aria Veni, me sequere il dolore di Juditha trova termine di paragone nella tortora gemente, evocata in maniera toccante dal Salmoè. Transit aetas è una struggente meditazione sulla caducità delle sorti umane, evidenziata dalla trasparenza immateriale del tessuto strumentale. Juditha Triumphans mostra chiari rimandi operistici, obliando invece elementi tipici dell'oratorio, quali il ricorso al narratore.

Tali elementi spiccano nell'esecuzione ceciliana, se pur in forma di concerto. La drammaturgia della Juditha non sfugge a Sardelli, il quale disegna una trama dal piglio prettamente teatrale. La sua sintonia con il mondo espressivo vivaldiano è totale. Con talento figurativo il direttore livornese modella le diverse scene, proiettando l'ascoltatore all'interno della vicenda biblica. L'Accademia Barocca di Santa Cecilia e il Coro dell'Accademia lo seguono perfettamente. Lo supporta un cast nel complesso di rilievo. Ann Hallenberg è una protagonista di grande rifinitura vocale e sensibilità interpretativa, nobile negli accenti. Vivica Genaux (Holofernes) si fa valere per la maturità, la presenza scenica e il timbro accattivante. Eccellente anche Giorgia Rotolo nel ruolo di Vagaus, alla quale Vivaldi dona momenti di acrobatico virtuosismo, sempre risolti con splendida naturalezza. Francesca Ascioti (Ozias) compare solo nella seconda parte, ma ha comunque modo di imporsi per la nitidezza dell'accento. Infine Rui Hoshina (Abra) ha voce esile ma molto ben emessa. L'entusiasmo dei presenti è tale da spingere gli esecutori a bissare il coro conclusivo. L'arte pittorica della parola vivaldiana non avrebbe potuto avere rappresentazione più intensa.

Riccardo Cenci

27/11/2021

La foto del servizio è di Riccardo Musacchio.