RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


La piccola volpe astuta al Regio di Torino

Una scelta coraggiosa che convince

Dal 19 gennaio il Teatro Regio di Torino sta proponendo La piccola volpe astuta di Leóš Janácek, una prima nazionale resa in un allestimento poetico e leggiadro, in ultima recita martedì 26 alle ore 20.00.

Il regista Robert Carsen ha valorizzato l'opera, mettendo in scena il realismo, l'inquietudine e la nostalgia che costellano la partitura, e ricorrendo a un'ambientazione onirica, dominata da grandi colline dai colori invernali. In questo bosco fantastico animali e uomini dialogano naturalmente, in una danza movimentata di punti di vista ed emozioni.

Come ha spiegato il direttore dell'Orchestra e del Coro del Teatro Regio, Jan Latham-Koenig, uno dei massimi interpreti dell'opera di Janácek, del quale ha saputo cogliere in profondità il peculiare linguaggio musicale, lavorando anche a stretto contatto con musicisti che avevano conosciuto personalmente il compositore, “lo stile di Janácek è davvero rivoluzionario, senza legami con quanto lo ha preceduto. Janácek affida all'orchestra un ruolo preminente, quasi straussiano, con notevoli difficoltà sul piano ritmico. La sua musica ha poi un vincolo strettissimo con la lingua ceca. C'è in Janácek un'aderenza totale alle particolarità fonetiche e sintattiche, alla musicalità interna della frase, agli accenti, alle inflessioni, ai toni della prosodia ceca, tanto che non è pensabile far interpretare le sue opere da cantanti che non siano di madrelingua ceca o slovacca. In questo senso, il compositore con cui Janácek ha più stretta somiglianza è Monteverdi”. Ascoltandolo e vivendolo, in prima persona, abbiamo rintracciato nella sua originalità, figlia dell'essere autodidatta del compositore, per l'orchestrazione chiari riferimenti a Debussy, a Dvorák e a Strauss per quanto riguarda la parte melodica e sinfonica. Il primo atto risulta ostico, disarmonico da più punti di vista, di non facile ascolto. Vige una grande opposizione, una lotta dialogica tra il mondo della natura, espresso dagli animali, e quello della cultura, dove al centro vi è l'uomo. Data la diversità dei codici, la comprensione è deficitaria e la comunicazione risulta veloce, frammentata, autoreferenziale. Vigono caos e separazione che si riflettono anche nel mondo animale dove impera la violenza, rappresentata dall'agguato di Bystrouška alle galline e al gallo, e dal loro essere soppressi dalla volpe stessa. Di fronte ai nostri occhi si dischiude uno scenario di solitudine esistenziale, egoismo, cinismo e cannibalismo.

Nella fine del secondo atto, però, prendono vita altre modularità. La musica si fa più armonica e, prima del calare del sipario, attraverso una coreografia tribale di grande effetto, vediamo in scena la natura che danza, nella sua bellezza e nella sua varietà, una natura che festeggia l'unione di   Bystrouška   e   Zlatohrbítek  e inneggia all'accoppiamento reso in modo animale, bestiale, in dissonanza col   mood   nostalgico e intimistico della favola, espresso anche da  Non il corpo ma la tua anima io amo con cui il cane si rivolge alla volpe. Magistralmente reso il momento della morte della protagonista. Grandissimo climax   realizzato da una sospensione musicale che dilata la tensione drammatica esprimendo la supremazia dell'uomo sulla natura in un momento dell'anno, l'inverno, in cui tutto è sommerso, i colori sono ridotti e il silenzio è imperante. Picchiare, ammazzare solo perché sono una volpe   afferma prima di essere uccisa, a rivendicare il suo   status   pari a quello umano e a farci riflettere sulla supremazia dell'uomo sul pianeta. Il terzo atto si conclude con un ritorno alla natura, alla fusione di tutti i suoi componenti in un rinnovato patto pacifico e costruttivo. La musica, che ben tratteggia la psicologia dei personaggi, sostiene questo viaggio. Dalla separazione e dalla dicotomie natura vs uomo e natura vs cultura, attraverso le nozze e la morte, due riti comuni al mondo animale e a quello umano, il mondo recupera l'unità in uno stato di armonia connaturale alla Terra stessa. Come l'inverno lascia il posto alla primavera, così le barriere, la violenza e la sopraffazione fanno spazio alla pace, all'accordo spirituale proprio della vita, espresso con una danza di gioia. E intanto l'uomo depone le armi mentre continua il ciclo della vita ineluttabile e infinito.

Un'opera di non facile esecuzione, con delle complessità interne significative che l'Orchestra del Teatro Regio ha saputo rendere con grande maestria, sotto la direzione precisa e attenta dell'inglese Jan Latham-Koenig. Notevoli anche la performance del Coro del Teatro Regio e in particolare quella del Coro di voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio G. Verdi che si sono calati pienamente nel gusto fantastico del regista.

Il bell'allestimento ha potuto godere delle scene intimiste e dei costumi di Gideon Davey, delle emotivamente intense e colorate coreografie di Philippe Giraudeau e delle luci di Robert Carsen e Peter Van Praet, indispensabili per la creazione del tempo sospeso e fiabesco voluto dal regista canadese.

Tutto il cast è risultato convincente. Tutti hanno seguito perfettamente la complessa linea di canto. Abbiamo apprezzato particolarmente la straordinaria interpretazione di Lucie Silkenová nei panni della volpe Bystrouška. Scenicamente e vocalmente perfetta. Il suo timbro morbido e chiaro e la sua plasticità corporea le hanno permesso di rendere tutte le sfumature del complesso ruolo della protagonista. È riuscita a far arrivare al pubblico la dolcezza, l'intemperanza, la spregiudicatezza, la furbizia, la velocità, l'astuzia e la passione del personaggio accarezzando e graffiando con la sua voce i presenti, totalmente rapiti da lei.

Di grande spessore scenico e musicale Michaela Kapustová (Zlatohrbítek), Svatopluk Sem (Il guardiacaccia e La zanzara), Eliška Weissová (La moglie del guardiacacciae Gufo) e Jakub Kettner (Harašta), che hanno affiancato magnificamente la protagonista, arricchendo per valore l'allestimento nella sua globalità.

Sicuramente una scelta coraggiosa quella del Teatro Regio di Torino, scelta che abbiamo apprezzato in quanto risulta, a nostro avviso, fondamentale saper osare e andare al di là del Grande Repertorio che è a tutti noto e che è da tutti apprezzato. E non possiamo pensare che l'opera finisca con Puccini e Mascagni o che al di là del Bel paese e della Germania non ci sia nulla che valga la pena ascoltare e riproporre. Il Novecento vanta tra gli altri una triade importante formata da Strauss, Britten e Janácek compositori con background e sensibilità differenti. In particolare, Janácek non può essere confinato nella scuola ceca, data l'universalità della sua musica che in questo allestimento trova magnifica espressione. Il risultato è, infatti, uno spettacolo veramente interessante. Una fiaba molto singolare, capace di offrire stimoli e suggestioni anche a livello emotivo.

Annunziato Gentiluomo

25/1/2016

Le foto del servizio sono di Alain Kaiser.