RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


Le note sono solo segni

Tu devi andare oltre e vedere che cosa ti suggerisce la tua fantasia

“Non tutti possono impugnare la bacchetta di direttore d'orchestra. Si sa che il direttore non produce suoni mentre se un primo fiato o un primo ottone non sa eseguire un passaggio quella, sì, è una tragedia. Battere il tempo non è poi così difficile. Ma devi studiare a fondo per esprimere i tuoi desideri. Le note sono solo segni. Tu devi andare oltre e vedere che cosa ti suggerisce la tua fantasia. Come esprimere tutto questo attraverso il suono? Tecnicamente, dirigere è come trovarsi al pianterreno di un grande edificio: solo quando sarai al ventesimo piano, forse, puoi cominciare ad avere il suono che desideri”.

In due parole, Mariss Jansons.

Sonoramente, immensamente, incontestabilmente in cima alla lista dei migliori direttori d'orchestra al mondo (il più grande, oggi, dicono alcuni e potrebbero essere nel giusto) eppure così umanamente, formalmente e sostanzialmente determinato a star lontano dalla pazza folla della carta patinata, della “vipperia” osannante, del pedinamento mediatico.

C'è forse qualcuno ad occuparsi dell'evoluzione del suo ciuffo di capelli, della sua collezione di mogli e d'incarichi diplomatici? Qualcuno s'è mai “spalmato” a ritrarlo in vacanza al lago o in un'isola del Mediterraneo (che magari nel frattempo ha acquistato) o mentre autografa centinaia di foto in panama bianco? O qualcun altro ne riprende le mille posture mentre dirige?

Nient'affatto. Ciò che conta, è altro e oltre.

Ciò che Mariss Jansons è riuscito a restituire della II Sinfonia di Mahler al pubblico esaltato della Grosses Festspielhaus del Festiva di Salisburgo (e stavolta a ragion veduta e non venduta, altro che le rionali prodezze di Rolando Villazòn) era abbastanza da sollecitare una sindrome di adorazione incondizionata e persino isterica come e più che a un concerto dei Beatles nella golden age.

Per quasi un'ora e mezza di musica è stata vera, carnale e spirituale “Resurrezione”, così come recita il titolo della Sinfonia no. 2 (1888-1894) che Mahler componeva quasi in contemporanea con la Sinfonia no. 1 e che di questa sembrava essere il travolgente, filosofico sequel anche nella breve esegesi che ne diede l'Autore al giovane critico Max Marschalk: “Ho chiamato il primo movimento Todtenfeier (cerimonia funebre, ndr) e, se vuoi saperlo,è l'eroe della mia Sinfonia in re maggiore che seppellisco qui e la cui vita osservo, come in una visione dall'alto, in puro specchio. E al tempo stesso, la grande domanda: perché hai vissuto? Perché hai sofferto? Tutto non è altro che un terribile scherzo?”.

E la domanda martellante del V movimento, “Prorompendo selvaggiamente”, dispiegata dalla voce del contralto: “Credi, cuore mio, credi/ Niente è perduto con te! Tuo è ciò che hai desiderato, ciò per cui hai amato, ciò per cui hai lottato!”.

Ancora voci umane nella Seconda Sinfonia - non ve ne saranno più nella Quinta in cui Mahler si lascerà alle spalle la sua militanza nella liederistica – due mirabili interpreti femminili (oltre al Coro) ossia il soprano (Genia Küchmeier) e contralto (Gerhild Romberger) che cantano i versi tratti da Des Knaben Wunderhorn (il corno meraviglioso del fanciullo) di Armin e Brentano.

La “Resurrezione” del quinto movimento non può non predicarsi della Urlicht (luce primordiale) del quarto, un assolo di contralto che sembra preludere a un divino conforto: “Vengo da Dio e voglio tornare a Dio! Il buon Dio mi darà un lumicino, mi illuminerà la strada che porta alla vita eterna e beata!”.

Speranza chissà quanto (dis)attesa nell'ultimo movimento “Wild”, annunciato (o minacciato) da un rullo di percussioni, segno “selvaggio” di un Giudizio universale la cui clemenza coincide (forse) con la veemente ripresa del Coro della Radio Bavarese, ben istruito da Peter Dijkstra: “Riàlzati, cuore mio, sì, ti rialzerai in un batter d'occhio”.

Non abbiamo ancora detto dell'Orchestra – la formidabile Bayerischen Rundfunks – non solo per il vecchio principio del dulcis in fundo ma anche per riaccostarla di diritto al suo Direttore principale.

Infatti, la gloriosa Orchestra Sinfonica della Radio Bavarese – fondata nel 1949 e con Musica Viva “madrina” di tante nuove creazioni musicali del Novecento nonché pupilla, di volta in volta, dei più grandi, da Leonard Bernstein a Georg Golti, dai Kleiber a Esa-Pekka Salonen passando per Riccardo Muti – questa è dunque una delle due creature (l'altra è la prestigiosissima Concertgebow) a cui Mariss Jansons ha deciso di dedicarsi, negli ultimi dieci anni a questa parte. Lui che ne ha dirette di tutti i colori e i calori (dalla Cleveland Orchestra alla London Symphony), che è stato per trent'anni docente al Conservatorio di San Pietroburgo (quando lui vi studiava si chiamava ancora Leningrado) e negli anni letteralmente ricoperto di palmarès da tutto il pianeta musica, in testa i Berliner Philarmoniker e l'Accademia di Oslo – ebbene, lui, Jansons, oggi vuole solo due figlie: “Le ami tutte e due allo stesso modo, perché ogni ‘figlio' ha un carattere diverso”. Lui che, poco più che cinquantenne, è caduto dal podio mentre dirigeva Bohème ad Oslo (e pare che anche a terra, abbia continuato a dirigere, “Dicono così ma non me lo ricordo”) e che sul podio è tornato alla grande, munito di defibrillatore ma non di “calmiere” per emozioni e tensioni. Con la musica e l'ineffabile non si può.

“Lavoro prevalentemente in Germania, Olanda e Svizzera ma la mia casa è a San Pietroburgo. Vorrei che tutti i paesi si dessero in prestito le loro cose migliori. Io, per esempio, nutro grande ammirazione per la disciplina dei giapponesi”, risponde il maestro a chi gli domanda come sia riuscito a coniugare le sue origini lettoni (è nato 70 anni fa, nella Riga occupata dai nazisti) alla cultura russa, tedesca, inglese.

Seguirlo sul podio è esaltante, vederlo insieme con i “suoi” (orchestra, solisti, coro) è commovente. Perché, alla fine, inondato da tsunami di applausi e urla a squarciagola, Maris Jansons vuol rimanere tra loro e non già da monarca illuminato o da capo democratico ma da geniale e “normale” officiante della musica.

Consapevole, certo, delle sue responsabilità ma eticamente intatto e innocente come in quella foto in cui, a tre anni, figlio unico di papà direttore d'orchestra e mamma soprano, impugnava una matita a mo' di bacchetta davanti ad un quadernetto aperto a mo' di partitura.

E lì si trovava ancora al “pianterreno” di quell'alto edificio di cui ha superato da tempo non il ventesimo ma il centesimo, il millesimo piano.

 

Carmelita Celi

7/8/2013