RECENSIONI
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L'uomo è sogno d'ombra

Piero Sammataro

Realtà ed invenzione: termini apparentemente in contrasto, sui quali sin dall'alba della letteratura si è avvinghiata l'attenzione di artisti, filosofi, scrittori, e poi di critici ed attori. Dove inizia l'invenzione? O meglio dove termina la realtà? Su quale sottile limen possono incontrarsi questi due termini non neutri, terribilmente non innocui, disperazione dell'uomo l'uno, rifugio ideale e sempre agognato l'altro? Quesito annoso, nascostamente essenziale per gli esseri umani: perché la realtà è spesso più inverosimile dell'invenzione, densa di rimandi esistenziali, almeno quanto l'invenzione sembra dare un ordine logico a quel caotico magma che è la vita di ogni giorno, la vita nel suo insieme, la vita se rimandata alla sua finitezza.

E su tale interrogativo si è appuntata, per chi volesse leggere al di là delle parole, l'ultima fatica teatrale di Piero Sammataro, andata in scena al Teatro del Canovaccio di Catania dal 23 al 26 maggio: Ai vecchi ed ai giovani… sempre!. Un rimando esplicito ad uno dei romanzi di più ampio respiro di Luigi Pirandello, che suggeriva però nel sottotitolo un rapporto ben più profondo e cogente: Realtà nell'invenzione con parole di Luigi Pirandello.

Dunque realtà nell'invenzione, ma implicitamente anche la reciproca: invenzione nella realtà. Rapporto biunivoco ma ambiguo, che rimandava da un lato alla quintessenza dell'opera del sommo agrigentino, imperniata su una realtà grottesca, multiforme, paradossale, talvolta ben oltre le più ardite affabulazioni dell'invenzione, dall'altra ad un'articolata riflessione sull'esistenza umana, su quella linea oscura che separa vita e morte, giovinezza e vecchiaia, salute e malattia, fato e libertà.

Grande meditazione sul destino dell'uomo, Ai vecchi ed ai giovani… sempre! ha snodato dinanzi ad un pubblico attento e coinvolto un omaggio a Pirandello che era al tempo stesso un viaggio mentale dove realtà e invenzione si infrangevano l'una contro l'altra come le onde del mare in tempesta, in un rapporto di odio-amore tra gli elementi ostensivamente additato dalla presenza sulla scena di tre figure femminili, che il dialogo ha permesso di identificare in un elfo, in un folletto ed in una fata. Simboli elementali, rispettivamente dell'aria, del fuoco e dell'acqua (dato che la fata può essere assimilata alle ninfe delle fonti della mitologia greca), ai quali mancava il quarto elemento, la terra, che ci piace identificare nel protagonista, l'uomo narrante, che muovendosi dal Pirandello dei miti (e dunque dall'approdo finale della drammaturgia dell'agrigentino) snodava un sinuoso fil rouge che giungeva, passando per il fantastico de La Patente, al tremendo, inquietante, ma sempre grottesco realismo de L'uomo dal fiore in bocca.

Se gli spiriti elementali imbastivano un'affabulazione che rimandava alle fimmine di notte, ai figli scambiati, utilizzando il canto e la narrazione della trama de Il Trovatore, dove lo scambio dei figli assume una titanica tragicità, e le note del Dies Irae del Requiem di Mozart rimandavano ossessivamente all'esito fatale e finale del Dasein umano, il narratore riempiva di sé la scena, in una vitalità panica dove, quasi in una Lichtung di heideggeriana memoria, realtà ed invenzione, destino e libertà trovavano uno svelamento a tratti palpabile, a tratti soltanto alluso, ma sempre incombente sulla recitazione.

Testo complesso e colto nella più piena accezione del termine, che meritava un attore che sapesse far vibrare ogni parola, rendere significante ogni gesto, rompendo talora le barriere tra scena e pubblico. E Piero Sammataro ha incarnato tutto questo con estrema disinvoltura, dialogando con gli elementi, accompagnando con gestualità scultorea le parole, imprimendo alla sua mimica, nei momenti in cui taceva per lasciare spazio agli spiriti elementali, una maschera che costituiva essa stessa un linguaggio, e che additava allo spettatore la chiave per interpretare quel che si svolgeva sulla scena. Attore di alta scuola, dotato di una tecnica di recitazione eccellente, ha dimostrato che non sempre gli anni tolgono smalto e nitore ad un artista, ma che anzi lo rendono più intenso, profondo, in grado di scolpire sul volto, meglio che nell'età giovanile, quel che le parole, raggelate nel loro significato quotidiano, non riescono più a esprimere.

Ottima la prova delle tre giovani attrici Silvia Corsaro Boccadifuoco, Manuela Perillo e Carmela Silvia Sanfilippo, che hanno evidenziato buona tecnica, un notevole controllo della gestualità e una discreta mimica, che consentirà loro certamente di ottenere notevoli risultati in ambito teatrale.

Giuliana Cutore

27/5/2013