RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

4 e 44: un tetragono ventennale

I fan delle strutture ricorsive saranno stati entusiasti. Due sinfonie, ciascuna in quattro movimenti ed entrambe con un soprannome: la nº44 di Franz Joseph Haydn e la nº4 di Anton Bruckner; il giorno 4 marzo 2024 (trecentoquarantaseiesimo compleanno di un altro Antonio, il nostro Vivaldi; ma non divaghiamo); eseguite dalla Filarmonica TRT, che sta per Teatro Regio Torino… al Regio di Torino. Un concerto tutto all'insegna del numero quattro, di coincidenze e ricorrenze, quello diretto da Yutaka Sado. E, tra le ricorrenze, mettiamoci anche il duecentesimo compleanno di Bruckner stesso. Il giorno e l'anno, per lo meno, se non il mese. Nato ad Ansfelden il 4 settembre 1824, vedrà in autunno la cifra tonda esatta (come Smetana, che l'ha festeggiata due giorni prima del concerto, il 2 marzo; ma ripeto, non divaghiamo).

E mettiamoci anche, dulcis in fundo, i vent'anni di attività della TRT: un ventennale (ventennio suona male…) sicuramente da ricordare, dato lo splendido esito del concerto, applaudito con ragionevole fervore, peraltro l'unico in tutto il pur vasto ventaglio di stagioni concertistiche torinesi (che sono ben tre, a citare solo quelle principali, Regio, Lingotto e Rai) a programmare una Sinfonia di Bruckner. Smetana, invece, non pervenuto…

Il concerto è stata anche un'occasione per constatare in che modo il genere sinfonico si sia evoluto nell'arco suppergiù di un secolo in area austro-tedesca. La Sinfonia nº44 in mi minore Hob.I:44 di Haydn, una delle pochissime in minore del bonario “papà”, risale al 1772 e si colloca nella temperie culturale dello Sturm und Drang. I mezzi espressivi sono ancora quelli dell'orchestra di corte, archi al completo più una coppia di oboi e una di corni a fare da “pertichini” armonici più che melodici, col grosso del lavoro demandato a violini e viole. Eppure, si respira già aria di preromanticismo, soprattutto nelle folate impetuose degli archi nel primo e nel quarto movimento. Aggiungiamo poi che il terzo, l'Adagio, Haydn stesso l'avrebbe voluto eseguito al suo funerale, a quanto sembra (strano, perché è il più sereno dei quattro), ed ecco tutto quel che serve a confezionare il soprannome di “Trauer-Sinfonie” o “Sinfonia Funebre”.

Sado richiede per la “Trauer” un'orchestra difficilmente rinvenibile al tempo di Haydn, e sensu stricto si potrebbe parlare di esecuzione non filologica; a parte ovviamente la sonorità “moderna” di oboi e corni, è il numero degli archi a stupire: cinque contrabbassi, che si estende proporzionalmente agli altri, una quarantina abbondante in tutto. Ma non è un male: ché coi tempi serrati e la tensione infusa in essi dalla sua direzione ferma ed espressiva, oltre ad un'orchestra di prim'ordine che sa stargli dietro, scattante pur nelle ampie dimensioni, Sado dà vita a una “Trauer” di grande coinvolgimento, non sacrificando ad esso la purezza e la nitidezza del suono, anzi, evidenziando quei pochi ma significativi interventi dei fiati (corni in particolare) e sottolineando a dovere gli sforzati degli archi, soprattutto nel Finale. Ne esce un'esecuzione “alla romantica”, o “alla preromantica”, se vogliamo, nervosa, ribollente, magmatica nei due movimenti liminari, più meditativa in quelli centrali dove, passando per il Minuetto, triste ma non rabbioso, il clima si distende nel succitato Adagio, in cui rivive la grazia della corte settecentesca. Ad-agio, e non lento, manierato sì, ma sempre sostenuto, tenendo fede a un 2/4 pieno di biscrome: a questo si attiene Sado, non trascinando mai tempo e condotta ma sempre mantenendoli vivi, come l'attenzione del pubblico. Eppure, tale tensione di fondo non gli impedisce quasi, come dire, di “ninnare” il tema principale, trattandolo con tenerezza. Forse è per questo, allora, che Haydn l'avrebbe voluto per il suo funerale: per la sua funzione consolatrice, più di tanti altri brani che della morte esaltano il lato triste.

Centodue anni più tardi, 1874, ecco Bruckner alle prese con la sua Quarta , detta “Romantica” non dai commentatori, come per la “Trauer”, ma dal compositore stesso. All'ombra delle lucenti armature dei cavalieri medievali, di suggestive scene di caccia (lo Jagdscherzo ), di feste popolari (una prima versione del Finale era stata intitolata da Bruckner Volkfest), forse di mari in tempesta e chissà cos'altro, la Quarta è l'unica delle Sinfonie bruckneriane ad avere un programma più o meno esplicito; il fatto che il compositore non l'abbia mai steso compiutamente e reso pubblico non autorizza però a vedervi tout court della “musica a programma”: il dissidio tra la corrente liszt-wagneriana, cui Bruckner appartiene per la sua dichiarata ammirazione per il Lipsiense, e quella dei seguaci di Brahms e della musica pura, dovrebbe essere ridimensionato a una querelle molto meno dicotomica.

Il rovello creativo di Bruckner, i frequenti ripensamenti che l'hanno portato nel corso della vita a cicliche revisioni di quasi ogni sua opera, è particolarmente evidente nella storia compositiva della Quarta. Quella eseguita da Sado e della Filarmonica TRT non è la Ur-Fassung del 1874, ma la seconda o terza versione (dipende da come si contano: in genere si parla della seconda), quella che presumibilmente raccolse il successo alla prima assoluta a Vienna il 20 febbraio 1881 (cosa strana nella sua vita; peraltro, successo passeggero, che non si consoliderà fino alla Settima), oggi conosciuta come “versione 1878/80” pubblicata da Nowak nel 1953 – tra parentesi, quella eseguita più di frequente, con l'organico che include già la tuba, presente nelle versioni dal 1878 in poi, ma non ancora il terzo flauto/ottavino e i piatti, come avverrà in quella del 1888. Non è dato sapere invece in quale versione figuri il prolungato intervento di una suoneria di cellulare nell'Adagio

La “Romantica” di Sado è principalmente la “Romantica” dei contrasti, che rispetta in pieno i pianissimi seguiti dai fortissimi immediati, tratto distintivo del comporre bruckneriano, di derivazione organistica. Il suono si ripiega fin quasi ad annullarsi per poi riesplodere, e questo tanto nel primo quanto nell'ultimo movimento. Così come appare efficace il contrasto fra le sezioni esterne dello Scherzo e il Trio, reso intimistico, col rilievo dato al disegno dei legni, sovente invece sospinto in secondo piano. Direzione plastica, mutevole, che segue le pieghe del discorso melodico, che lo asseconda, lo esalta e lo facilita, permettendo agli elementi solistici di svettare sul resto dell'orchestra, corno in primis ma non solo; direzione che dosa le forze con perizia, avvalendosi di un gesto direttoriale spiccatamente comunicativo. Cosa non da poco nel modo di orchestrare talvolta prevedibile (i ribattuti delle trombe sono quasi onnipresenti nel suo mondo sinfonico), talvolta spiazzante di Bruckner, di sicuro non facile da rendere. D'altro canto, Yutaka Sado è ospite più che decennale del Regio, e il concerto in questione è il frutto di un dialogo mai interrotto con la realtà musicale torinese, ed è questa intesa, questo dialogo, forse, il segreto della riuscita. Non vi sono le espansioni di un Celibidache, la maestosità di un Tintner; ma c'è equilibrio, c'è tatto, unità, studio e comprensione degli intenti compositivi. Particolarmente efficace è ad esempio l'enucleazione dei rimandi tematici, talvolta solo accenni, del Finale ai movimenti precedenti, in quell'intento teleologico che i Finali bruckneriani hanno di ricapitolare l'intera sinfonia; la coda, poi, riesce in modo mirabile a comunicare quella sensazione di “risalire la china” faticosamente, dopo l'ultimo inabissamento, sempre in bilico fra maggiore e minore, fino alla conquista della luce in fondo al tunnel, una vittoria sudata, senza sconti, al termine di un Finale tutto a saliscendi emotivi che difficilmente appare fluido all'ascolto, come in questo caso, e non “fratto”.

A proposito di orchestra, Sado la allarga a sette contrabbassi, in luogo dei canonici otto, ed opta per la disposizione cosiddetta “americana corretta da Furtwängler”, con gli archi cioè che si fanno progressivamente da acuti a gravi dalla sinistra alla destra del direttore (in pratica scambiando viole e violoncelli). E che orchestra, signori, ora che se ne possono apprezzare tutte le potenzialità, dagli assoli ai pieni. Più di un'ora di musica in cui c'è modo di tastare con mano il nitore del suono, la potenza dei pieni, la tenuta di una compagine messa davvero alla prova in una selva di difficoltà esecutive, dalle poliritmie, abbondanti soprattutto nel Finale, agli svariati atteggiamenti espressivi. Sarebbe impossibile elencare i numerosissimi momenti salienti in cui la TRT ha avuto modo di distinguersi. Bastino a mo' d'esempio i delicati rilievi del flauto di Sara Tenaglia nella ripresa del primo movimento, la sonorità piena e pastosa degli archi (tra i quali anche Giuseppe Lercara, violino primo dell'Orchestra Sinfonica Nazionale, chiamato a sostituire forse un membro indisposto), resi massa coesa, liquida e uniforme nell'Andante, quasi allegretto, le sfolgoranti cavalcate di corni e trombe nello Scherzo, bruniti e virili gli uni, squillanti le altre. Un plauso particolare va proprio alla sezione dei quattro corni, la cui sonorità è continuamente chiamata in causa, dal richiamo “boschereccio” che apre il primo movimento, fin quasi alla conclusione; applaudita già al termine della “Trauer”, Maria Elisa Aricò, primo corno, viene ri-applaudita, e con più fervore, al termine della “Romantica”, che, al netto di qualche scusabile sbavatura, sostiene degnamente una parte più che impegnativa. Fragorosi infine gli applausi sia per l'orchestra tutta, sia per Sado, a sancire la piena riuscita del concerto e dei primi vent'anni di attività della TRT.

A proposito di applausi, è singolare che vi sia stato un applauso alla fine di ogni movimento, sia di Haydn, sia di Bruckner. Di quegli applausi “a mezza voce”, timorosi, che quasi si interrogano sulla loro liceità di esistere («Devo applaudire? Non devo?»). E questo fa riflettere, non tanto sul galateo musicale, e sul suo rigido rispetto, quanto sulla naïveté del pubblico e sul suo riflesso di battere le mani, non si sa se condizionato o meno dalla situazione o dal reale apprezzamento dei brani: perché diciamocelo, da una parte, se un pezzo piace, perché non applaudirlo, anche se è un movimento intermedio di una composizione più vasta? Al tempo di Haydn si usava (si usava anche mangiare e chiacchierare, se è per questo …); vero è che dall'altra, distrae da un ascolto immersivo Una prova in più di quanto sarebbe da reinserire nelle scuole un po' di sana educazione musicale.

Christian Speranza

7/3/2024

La foto del servizio è di Yuji Hori.