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EDITORIALE

25/4/2024


Il mondo onirico di Sonnambula

È il soggetto stesso di Sonnambula a dettarne i contorni indefiniti, pregni di smarrimento e intessuti di sostanza immaginativa. L'interesse di Bellini sul fenomeno, all'epoca da tempo all'attenzione degli studiosi, denota una curiosità verso le zone di confine della coscienza, metafora della malattia e della morte. Pur senza voler investire l'autore di prefigurazioni psicoanalitiche, è indubbio che questo titolo si presti a peculiari incursioni nella modernità. L'allestimento visto al Teatro dell'Opera di Roma e curato da Jean Philippe Clarac e Olivier Deloeuil del collettivo le lab di Bordeaux punta proprio a evidenziare le particolari suggestioni del testo, il suo carattere sostanzialmente aperto. L'intenzione è quella di lasciare allo spettatore il compito di riempire i vuoti, facendosi parte attiva in un accattivante gioco di stimoli interpretativi. Peccato che la realizzazione resti sulla carta, e non approdi a esiti convincenti. Il contrappunto filmico a quanto avviene sulla scena presenta un alter ego di Amina, che si dipinge le unghie in una camera d'albergo che fu della Callas, oppure si addormenta sognando l'azione vera e propria che si svolge di fronte ai nostri occhi. Che il luogo sia una galleria d'arte lo dicono le note di regia, anche se sembra più una sala allestita per una sfilata di moda. Notazioni ironiche, come i due cuscini cuciti dietro la testa di Amina a esplicitare il suo sonnambulismo, vogliono forse evidenziare il carattere ibrido del titolo, il cui afflato preromantico mostra ancora derivazioni dall'opera buffa settecentesca, inserite in strutture di neoclassica purezza. Anche i quadri proiettati in originale e in declinazioni contemporanee non superano il mero decorativismo. In sostanza uno spettacolo esteticamente non disprezzabile, ma povero di idee e assolutamente vacuo.

Peccato, perché la realizzazione musicale è superba. Lisette Oropesa estrinseca il virtuosismo di Amina con naturalezza estrema e lirismo sempre volto all'espressione sentimentale. Le sta accanto l'Elvino altrettanto valido di John Osborne, limpido e morbido nel fraseggio, sensibile sia nello sdegno dell'amante che si crede tradito, quanto commosso nello scoprire la fedeltà della promessa sposa. Notevole anche il conte di Roberto Tagliavini, dalla voce profonda e nobile. Brave infine, benché più prosaiche, Monica Bacelli (Teresa) e Francesca Benitez (Lisa). Tale profluvio vocale non sarebbe completo senza la presenza di una bacchetta intelligente e incline alla poetica belliniana come quella di Francesco Lanzillotta. Il direttore mostra sintonia totale con la partitura sfatando, se mai ce ne fosse bisogno, l'idea che l'orchestra belliniana sia mero accompagnamento al canto. La sua concertazione esalta la timbrica preziosa e le sottigliezze strumentali, in definitiva la magnifica e profonda semplicità del compositore catanese. Un'ultima notazione merita il coro, vero personaggio coinvolto durante tutto il corso della vicenda, sempre perfetto nei suoi interventi. Trionfo per tutti, in particolare per la Oropesa che viene letteralmente sommersa dagli applausi entusiasti del pubblico.

Riccardo Cenci

La foto del servizio è di Fabrizio Sansoni.

 

 

 

 


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