RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Italianità di Riccardo Muti

Formidabile compagine la Chicago Symphony Orchestra, forgiata da direttori musicali leggendari, primo fra tutti Georg Solti. La nomina di Riccardo Muti a Direttore Musicale Emerito a Vita del complesso statunitense, che ha guidato dal 2010 sino al 2023, sancisce un legame strettissimo, una sintonia totale confermata dal concerto, ultimo della tournée europea, tenutosi presso il Teatro dell'Opera di Roma. Muti appare in grande forma fisica, molto concentrato tanto da attendere il silenzio assoluto prima di modellare le atmosfere soffuse del Lago incantato di Anatolij Ljadov. Sorta di Oblomov della musica, tacciato di patologica pigrizia, Ljadov raramente compare nella programmazione delle nostre istituzioni. Si trovava a proprio agio nelle dimensioni raccolte, miniaturistiche, nelle quali effondere un non comune talento coloristico. Esecuzione impeccabile, perfettamente calibrata nei dettagli cromatici, nelle sfumature pastello diffuse con sapiente maestria. L'impressione è di una quiete assoluta, appena increspata da impercettibili note chiaroscurali. Ben più esuberante e sfarzosa la fantasia del collega Igor Stravinskij, profusa a piene mani nell'Uccello di fuoco, del quale è stata proposta la ben nota suite realizzata a Morges nel 1919. Nel magma di derivazioni rimskiane si mostra già la personalità originale del compositore, in particolare nei procedimenti ritmici che anticipano la Sagra della Primavera. Anche in questo caso Muti si fa apprezzare per l'ampiezza del ventaglio dinamico e per la chiarezza del tessuto timbrico. L'Orchestra risponde alla sua gestualità con precisione assoluta.

Colpisce l'omogeneità degli archi, l'esattezza degli interventi di ogni singola sezione, dai legni agli ottoni. Medesimo discorso per Aus Italien di Richard Strauss, brano piuttosto controverso nella sua mescolanza di folclore italiano e pensosità germanica che convince maggiormente nei brani paesaggistici, nelle suggestioni atmosferiche, nelle quali Muti è maestro. Pensiamo all'afflato lirico con cui viene descritta la campagna romana, o al suggestivo frangersi delle onde sulla spiaggia di Sorrento. Nel finale l'accenno alla nota Funiculì, funiculà si disperde in un magma sonoro tipicamente teutonico, che trasfigura il bozzetto caratteristico della vita quotidiana a Napoli. Muti non indulge a tentazioni macchiettistiche, ma porta avanti il discorso musicale con seriosa pregnanza. Prima del bis. Il direttore si rivolge al pubblico. Se prima aveva mostrato segni di disappunto per una platea a tratti troppo rumorosa, plaudente persino fra un movimento e l'altro, incurante del galateo sinfonico, ora appare più rilassato. Saluta con calore un orchestrale al suo ultimo concerto con la CSO prima della pensione, chiama i solisti uno ad uno per ricevere i meritati applausi, cita Orazio, spiega come l'orchestra stessa abbia voluto chiudere la tournée nell'amata cornice romana, domanda con fare scherzoso al vescovo di Chicago, presente in sala, il motivo per cui la Chiesa abbia mandato al rogo Giovanna d'Arco. Bis annunciato dunque, con l'ouverture della Giovanna d'Arco di Verdi, e qui il direttore napoletano è nel suo terreno d'elezione. Pubblico giustamente in delirio.

Riccardo Cenci

31/1/2024

La foto del servizio è di Todd Rosenberg.