RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Una Terza a cento all'ora

Per Mahler la Sinfonia nº3 in re minore riveste un significato particolare: se, come ha detto a più riprese, una sinfonia deve essere come il mondo, deve contenere tutto, qui la tesi si invera nel senso più pregnante, poiché viene messo in musica l'intero creato, dalla natura inanimata delle rocce e delle montagne del primo movimento, dai fiori del secondo (natura vegetale) e dagli animali del terzo, fino all'uomo nel quarto, agli angeli nel quinto e a Dio/amore nel sesto: il titolo dato da Mahler all'ultimo movimento è duplice, perché, in questa visione panteistica della natura, Dio è visto come intuibile soltanto come amore. E, se nel quarto e nel quinto vi è ancora la voce umana a guidare l'ascolto, con O Mensch!, dall' Also sprach Zarathustra di Nietzsche, e con Bimm, bamm, ancora una volta dal Wunderhorn di Clemens e Brentano, nel sesto, superamento e coronamento di ogni stadio ontologico, è soltanto la musica a parlare, poiché a tale altezza si è arrivati, da non poterne cogliere l'essenza col linguaggio umano.

Come per tutte le sinfonie del primo periodo, date e luoghi di composizione sono difficili a ricostruirsi, intrecciati alla composizione dei Wunderhornlieder e soggetti alla vita ancora in parte errabonda di Mahler, non ancora residente a Vienna: per esempio, il terzo movimento, del giugno-luglio 1895, rielabora in forma di Scherzo il Lied Ablösung im Sommer (Cambio della guardia d'estate) di alcuni anni prima; ma è nel biennio 1895-96 che il grosso del lavoro prende forma. La première sarà il 9 giugno 1902 a Krefeld, nel pieno lavorio della Quinta .

Nell'ambito del Festival Mahler 2023, la Terza viene eseguita presso l'Auditorium di Milano (Fondazione Cariplo) dall'Orchestra Sinfonica, dal Coro Sinfonico e dal Coro di Voci Bianche di Milano, in occasione dei trent'anni del primo e dei venticinque del secondo, con la partecipazione del mezzosoprano Anke Vondung, tutti diretti da Claus Peter Flor, impegnato anche in altri appuntamenti del Festival, tra cui l'attesissima esecuzione dell'Ottava in Duomo.

All'ingresso degli orchestrali, vi è l'impressione che, per quanto spazioso, l'Auditorium non basti a contenerne il numero cospicuo (circa cento): e, pur non toccando di poco le dimensioni della “grande orchestra” modernamente intesa – sedici violini primi e le altre sezioni a scalare di due in due: qui ci si attesta sui quattordici primi –, tra orchestra e coro c'è un sovraffollamento di palco difficile a credersi. Il pregevole rivestimento ligneo dell'Auditorium consente tuttavia una buona acustica e rende gradevole l'ascolto. D'altronde non è facile allestire una delle sinfonie più grandiose mia scritte. Flor, al termine dei concerto, deve spostare di lato qualche sgabello per poter uscire e rientrare ai richiami degli applausi, ma ne vale la pena, perché il pubblico accoglie festosamente sia lui, sia Anke Vondung, sia i due Maestri dei Cori, Massimo Fiocchi Malaspina per gli adulti, Maria Teresa Tramontin per i bambini (a sua volta mezzosoprano del Coro Sinfonico di Milano con esperienza ultraventennale); e sia anche Alessandro Rosi, prima tromba dell'orchestra, chiamato sul palco a prendersi la sua doverosa e meritata fetta di gloria per gli interludi fuori scena del terzo movimento, da Mahler pensati per la cornetta da postiglione e oggi eseguiti solitamente da una tromba in re, che crea, con la sua lontananza e il suo timbro penetrante, un'atmosfera come di tempo sospeso, di quiete, di vero “suono di natura” («Tutta la mia musica non è che un suono di natura» scriveva Mahler). L' “episodio della cornetta” fa centro anche stavolta e si conferma come forse il più efficace della sinfonia, qui servito a dovere da un'interpretazione di raro nitore da parte di Rosi e di un bel tempo largo da parte di Flor, che, oltre a relegare in un diafano pianissimo il resto dell'orchestra, rispetta le varie indicazioni mahleriane, molto esplicite, quali Sehr gemächlich (Molto piacevole , nel senso di “non duro” nell'espressione), Zeit lassen! (Dagli tempo!), Zurückhaltend (Trattenuto).

Stupisce, perciò, che, di fronte a tale rispetto della partitura, tenuta sotto gli occhi dallo scrivente per tutta la durata del concerto, Flor si muova con disinvoltura poco condivisibile lungo gran parte del primo movimento. Una delle descrizioni preliminari per questa amplissima apertura di sipario è «L'estate arriva marciando», poi successivamente cambiata chiamando in causa il risveglio di Pan, poi un più generico “risveglio dell'estate”, ecc. Resta il fatto che l'andamento di marcia, addirittura ridotto a pura espressione ritmica nell'assolo di rullante che introduce la riesposizione (il movimento è in forma sonata, pur con molte licenze), predomina in tutto il movimento, ora solenne, ora incalzante; e, pur non mancando indicazioni a mantenere il pezzo bello sostenuto, come Etwas drängend – Più mosso – Immer noch drängend in rapida sequenza (Un poco affrettato – Più mosso – Sempre più affrettato), ciò non deve essere interpretato come il via libera ad una condotta frenetica, ai limiti dell'esagitato. È ciò che si è colto invece nella lettura di Flor: una lettura inizialmente misurata, come si conviene all'austera prima parte del movimento, tutta giocata sui timbri bruniti di corni e tromboni; poi, man mano che le sonorità si fanno più morbide e il tema inizia il suo sviluppo, si assiste a un'accelerazione progressiva, a fronte di indicazioni quali Immer dasselbe feuerige Marschtempo, ohne zu eilen, cioè Sempre lo stesso ritmo di marcia infuocato, senza affrettare. E vorrà ben dire qualcosa quel senza affrettare … Flor invece affretta. E affretta anche parecchio, dando in certi momenti al brano una fisionomia convulsa, resa caotica da una concertazione tra le parti che sfuma – e d'altro canto non potrebbe essere diversamente, con un'orchestrazione che raramente scende sotto i venti pentagrammi – e giocoforza da sezioni strumentali che tentano di stare al passo senza stonare, riuscendoci in grazia di una tenuta veramente ammirevole e salda. Un tour de force nel quale vengono purtroppo travolti soprattutto gli otto corni, manchevoli diverse volte di un suono pulito e non sempre sincroni (a cominciare dalla fanfara d'apertura, dove il tempo è ancora moderato). A loro discolpa è da dire che la domanda tecnica è elevatissima e il loro impegno pressoché costante lungo tutta la partitura. Chi invece spicca per brillantezza di suono è la sezione dei tromboni, capitanata da Giacomo Ceresani, giustamente applaudito per il lungo assolo del primo movimento.

Come ormai d'abitudine, la lunga pausa, addirittura un intervallo, tra il primo movimento, che da solo costituisce la prima parte della Sinfonia, e i seguenti, non viene osservata: giusto qualche minuto per riaccordare gli strumenti. Si procede con il secondo e il terzo, diretti secondo prassi, con un bel Tempo di minuetto per il secondo, e il Comodo, scherzando del terzo. E anche se il finale del terzo rispetta lo spirito con cui è stato scritto, concludendo con la ridda degli animali che si ribellano all'uomo, pure non raggiunge le congestioni del primo, che qui invece sarebbero state più accettabili. Con il Sehr Langsam, il quarto, la dimensione cambia, e la voce oltremodo pura, cristallina, di Anke Vondung convince pienamente nel declamare sia il testo nietzschiano – trattenendo le dinamiche per renderlo ancor più Misterioso (altra agogica mahleriana) e secondato da una prova d'orchestra mirabile, che stavolta si prende tutto il tempo che la sacralità del brano richiede (sulla falsariga dell'Urlicht della Seconda Sinfonia) –, sia quello del Wunderhorn nel quinto movimento, dove impersona l'anima contrita di fronte al banchetto di Gesù. I Cori si mostrano all'altezza del compito, dando un saggio della loro coesione e della loro grande omogeneità, e pazienza se la logistica impedisce di poter collocare le voci bianche in un luogo sopraelevato, come prescritto da Mahler, per spazializzare il suono e dare l'idea delle voci angeliche che piovono dall'alto.

Ben riuscita anche l'esecuzione della pagina conclusiva, ascensione a vette ancora sconosciute, faticosa, incerta, che aspira al sublime ma che per due volte si volge indietro, rovinando giù verso il primo movimento, che viene citato, con questo dando un senso di globalità; ma il trionfo, con quei colpi di timpano da parte dei due timpanisti (invero non perfettamente sincroni…), è una luce accecante che chiude la Sinfonia come meglio non si potrebbe fare. Solennità e sfolgorio non mancano, in quello che si può vedere come un vero e proprio riscatto direttoriale rispetto all'inizio precipitoso. L'accento viene posto sulla visione globale del movimento, e l'orchestra ben si presta a questa visione, curando particolarmente un suono denso e caldo e sigillando nel ricordo una Terza nel complesso non eccelsa ma ben riuscita. Gli applausi si prolungano per numerosi richiami, da parte di un Auditorium quasi al completo, con Flor, Vondung, Fiocchi Malaspina, Tramontin e Rosi mano nella mano come il cast di un'opera. Perché in fondo, un po' la Terza, tra orchestra, solista e cori, lo è. È un'opera-mondo.

Christian Speranza

7/11/2023
Le foto del servizio sono di Angelica Concari.