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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Da un milanese un nuovo sguardo sulla Sicilia

Marco Tutino

 

Abbiamo incontrato il maestro Marco Tutino alla vigilia del debutto catanese con le sue opere in un atto La Lupa del 1990, tratta dalla novella omonima di Giovanni Verga, su libretto di Giuseppe Di Leva, e Il Berretto a sonagli, tratta dalla commedia di Luigi Pirandello, su libretto di Fabio Ceresa, che avrà a Catania la sua prima assoluta, in quanto nuova commissione del Teatro Bellini. Il maestro ha risposto con cortese esaustività alle nostre domande, acconsentendo anche a evidenziare tratti del suo lavoro compositivo, dei suoi rapporti con librettisti e registi, e fornendo spunti che hanno accresciuto di molto la curiosità per queste due opere, la cui prima sarà l'1 marzo, con repliche sino al 9.

Verga e Pirandello: ha una particolare motivazione questo accostamento? Si tratta di due aspetti per certi versi opposti della sicilianità, pur all'interno di una tematica comune. Ha scelto lei Pirandello, e in particolare Il berretto a sonagli, o è stata una richiesta esplicita del Bellini di Catania?

Direi che è stata una discussione che abbiamo fatto assieme: l'idea è stata appunto quella di concentrarci su due autori siciliani di rilievo, di grande rilievo, e certamente lontani tra di loro, sia stilisticamente che temporalmente, ma molto conosciuti, noti. Quello che io ho sempre pensato è che l'opera contemporanea debba comunque, quando può, ricorrere a soggetti conosciuti, che, come dire, danno un segnale di apertura al pubblico immediato, e ci è sembrato che anche questi due testi, sia La lupa, che è un'opera che ho scritto tanti anni fa, che Il berretto a sonagli, fossero molto adatti e molto popolari soprattutto.

Ma allora, cosa l'ha colpita e l'ha indotta a scegliere proprio Il berretto a sonagli nella produzione di Pirandello, naturalmente tralasciando il teatro dei miti e il ciclo del teatro nel teatro? Perché proprio Il berretto a sonagli? Perché c'è una contiguità magari di argomento con La lupa?

No, non c'è una contiguità immediata, diciamo, ma Il berretto a sonagli mi ha dato la possibilità intanto di operare dei cambiamenti, perché quando un autore d'opera si rivolge a un testo letterario, per forza deve trasformarlo in un'altra cosa: l'ha fatto Verdi con Shakespeare, e quindi ho pensato che potevo farlo io con Pirandello, e perché ci sono due figure femminili: in entrambe le opere queste figure femminili hanno una centralità, un'importanza notevole, e sono diametralmente opposte, e quindi a me è sembrato particolarmente interessante poter mettere in scena due problematiche che riguardano la figura femminile, in quest'epoca soprattutto, nella quale di questo si parla molto…

Musicare Pirandello dopo Verga: tra i due autori, quale ha sentito più vicino ai suoi moduli espressivi?

Ma direi entrambi, sono due soggetti veramente diversi. Nella Lupa si parla di un'ossessione, e quindi è un testo più psicologico, che invoglia a scavare nella psicologia, nella temperatura drammatica, mentre Pirandello ha degli elementi anche opposti, perché è una commedia, palesemente una commedia che ha caratteristiche in divenire: inizia come una commedia leggera, brillante, e piano piano si trasforma in una commedia più drammatica, in un testo più forte. Con le modifiche poi che abbiamo apportato, io e il librettista, Fabio Ceresa, il dramma diventa ancora più forte.

Bene. Ma quindi, così come nella Lupa, voi avete apportato delle modifiche; ma l'avete trasposto, come il lavoro di Verga, ai giorni nostri, avete mantenuto per esempio il ruolo di Ciampa come personaggio pirandelliano, cioè proprio come quello che a un certo punto, spiega le motivazioni profonde della vicenda?

No, l'abbiamo lasciato esattamente negli anni '20, precisamente nel '24, cent'anni fa precisi… Nel testo di Pirandello, certo, Ciampa è mantenuto e accresciuto, non è più un semplice scrivano, un semplice contabile, ma diventa un personaggio che ha delle sfaccettature molto più complesse, molto più forti, che ci sono servite per raccontare una storia drammaticamente più intensa, perché l'opera ha bisogno di pennellate decise…

Sì, indubbiamente… Ma, lei come interagisce, durante il suo lavoro, con il librettista? È un rapporto paritario, o più simile a quello dei compositori d'opera del passato, tipo il maestro Verdi vuol così ?

Nel rapporto col librettista è chiaro che il compositore ha esigenze che vengono prima, e il lavoro è sempre a quattro mani: l'opera in realtà nella mente del musicista comincia formarsi mentre il musicista collabora al libretto. In quel momento si formano le prime idee musicali, e anche la struttura si delinea, quindi è il momento fondamentale…

Quindi diciamo che c'è un rapporto paritario…

Alla fine decide il compositore. Se c'è un conflitto… se mai ci fosse un conflitto, l'esigenza della musica poi alla fine deve vincere…

Un livornese ha musicato Cavalleria, dopo il forfait di un altro toscano, che era Puccini, per liti con il nostro Verga, e adesso un milanese compone in tempi moderni due opere di due siciliani lontani tra loro. Crede sia solamente un caso, oppure la nostra terra, la Sicilia, può essere meglio vista nelle sue atmosfere e contraddizioni da chi la vede da più lontano?

È interessante questo…non saprei, nel senso che io ho un rapporto con la Sicilia molto antico, molto stretto, ho anche costruito una casa in Sicilia, quindi mi sento appartenente quasi… Però sì, credo che aiuti riuscire ad avere un certo distacco iniziale, osservare le cose un po' dall'alto, da distanza, perché la creatività, nella sua fase iniziale appunto, ha bisogno di un po' di freddezza dal punto di vista dell'analisi di quello che si vuol fare…

Di non lasciarsi coinvolgere sin dall'inizio dall'atmosfera…

In effetti sì, e penso che questo possa essere una ragione… Poi, naturalmente, è chiaro che, dal mio punto di vista, c'è verso questa terra un'affezione molto particolare, e questo mi fa un mezzo milanese

Diciamo quindi che è un siciliano quasi di adozione…

Esatto…

Noi siamo abituati al classico dittico Cavalleria Rusticana-Pagliacci… Lei crede che La lupa e Il berretto a sonagli, d'ora in poi, dovranno sempre essere eseguiti in un dittico, cioè adesso sono fortemente legati nel suo immaginario musicale e compositivo, e quindi lei vorrebbe sempre vederli rappresentati insieme o sono due momenti ben distinti che possono continuare a vivere di vita autonoma?

Sono distinti temporalmente moltissimo, perché La lupa ha trentaquattro anni di vita e Il berretto pochi mesi… Io li vedo molto bene assieme, ha molto senso questa accoppiata… poi naturalmente anche Cavalleria e Pagliacci alle volte io li ho visti accoppiati con altri titoli, quindi non è impossibile…

Anche se è una moda recente questa di sdoppiarle…

Sì, è vero, è verissimo. Direi che farle insieme è secondo me una buona idea, ma poi i teatri saranno liberi di decidere…

Naturalmente. Quindi sono parte di un discorso anche sul femminile siciliano…

Certo, assolutamente sì.

I suoi moduli compositivi si muovono sempre all'interno della tonalità tradizionale oppure si allontanano da essa, con avvicinamenti alla politonalità o al minimalismo, o ad altro?

Naturalmente io uso un linguaggio che rispetta la drammaturgia musicale, quindi che ha bisogno di consonanze e di dissonanze, ma ben calibrate, ben contrapposte, in modo da non creare una tinta unica che diventerebbe antiteatrale… Non si può proprio parlare di tonalità tradizionale perché la tonalità dell'Ottocento aveva delle regole diverse, però certamente sono molto lontano dal linguaggio diciamo più avanguardistico usato spesso sicuramente nella musica fuori dal teatro… ahimè anche nella musica per il teatro, perché non aiuta questo, non aiuta a far comprendere al pubblico quello che sta accadendo, e questo è essenziale, è fondamentale, direi…

A questo proposito, nella Lupa c'è un inserto di Nun è peccato di Peppino di Capri, e non sono infrequenti accenni al rock, al tessuto comune della nostra musica, oltre a una citazione di Viva il vino spumeggiante da Cavalleria: è questo il suo modo per creare una modalità operistica che possa attirare anche un pubblico più giovane? Lei come vede anche il futuro dell'opera italiana?

Io sono sempre stato convinto che il linguaggio colto avesse il dovere di operare delle sintesi di linguaggi anche extracolti: nell'Ottocento ma anche prima era una cosa comune, i compositori raccoglievano indicazioni, suggerimenti e suggestioni anche dalla musica popolare, e questa cosa nel nostro secolo, nel Novecento, e poi anche ultimamente è stata un po' tralasciata… Io trovo che sia sbagliato, perché se si vuole comunicare con il maggior numero di persone bisogna essere colti nel vero senso della parola, cioè riuscire a inglobare dentro un linguaggio tutto quello che sentiamo, che percepiamo, che esiste, naturalmente trasformandolo in qualcosa in cui noi possiamo credere e mettere la nostra creatività… Non c'è dubbio che la realtà musicale al di fuori del nostro settore sia molto interessante, anche parlando di musica da film, per esempio, o del musical, ci sono tanti linguaggi musicali, tante forme d'espressione musicale che un compositore colto ha il dovere di studiare…

Anche per poter avvicinare, senza dubbio… Quindi, diciamo, lei vede una possibilità per l'opera ancora di poter interessare i giovani a determinate condizioni? Perché, oggi, il problema è che il teatro d'opera è un po' come un museo…

Sì, non c'è dubbio che lo sia. Il problema dell'opera e della musica colta oggi dipende essenzialmente dalla mancanza di educazione musicale a livello di base: noi siamo un paese dove la carenza di educazione musicale è particolarmente profonda, non c'è… In altri paesi c'è molto di più, in Germania, in Inghilterra, in America la musica viene insegnata, viene divulgata, nelle scuole primarie ma anche secondarie, quindi questa è la prima cosa: finché non riusciamo a creare un minimo di tessuto o di conoscenza nei giovani, è ovvio che è difficile che poi si avvicinino, abbiano voglia di saperne di più, perché non gli viene insegnato nulla…

Nelle scuole, per i soli tre anni delle scuole medie, c'è l'educazione musicale… Per lei è insufficiente?

Primo è fatta malissimo…

Perché?

Perché non serve a niente insegnare a suonare il flauto dolce, ci vorrebbe, come dire… come si studia la storia dell'arte, che fornisce degli strumenti alle persone più giovani per poi apprezzare, magari andare in un museo, la musica andrebbe insegnata partendo intanto dall'educazione all'ascolto, insegnare cioè cosa vuol dire mettersi seduti e ascoltare… Questa è una cosa che i giovani non conoscono, pensano che la musica sia un sottofondo… E questo è la prima cosa secondo me: togliere proprio dalla percezione del fatto musicale questo uso così superficiale.

Un'ultima domanda che riguarda l'annosa questione di queste regie d'opera che oggi tendono a sovrapporsi a quelle che sono le intenzioni del compositore. So che le regie della Lupa e del Berretto sanno curate da Davide Livermore… Lei cosa ne pensa di queste regie che spostano tantissimo in avanti la vicenda dell'opera e quale è stato il suo rapporto con Livermore, come si è trovato a lavorare con lui?

In generale io penso che un bravo regista debba fare il regista a prescindere da dove si posiziona lo svolgimento dell'azione: spesso si confonde l'aggiornamento con la tecnica della messa in scena. Quando la messa in scena è sensata ed è fatta da un bravo regista quasi non importa più se siamo in abiti del ‘700 piuttosto che più vicini a noi… Davide lo conosco da una vita, credo di essere stato il primo tra l'altro a dargli una regia in una fondazione lirico-sinfonica, quando facevo il direttore artistico al Regio di Torino, e quindi so che è un grande professionista, lo sta dimostrando anche qua, e ho una grande stima di lui: ha un'energia e un talento per il teatro che è assolutamente encomiabile. Poi, sa, nella mia vita ho imparato che una cosa è la creazione di un'opera, una cosa l'interpretazione di un'opera. Io rispetto molto i registi, ne ho avuti tanti nella mia esperienza, e non credo che sia giusto intervenire troppo nel loro lavoro, bisogna lasciarli liberi di fare… Io vado alle prove soprattutto perché nelle prove imparo molto dagli errori che capisco che posso aver fatto io, e quindi imparo per la prossima che scriverò. Quindi vado alle prove perché è il mio momento di apprendimento.

Quindi lei è l'ideale di un musicista assolutamente democratico…

Sì.

Tavola rotonda con il librettista e nemmeno le bizze, chiamiamole così, di Verdi…

No, è inutile… i registi hanno le loro idee, magari non collimano con le mie, ma non importa… In questo caso, devo dire che l'esperienza è molto positiva, e io e Davide siamo molto d'accordo. È un momento di grande soddisfazione professionale.

Giuliana Cutore

21/2/2024