RECENSIONI
-

_ HOMEPAGE_ | _CHI_SIAMO_ | _LIRICA_ | _PROSA_ | _RECENSIONI_| CONCERTI | BALLETTI_|_LINKS_| CONTATTI

direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

La restaurazione delle fate

Dimenticare la bacchetta magica. Di incantatrici trasumananti e maghi benigni, di sovrani senza trono e cavalieri erranti non c'è traccia nelle Fate andate in scena a Meiningen, piccolo centro della Turingia sede di quella Meininger Hofkapelle che è una delle orchestre tedesche più blasonate e cariche di memorie. La prima opera di Wagner, disconosciuta dall'autore e rappresentata solo postuma, che ripercorre a grandi linee ma con qualche farragine il plot della Donna serpente di Gozzi, nella rivisitazione della regista Yona Kim e della drammaturga Julia Terwald diventa piuttosto un corpo a corpo tra Restaurazione e Romanticismo; nonché – più in generale – un modo di fare i conti con l'antropologia germanica dell'Ottocento.

Qui siamo all'interno d'un ospedale psichiatrico, in anni per la psichiatria ancora pionieristici: a occhio e croce, quel Vormärz (come verrà poi definito da Grillparzer, coniando un termine destinato a diventare archetipico nella cultura tedesca) di aleggiante disordine sociale alla vigilia della rivoluzione del 1848, che vide Wagner in prima linea sulle barricate di Dresda. Arindal – re che rinnega la propria natura umana per amore della fata Ada, a sua volta disposta a ripudiare il suo magico mondo per sposare quell'individuo terrestre – in base al libretto impazzisce all'inizio del terzo atto, ma lo spettacolo ce lo mostra ricoverato in casa di cura sin dall'alzarsi del sipario: la regia ne fa un musicista dall'Io diviso (il giovane Wagner?), che si abbarbica al pianoforte inteso come strumento-simbolo di un romanticismo febbrile e anarcoide, ultimo baluardo di resistenza a quella società Biedermeier in cui la restaurazione si sostanziava.

Anche la sua amata è rinchiusa lì: forse proiezione mentale di Arindal, o forse davvero costretta a sua volta al ricovero coatto, visto che pure lei ha infranto le regole sociali inquinando la sua natura extraterrena con un amore umano. Dunque le maghe Zemina e Farzana, che complottano affinché Ada torni al fatato ovile, qui si trasformano in due infermiere zelantissime nella sedazione dei malati. Il re delle fate, deus ex machina che assicura un lieto fine negato invece da questo spettacolo, è un dottore – forse il primario – della clinica in vesti di clown, come talvolta fanno i medici per allietare i bimbi ricoverati (pazzi e bambini, in una società tesa a mantenere lo status quo, sono sullo stesso piano). Mentre i personaggi nobili o eroici – Lora, destinata a trasformarsi in reggente, e il prode Morald – assumono invece i contorni farisaici della Realpolitik.

È chiaro, a questo punto, come Die Feen in scena a Meiningen siano innanzi tutto una riscrittura radicale: con numerosi tagli (non sempre fuori luogo, in questo Wagner ventenne ancora alla ricerca di se stesso), alcuni ruoli soppressi e altri accorpati, perfino delle infedeltà musicali (il pianoforte, inteso come protesi del protagonista, e dunque personaggio a sua volta, talvolta suona al posto dell'orchestra). Eppure – sulla distanza – ogni tassello appare collocato al posto giusto: cancellata dalla vicenda, la magia della Zauberoper resta dentro ai personaggi, mentre la densità concettuale dell'impianto si stempera in una grazia figurativa rara negli allestimenti operistici tedeschi: è elegantissima la scatola scenica di Jan Freese, che abbina l'algidità dell'ambientazione sanitaria alle iperromantiche evocazioni dei quadri di Caspar David Friedrich; così come appaiono ad alta densità semantica i costumi di Frank Schönwald, dove convivono abiti moderni e Biedermeier. Tra affilati richiami psicanalitici (a cominciare dall'uso, o non uso, che i protagonisti fanno delle scarpe) e rimandi al grande immaginario dell'Ottocento tedesco (fa capolino anche il fiore blu di Novalis), Yona Kim – coreana per nascita, viennese per formazione, amburghese per carriera – realizza così un'autentica sismografia dell'interiorità Sturm und Drang: restituendoci un Wagner giovane figlio della propria epoca, anziché venerato santone fuori dal tempo e dallo spazio.

Quasi interamente costituito da elementi della compagnia stabile del locale Staatstheater, il cast s'impone sul fronte femminile. Lena Kutzner è una fata “umana, troppo umana”, d'intenso afflato nelle espansioni liriche e – negli slanci drammatici – caratterizzata da un Kopfstimme non privo di tensioni e fissità che, lungi dal pregiudicare la qualità dell'emissione, tornano utili a raffigurare l'anima divisa in due di Ada; mentre la “seconda donna”, Emma McNairy, domina con scioltezza una scrittura più leggera e occhieggiante al “legato” belcantistico italiano, imprimendo alla reggente Lora anche il carisma di un ambiguo decisionismo e una tortuosa sensualità. La coppia Zemina-Farzana trova nella voce risonante di Deniz Yetim un'autentica deuteragonista e nell'aplomb di Marianne Schechtel una puntuale caratterista. Unica gaia presenza muliebre della vicenda, la cameriera Drolla – stante l'indisposizione della titolare – nella recita di cui si dà conto è stata sdoppiata da Paula Rummel (che cantava a leggìo) e Freya Gölitz (che agiva in palcoscenico): con esiti ragguardevoli in entrambi i casi.

Il versante maschile schiera due baritoni dalla differente fisionomia canora: Shin Taniguchi ha il calore timbrico e la morbidezza che si addice a un personaggio “alto” come Morald, mentre lo scudiero Gernot trae vantaggio dalla voce più lirico-brillante di Johannes Schwarz. In abiti da clown, Selcuk Hakan Tirasoglu unisce le risonanze sepolcrali del basso profondo alla sinistra, e solo apparente, bonarietà del personaggio. Anello debole della catena resta proprio il protagonista, perché David Danholt del tenore wagneriano non ha né lo squillo né tanto meno – la voce fatica ad espandersi – lo spessore. Tuttavia almeno sul piano scenico il suo Arindal resta una figura memorabile, nei furori come nei tormenti.

Orchestra all'altezza della sua fama (e così il coro). Al General Musik Direktor in carica è subentrato, nella replica in questione, il sostituto Chin-Chao Lin: ma lo spettacolo era rodatissimo e la Meininger Hofkapelle ha sciorinato trasparenze liederistiche e turgori romantici in egual misura.

Paolo Patrizi

17/2/2024

La foto del servizio è di Christina Iberl.