RECENSIONI
-

_ HOMEPAGE_ | _CHI_SIAMO_ | _LIRICA_ | _PROSA_ | _RECENSIONI_| CONCERTI | BALLETTI_|_LINKS_| CONTATTI

direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

«De l'uom che sarà! Perdona l'error»

Al Donizetti Opera Festival 2023 va in scena Il diluvio universale, su libretto di Domenico Gilardoni e con un cast di tutto rispetto. Non la versione più facilmente rinvenibile su Spotify o su YouTube, quella che Donizetti revisionò nel 1834 per il Carlo Felice di Genova, ma quella originale, scritta per il San Carlo di Napoli e ivi rappresentata per la prima volta il 6 marzo 1830. Essendo in tempo di Quaresima le opere vere e proprie erano vietate; ma, dal 1785, i soggetti a sfondo religioso, biblico, i soggetti edificanti, erano consentiti e i teatri napoletani potevano restare aperti. In questo filone si inserisce ad esempio il Mosè in Egitto di Rossini, risalente per l'appunto al pieno dei suoi anni partenopei, prima che evolvesse nella sua versione francese, e modello per il Diluvio donizettiano, che non a caso è chiamato non “opera”, bensì azione tragico-sacra. Ma, fatta la legge, trovato l'inganno. Perché, se alla trama “corale” di Noè che costruisce l'arca se ne aggiunge una privata, possibilmente di amore e tradimenti, il soggetto diventa quello di un'opera vera e propria. È così che Donizetti, prendendo spunto principalmente dalla Bibbia, dalla tragedia di Francesco Ringhieri Il diluvio universale (1783, revisionata nell''88) e da Heaven and Earth di Byron (1822, pubblicato nel 1824), sottopone a Gilardoni un intreccio da sviluppare in libretto. Noè si limita sostanzialmente a predire il castigo di Dio prossimo a inverarsi, una “Cassandra biblica”, come sottotitola il programma di sala del Festival, sparendo alla fine del secondo atto (su tre) con un concertato in cui si riconosce la marcia dell'esercito danese dell'Alfredo il grande e che verrà successivamente riutilizzata ne La fille du régiment (Chacun le sait, chacun le dit), mentre il vero interesse dello spettatore viene concentrato sulla storia di Sela, moglie di Cadmo, «capo de' Satrapi di Sennáár», che, convertita da Noè, rischia di perdere il figlio Azael e l'amore del marito se non rinnega la sua nuova fede maledicendo il Dio di Abramo (cosa che farà nel terzo atto, dando il via alla punizione divina nell'ultima pagina dell'opera, puramente strumentale); ci si mette di mezzo Ada, confidente di Sela, fintamente sua amica ma in realtà innamorata di Cadmo, che fa credere a quest'ultimo che la moglie si sia avvicinata a Noè non per amor di fede, ma perché attratta dal suo primogenito Jafet. Curiosamente, mentre i ruoli vocali femminili sono di prassi quelli di soprano per la protagonista (Sela) e di mezzosoprano per l'antagonista (Ada), nel Diluvio si assiste all'inversione di quelli maschili, con antagonista un tenore (Cadmo) e protagonista un basso (Noè). Non mancano curiosità di natura più prettamente tecnica, come l'utilizzo di stilemi e polifonie affini allo stile liturgico (entra nel merito l'annesso saggio di Paolo Fabbri).

Lo stesso Donizetti doveva credere molto in questo lavoro, perché, dopo che le repliche al San Carlo furono soltanto sette, parte della musica venne rifusa pochi mesi dopo nell'Anna Bolena (Milano, Teatro Carcano, 26/12/1830), e la ripresa genovese del 1834 presenta riscritture delle parti utilizzate nella Bolena, segno che non voleva limitarsi a un semplice copia-e-incolla; pare però che considerasse ufficiale la versione genovese, se, scrivendo al Duca di Noia nel 1837, responsabile del Collegio di San Pietro a Majella, gli faceva divieto di far circolare copie manoscritte del Diluvio ivi conservata. Una copia invece circolò, probabilmente pirata, e giunse fino all'Oratorio di San Filippo Neri all'Olivella in Palermo, datata 1847 (Donizetti era ancora in vita, ma assente a se stesso: impossibile pensare che abbia allestito un'esecuzione palermitana; d'altro canto in quel momento era internato in un manicomio presso Parigi); di quell'allestimento la Biblioteca Nazionale di Napoli conserva un libretto stampato a Palermo nel 1853; ed entrambi, libretto e partitura, differiscono non poco dal manoscritto napoletano, quanto a personaggi e addirittura quanto a orchestrazione.

Dilungarsi su questi aspetti esulerebbe dallo scopo del presente articolo, per quanto interessanti; ma di tutto ciò tiene conto Edoardo Cavalli, ricercatore del Centro studi donizettiani della Fondazione Teatro Donizetti, approntando l'edizione critica e sunteggiandone i risultati nel programma. Ma non occorre nemmeno dilungarsi troppo sulla regia proposta per l'allestimento al Teatro Donizetti di Bergamo, ove la terza e ultima rappresentazione del Diluvio, di cui si riferisce, si è tenuta domenica 3 dicembre, data che conclude il Donizetti Opera Festival 2023. Per inciso, esso ci dà appuntamento al prossimo novembre con la triade Roberto Devereux, Don Pasquale e Zoraida di Granata (versione 1824) per il progetto Donizetti 200.

Una regia, peraltro ampiamente contestata e buata alla prima, che rilancia il concetto di “Cassandra biblica” sopradetto declinandolo in ottica ecologista. Il duo MASBEDO, da scriversi così, tutto maiuscolo, crasi delle iniziali dei cognomi di Nicolò MASsazza e Iacopo BEDOgni, si avvale della drammaturgia visiva di Mariano Furlani, delle scene di 2050+, dei movimenti scenici di Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco e delle luci di Fiammetta Baldiserri. In questa visione Noè… non è soltanto il patriarca… dell'arca, ma il primo ambientalista della storia. Il diluvio simboleggia così la natura che si ribella all'inquinamento, al surriscaldamento globale, alla pesca intensiva, ecc.; e il ruolo di sforzarsi a ripetere, e in qualche modo a predire, che se non si “cambia rotta” le cose andranno a peggiorare fino all'irrimediabile, è affidato proprio a Noè. Ma questo è soltanto una delle riletture dell'opera, peraltro quella più interattiva col pubblico, che “dilaga” oltre il palcoscenico, coinvolgendo l'associazione Sea Shepherd, che espone un banchetto esplicativo nel foyer del teatro, e volontari vestiti con incerate e monitor montati sulla schiena. Che cosa proiettassero i monitor è presto detto: filmati di inondazioni, catastrofi e affini. Filmati ripresi e proiettati sul led wall al fondo del palcoscenico per buona parte della recita, cui si alternano, inspiegabilmente, lunghissimi minuti di un primo piano di una mantide religiosa e altre consimili, come chiamarle… trovate. L'altra rilettura, che più modella il palcoscenico, è quella di un hic et nunc che Cadmo e la sua corte impersonerebbero, e che li porta a vivere e vedere soltanto il presente, noncuranti dei possibili risvolti del loro comportamento per il futuro: chiara metafora del menefreghismo con cui l'uomo sta portando a catafascio il mondo, e ci si ricollega così al tema ambientalista e a Noè con funzione di monito. «Siamo all'ultima cena dell'umanità – dichiara Furlani ad Alberto Mattioli, che cura l'intervista ai registi –, in una corte di Cadmo dove si mangia, si beve, si dorme, si ama, si odia, si agisce nell'inconsapevolezza della morte»: da una parte un succedaneo della corte del Duca di Mantova, dall'altro festa in maschera del Principe Prospero di Poe. E come per questo, la realtà di Cadmo è una realtà isolata dal resto, qui resa visibile da una gabbia non dorata ma di ferro, che cala dal soffitto a inizio opera e risale alla fine, entro cui la ricca imbandigione di un lungo tavolo attrae i cortigiani-commensali, che gozzovigliano in abito da festa – i costumi dei MASBEDO, in collaborazione con Cinzia Mascheroni, non sono altro che completi giacca e cravatta, con l'eccezione di Cadmo, che porta un papillon non annodato al collo, e vestiti da sera per le donne; Noè, invece, più sobrio, come tutti i componenti della sua famiglia, è in nero, con una sciarpa grigia sulle spalle. E di queste gozzoviglie viene fornito un attento primo piano, da parte degli stessi registi che sul palco, confusi con il coro – lo stupendo Coro dell'Accademia Teatro alla Scala istruito da Salvo Sgrò, di cui si apprezza la potenza e la compattezza –, riprendono e proiettano sul led wall inquadrature ravvicinate di gente che mangia gelatine colorate; caratteristica, questa della regia in presa diretta, distintiva dei MASBEDO.

Al termine dello spettacolo, come per ritornare sul concetto di monito contro il degrado del mondo, ecco spiccare in nero sul led wall bianco un estratto dal libretto: «De l'uom che sarà! Perdona l'error». Se un senso può avere tutto questo dispiegamento di energie, cui contribuiscono anche cinque performer (Cinzia Brugnola, Antonio Capone, Adriano Di Carlo, Filippo Pizzocri, Martina Rota) e un nutrito numero di tecnici, la presenza invadente di immagini e filmati rende l'allestimento distraente, disturbante e ben più che indiscreto; ritorna sempre la domanda, che può essere tacciata di parrucconeria, se sia il caso di ammodernare con tali inutili superfetazioni un lavoro che coi suoi valori e disvalori deve essere riproposto – se non altro per un dovere artistico, dato il Festival in cui si inserisce, e sperando che non torni sepolto in qualche cassetto polveroso – inquadrato nel suo momento storico, e non ammodernato a tutti i costi in nome di una (presunta) inattualità di contenuto. Ad ogni modo, Noè ambientalista mancava all'elenco. Ma non se ne sentiva la mancanza.

In certi momenti l'opera si gode meglio ad occhi chiusi, e il godimento per voci e strumenti prende il volo. Riccardo Frizza si conferma bacchetta d'elezione nel repertorio donizettiano, e apporta una buona dose di verve in modo da non far calare la tensione del dramma, che soffre di una certa staticità di andamento. Tempi sostenuti, senso del ritmo e calibrato rapporto buca-palcoscenico, che si traduce in una concertazione a favore delle voci senza appiattire il golfo mistico, garantiscono una direzione di grande valore, impossibile se disgiunta dalla prestazione dell'Orchestra Donizetti Opera, all'altezza della situazione.

Il cast, si diceva, è di tutto rispetto. Si parte con una stupefacente Giuliana Gianfaldoni nel ruolo di Sela (cui vengono dedicati generosi primi piani sul led wall, non in presa diretta ma preregistrati), che ancora una volta si conferma interprete d'eccezione, con la sua voce musicale, melodiosa e flautata, col fraseggio morbido anche nelle fioriture, un timbro luminoso e un'invidiabile omogeneità di registro, che la porta oltre il pentagramma ad acuti robusti come a sottili filati. Marito di scena è qui Enea Scala. Il suo Cadmo è sicuro, vocalmente preciso, coinvolto e partecipe nel ruolo, che affronta con ardimento, un ruolo piuttosto impervio, disceso com'è dai lombi dei tenori serî rossiniani; un timbro non particolarmente solare e certe durezze di emissione, specie nel registro acuto che suona un po' sforzato, compromettono in parte, a giudizio di chi scrive, una prestazione altrimenti impeccabile. Nahuel Di Pierro, scritturato quale Noè, nonostante l'indisposizione annunciata dallo speaker, ha dato avvio alla recita, ma dopo poco ha dovuto limitarsi a mimare la parte con gesti e labiale. Non è stato possibile valutarlo, ma al suo posto Alessandro Abis, cantando da un leggio sul lato sinistro del palcoscenico, lo ha sostituito più che validamente, esibendo voce grave, solida e scura. Maria Elena Pepi completa il quartetto dando vita ad una Ada maliarda e determinata, molto convincente tanto sulla scena – i suoi primi piani durante il banchetto denotano grande concentrazione nel ruolo –, quanto vocalmente. Il timbro caldo, sfumato e suadente, la voce limpida e fascinosa concorrono alla resa di un belcanto tornito, costantemente mantenuto su binari di apollinea eleganza e trattato con ispirata intelligenza interpretativa.

Come lei, allievi della Bottega Donizetti sono Davide Zaccherini (Sem), Eduardo Martínez (Cam) e Sabrina Gárdez (Tesbite), che hanno avuto modo di mostrare meglio le loro doti ne Il piccolo compositore di musica di Johann Simon Mayr, ripreso dal Donizetti Opera Festival 2023 in data 2 dicembre. Il cast vede anche protagonisti Nicolò Donini (Jafet), Erica Artina (Asfene), Sophie Burns (Abra) e Wangmao Wang (Artoo). A tutti loro, così come a Frizza e all'orchestra, il pubblico tributa applausi generosi e prolungati, più entusiasti per Gianfaldoni, Scala e Abis.

Christian Speranza

10/12/2023

Le foto del servizio sono di Gianfranco Rota.