RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

L'eclissi di Norma

Norma mancava dalla città dello Stretto da ben dodici anni, ed era dunque più che lecita la grande aspettativa per il capolavoro belliniano, sia da parte dei messinesi, che hanno affollato in massa il teatro Vittorio Emanuele la sera del 27 settembre, data della prima, sia da parte dei melomani siciliani, che non perdono mai occasione per riascoltare, e rivedere, l'opera che a buon diritto può dirsi una delle vette più eccelse del melodramma italiano. L'evento faceva parte dell'edizione 2023 del BIC (Bellini International Context), che quest'anno ha visto riunite le città di Catania, Messina e Palermo in una lunga serie di manifestazioni a ingresso gratuito in omaggio al Cigno che, iniziatesi nella città etnea l'8 settembre con un Galà Lirico-Sinfonico, si sono snodate a cadenza quasi giornaliera per tutto il mese, e si concluderanno il 6 ottobre a Catania con un Omaggio dei Compositori di Sicilia a Vincenzo Bellini.

Questa edizione di Norma, realizzata dall'Ente Autonomo Regionale Teatro di Messina in collaborazione con la Fondazione Taormina Arte Sicilia, è stata firmata per quanto riguarda la regia da Francesco Torrigiani, che ha saputo sfruttare al meglio le possibilità del palcoscenico del Vittorio Emanuele, grazie al sapiente utilizzo di pochi elementi scenografici, curati da Francesca Cannavò, di grande impatto visivo, quali grandi e contorti rami che scendevano lentamente sullo sfondo, pannelli di pietra oscura, che aprendosi e chiudendosi secondo le diverse esigenze aumentavano visivamente la profondità del palcoscenico, e scarni e simbolici elementi di arredo, che avevano il merito, come in tutte le regie ben riuscite, di non distogliere lo spettatore dalla fruizione della musica. Le luci di Gianni Pollini, ma soprattutto i video mapping di Mathias Schnabel, riproducenti un'immensa luna che mutava via via colore fino a diventare una gigantesca palla rosso cupo, preannuncio della morte sul rogo dei protagonisti e della ferocia dei Galli, insistevano sull'aspetto lunare e tellurico dell'opera, che si svolge nell'arco di una lunga notte di inganni, tradimenti e pulsioni di sangue, facendo sì che tutto convergesse sulle dinamiche emotive della grande sacerdotessa, della giovane Adalgisa e del proconsole romano. La stessa allusività si riproponeva negli eleganti costumi di Lisa Rufini, che giocavano per i druidi su tutta la tavolozza dei blu, dall'azzurro all'indaco, con rapide incursioni in un lattescente bianco lunare per Norma, mentre per i romani, a parte un lungo mantello bizantineggiante sui toni del rosso per Pollione, è stato utilizzato il nero assoluto, quasi ad additare che sono gli invasori l'unico elemento di disturbo in una civiltà che segue i ritmi della natura e che in essa ricerca i suoi dèi, e che è proprio la violazione dei diritti del Nume supremo alle scaturigini della tragedia che si concluderà nella catarsi del fuoco.

Sul fronte musicale, Giuseppe Ratti ha diretto con cura l'Orchestra del Teatro di Messina, privilegiando tempi serrati per i momenti sinfonici, ma adattandosi nel contempo alle esigenze dei cantanti, senza mai sovrastarli, anzi tenendo sempre ben presenti le peculiarità acustiche di una sala in cui sonorità troppo veementi avrebbero creato un fastidioso riverbero che, tranne in alcuni passaggi della Sinfonia, dove le percussioni avevano un ruolo notevole, è stato sempre accuratamente evitato. Precisi gli attacchi, e molto professionali ed espressivi gli interventi del flauto solista, ma anche di tutta la sezione fiati, e del primo violoncello, che ha dato prova di sonorità calde e avvolgenti e di una cavata di tutto rispetto all'inizio del secondo atto. In generale tutta l'orchestra, senza dubbio ad opera di un'attenta concertazione, ha manifestato compattezza e affiatamento, il che si è tradotto in un suono ricco di sfumature e in un colore che è senza dubbio stato uno dei punti di forza della rappresentazione. Anche il Coro Lirico “Francesco Cilea”, diretto da Bruno Tirotta, ha prestato molta cura alle sonorità, fornendo una prova di ottimo livello, specialmente nella sezione maschile, che è poi quella di più rilievo nell'opera, interpretando “Guerra, guerra” senza mai scadere nel bandistico, ma anzi con un autentico piglio guerresco.

Sul versante prettamente vocale, oltre ai puntuali e attenti interventi di Oleksandra Chaikovska nel ruolo di Clotilde, ancella di Norma, e di Davide Scigliano, che ha impersonato Flavio, va senz'altro elogiata la prova del basso Gabriele Sagona, che ha interpretato un Oroveso autorevole, dalla buona timbratura, attento all'espressività del fraseggio e maestoso nell'aria “Ah! del Tebro al giogo indegno”, senza peraltro mai trascurare l'importanza che hanno i recitativi in Bellini, vere e proprie parti integranti dell'opera e mai puri riempitivi.

Da sinistra: Klara Kolonits, Stefano Secco, Alessia Nadin.

Anche il tenore Stefano Secco, Pollione, dopo una cavatina alquanto incerta (ma si sa che le prime pagine di Norma sono sempre un po' impervie per i cantanti, che forse sentono su di sé l'implicito confronto con i mostri sacri del passato), è cresciuto via via, a partire dal duetto con Adalgisa e in particolare nel finale, rendendo il personaggio del proconsole con pathos e passionalità, sfruttando una corposa e a tratti bronzea zona media che costituisce senza dubbio il punto di forza della sua voce, in uno con un buon fraseggio e una sensibile musicalità, che insieme all'ormai rara precisione negli attacchi e alla chiara dizione ne fanno senz'altro un tenore da voler riascoltare in futuro. Quanto ad Adalgisa, qui resa da un mezzosoprano e non da un soprano come aveva stabilito Bellini, ha trovato in Alessia Nadin un'interprete di eccezione, che ha costituito senz'altro l'aspetto più notevole e affascinante del cast vocale: dotata di una voce molto estesa, calda e suadente nella zona media, ma luminosa in quella acuta, è riuscita a rendere palpabile tutta la complessità psicologica della giovane sacerdotessa inconsapevole rivale di Norma. Sin dall'arioso “Sgombra è la sacra selva”, che ne segna la sortita, ha messo in luce una notevolissima eleganza di fraseggio, unita a una padronanza davvero rara del legato belliniano, crescendo via via nel duetto con Pollione, sino ad approdare al primo duetto con Norma, dove è stata lei, e non la protagonista, a catalizzare l'attenzione e a rendere davvero commovente l'ingenua e accorata confessione di Adalgisa, dimostrando di aver compreso quale sia l'importanza nevralgica, per non dire assoluta, dell'interprete in Bellini, e in Norma in particolare, opera sempre in bilico tra le vette sublimi della musica, se ben cantata, e la banalità, se affidata a voci che non l'abbiano compresa sino in fondo, studiando e sfruttando non solo le peculiarità, ma anche i difetti, delle grandi voci del passato, di quelle per intenderci che hanno tratto Bellini fuori dall'oblio in cui era caduto proprio ad opera di cantanti e direttori d'orchestra inadeguati.

E questa comprensione è purtroppo mancata al soprano Klara Kolonits, Norma, cantante dalla voce estesa e in grado di infiorare qualunque melodia, anche se non necessario. Esperta del repertorio mozartiano, la Kolonits ha cantato Norma esattamente come avrebbe potuto cantarla un soprano alla Toti Dal Monte, e come veniva generalmente accettato prima di Maria Callas: fiorita, attenta alle note e non all'espressività, in continua attesa di mettere in mostra le sue abilità nei sovracuti, negli abbellimenti, frettolosa nei recitativi, tutta presa da se stessa e non dal personaggio. Dopo un inizio alquanto deludente, se non imbarazzante, sia nello scultoreo recitativo “Sediziose voci”, dove nulla è rimasto del gesto deciso e della voce imperiosa della sacerdotessa che tiene a bada un'orda di guerrieri, che nella celeberrima “Casta Diva”, sembrava essersi un po' ripresa nella difficile cabaletta “Ah, bello a me ritorna”, dove ha potuto mettere in mostra notevoli capacità tecniche, in special modo nelle agilità, pur scegliendo nella ripresa variazioni un po' scontate; nel primo duetto con Adalgisa, dove la musicalità della Nadin è riuscita per un po' a farle ricordare che cantava Norma e non un'aria di Mozart, ha improvvisamente fatto ripiombare in pieno Settecento l'uditorio, pensando bene di infarcire di una serie di volatine il famoso verso “Ah! Tergi il pianto, te ancor non lega eterno nodo all'ara”, vero è proprio climax del duetto femminile prima della funesta conclusione del primo atto, dove nemmeno il terzetto con Pollione e Adalgisa è valso a redimerla da una incomprensibile trascuratezza e mancanza di espressività nei recitativi e da un'assoluta disaderenza al personaggio. Sì, perché è stato questo il vero problema di una prestazione che è sempre rimasta al di qua di Norma: la Kolonits, e lo ripetiamo, sarà un ottimo soprano, ma per cantare Norma occorre non solo un temperamento drammatico, ma un'estensione vocale che trovi il suo corrispettivo in una zona media e grave di tutto rispetto, tutte caratteristiche che non sono nelle sue corde: prova ne sia la talvolta incerta intonazione in zona media, e una tendenza fastidiosa ad anticipare sull'orchestra, che soprattutto nel finale, da “In mia mano alfin tu sei” fino a “Deh, non volerli vittime”, sino alle meravigliose progressioni esageratamente rallentate proprio ad opera della Kolonits, ha fatto del momento più tragico dell'opera quasi un esercizio di vocalità, dove della furia amorosa di Norma nulla è rimasto, né tampoco dello struggimento doloroso della madre che si avvia ad abbandonare per sempre i propri figli.

Giuliana Cutore

28/9/2023

Le foto del servizio sono di Giacomo Orlando.