RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

9/4/2016

 

 


 

La vocazione teatrale di Felix

L'integrale delle Sinfonie di Mendelssohn dirette da Daniele Gatti prosegue col concerto di lunedì 16 gennaio 2023. In programma l'imponente Sinfonia nº2 in si bemolle maggiore Op.52 (MWV A 18). La sinfonia è la seconda in ordine di pubblicazione (1841), dopo essere stata eseguita per la prima volta a Lipsia il 25 giugno 1840 (e successivamente ampliata), ma quarta in ordine di composizione, poiché, fra la Prima Op.11 e la Seconda Op.52, Mendelssohn aveva avuto modo di comporre La Riforma nel 1830 e l'Italiana nel 1833, senza però pubblicarle. Il primo gennaio 1839 Mendelssohn scrisse in una lettera di aver iniziato una sinfonia in si bemolle maggiore. Di quella sinfonia non si sa molto di più, ma probabilmente essa fu il cartone preparatorio di un progetto ben più grandioso, che si sarebbe inverato di lì a poco: un grande pezzo celebrativo da eseguirsi per il quattrocentesimo anniversario dell'invenzione della stampa di Johannes Gutenberg. E siccome il primo testo stampato fu la Bibbia, parve quasi una naturale conseguenza l'integrazione, nella struttura sinfonica, delle voci umane, naturalmente su un testo biblico. Sdoganata l'inclusione della voce nella sinfonia da parte di Beethoven con la Nona, era rischioso riproporre la formula compositiva, tre brani strumentali e finale cantato, perché voleva dire mettersi in competizione col gigante di Bonn e confrontarsi con un pezzo che aveva fatto letteralmente la storia della musica: ma Mendelssohn aveva tutte le carte in regola per osare. La scelta cadde su una selezione di versetti presi soprattutto dai Salmi, più alcuni estratti dal libro di Isaia, dalle lettere di San Paolo e un corale di Martin Rinckart del 1636, il tutto tradotto in tedesco per non venire meno alla fede luterana cui Mendelssohn fu convertito da bambino, a partire dalla religione ebraica professata dal padre. Ne nacque una composizione in cui, dopo tre movimenti strumentali da eseguirsi senza soluzione di continuità, si espande un finale suddiviso in dieci parti, affidate a tre solisti – soprano, mezzosoprano, tenore – e un coro misto. Alla normale orchestra si aggiunge anche un organo, e l'insieme si configura, vista la scelta dei testi, come un grande inno di lode al Signore, motivo per cui la Seconda è nota anche col soprannome di Lobgesang, dato dall'autore stesso.

In un tratto che accomuna tutti e tre i concerti, Gatti preferisce disporre l'orchestra “alla tedesca”, coi violini primi alla sua sinistra e i secondi alla sua destra, consentendo così che gli strumenti dal minor volume sonoro, i violini, appunto, si trovino più vicini al pubblico (normalmente l'OSN adotta invece la disposizione “all'americana” con la variante di Fürtwangler): questo, unito al fatto di non utilizzare l'orchestra al massimo delle sue dimensioni (dodici primi, sei contrabbassi), garantisce non solo un miglior bilanciamento del suono, ma anche una più fedele aderenza a quelli che potevano essere i canoni esecutivi primo-ottocenteschi di un grande lavoro sinfonico.

Stabilito il modus operandi, ecco i tromboni intonare il motto incipitario della sinfonia, Maestoso con moto: nel suo incedere ha tutta l'aria delle battute iniziali di un'ouverture al sollevarsi d'un sipario, affermato e riaffermato dalle diverse sezioni dell'orchestra; ma in pochi minuti cede il passo al primo movimento vero e proprio, Allegro, che contrasta con autentica verve di sinfonia d'opera, dallo slancio e dalla vivezza inattesa. Slancio e vivezza che, senza indulgere in frenesia estranea allo spirito del movimento, complice anche una mano non troppo calcata sull'agogica – stiamo capendo che Gatti non ama accelerare i tempi, salvo farlo talvolta quando non dovrebbe: ricordo il Finale di una Nona di Mahler eseguita sempre qui all'auditorium Toscanini nel 2020 rovinato dal tempo eccessivamente affrettato –, mantiene un tono fastoso e sostenuto, grazie alla solidità e alla compattezza di un'orchestra davvero sfolgorante, e con un occhio sempre puntato alla coerenza interna del brano grazie alle ammirevoli sottolineature dei ritorni del motto iniziale, quasi un refrain, una idée fixe berliozianamente intesa che di tanto in tanto emerge dal tessuto orchestrale e di cui forse potrebbe essersi ricordato Schumann pochi anni dopo nel comporre la sua Seconda Sinfonia Op.61, ove, fatte le debite differenze, una fanfara iniziale (invero meno affermativa e più tormentata) punteggia e innerva tutto il primo movimento.

Tanta esuberanza si stempera fino a calmarsi sulla cadenza del clarinetto, che collega il successivo Allegretto un poco agitato. Qui l'atmosfera cambia completamente; sotto la bacchetta di Gatti la moderata agitazione voluta da Mendelssohn si fa languoroso, passionale Sensucht, e la linea di canto tenuta da violini primi e violoncelli, sul discreto pizzicato del resto degli archi, assume già la pregnanza di un Brahms (il Poco allegretto della Terza); ma è Mendelssohn che traspare, sia nel colore crepuscolare della strumentazione, sia nella modulazione da sol minore a re minore (peraltro nello stesso tempo di 6/8) che si ritrova quasi uguale nel senza parole Op.19 nº6 per pianoforte (barcarola veneziana). Dal raccoglimento intimo di questo movimento si entra quasi insensibilmente nella dimensione del sublime nell'Adagio religioso che segue. Morbidissimo l'attacco degli archi, quasi da finale di Pastorale o da secondo tempo del Terzo Concerto beethoveniano, amabili e sognanti i fiati, dal cui amalgama Gatti riesce a estrarre il germe della più pura cantabilità.

Innestato su una cellula ritmica derivata dall'Adagio religioso, il motto iniziale dei tromboni torna in scena per aprire l'articolato finale sul primo dei tanti cori, Alles, was Odem hat (Tutto ciò che ha respiro). Qui per noi è il superbo Coro del Teatro Regio di Torino a cantarlo, magistralmente preparato da Andrea Secchi, che sfodera compattezza, fluidità, luminosa potenza, accurata indipendenza delle parti nei passaggi in stile contrappuntistico, pienezza di suono e stavolta anche equilibrio, laddove in passato sono state notate rilevabili, quanto veniali, sopravanzamenti della componente maschile su quella femminile. Nel corso dei diversi interventi, il Coro ha modo di mostrare di cosa sia capace, tanto per dire, a mo' d'esempio, il passare dalla solennità ultraterrena di Die Nacht ist vergangen (La notte è passata, nº7) al caldo e rassicurante Nun danket alle Gott (Ora ringraziate tutti Dio, nº8), un corale che parrebbe tratto di peso da una Cantata bachiana, nella sua scrittura a quattro parti perfettamente intellegibile: forse che Mendelssohn abbia voluto qui omaggiare il Kantor per antonomasia, dopo averne riscoperto e diretto la sua MatthäusPassion e aver dato il via alla Bach Renaissance?

A corredo di un coro così valente, tre solisti di comparabile livello: il poliedrico soprano Sara Blanch, che spazia nel suo repertorio da ruoli barocchi a ruoli novecenteschi (da Pergolesi a Stravinskij, passando per Mozart, Rossini, Donizetti, Verdi, Britten e altri) esibisce voce salda, sicura e luminosa; bene anche per il mezzo Michèle Losier, dal ruolo purtroppo marginale in questa partitura e che si sarebbe voluto ascoltare di più, e bene soprattutto per Bernard Richter, tenore ideale per un gran numero di ruoli, dato l'insieme di eccellenti qualità del suo strumento, come testimonia il suo curriculum dove passa da ruoli mozartiani (Don Ottavio, Tamino) a ruoli wagneriani (Froh): voce che corre fino a fondo sala, timbrata, vibrante e rotonda, capace di restituire, nel suo secondo assolo, Stricke des Todes (I lacci della morte, nº6), tutta la vivida drammaticità di una scena operistica – da pelle d'oca i ripetuti appelli Hüten, ist die Nacht bald hin? (Pastore, sta per finire la notte?), sforzati ma non faticati, dove lo sforzo è teso alla massima espressività – e confermando quella che potremmo chiamare la vocazione teatrale di Mendelssohn, estrinsecata massimamente, più che nelle opere e nei Singspiel, in altri grandi lavori per voci e orchestra, gli oratori Paulus Op.36 ed Elias Op.70 nel campo del sacro, Die erste Walpurgisnacht Op.60 nel campo del profano.

Successo pieno e applausi straripanti e più che meritati per tutti a fine serata.

Christian Speranza

25/1/2023
La foto del servizio è diPiùLuce/OSNRai.