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La destrutturazione di Else

La stagione 2023-2024 della Sala Futura, recentemente divenuta la seconda location del Teatro Stabile di Catania, si è aperta il 14 ottobre (con replica il 15 alle 19) con un'originale rivisitazione della novella del 1924 di Arthur Schnitzler La signorina Else, prodotta da “Il Piccolo Teatro d'Arte”, per la regia di Claudio Ottavi Fabbrianesi, che ne ha curato anche l'adattamento in otto quadri scenici, ripercorrenti le tappe fondamentali del percorso psicologico della protagonista, una giovane donna della buona borghesia austriaca, afflitta da un padre perennemente in bancarotta per il vizio del gioco, costretta di fatto a vendersi a un riccone per salvare la famiglia.

Il regista è partito dalla tecnica del monologo interiore con la quale Schnitzler aveva costruito la novella, al fine di far parlare l'io narrante di Else portandone alla luce le varie sfaccettature della personalità e al tempo stesso il contradditorio, ambiguo e mercificato rapporto con la realtà che la circonda, ma Fabbrianesi ha disarticolato la protagonista in quattro distinte soggettività complementari e dialoganti tra loro, volta a volta con un effetto eco o con un accenno di polifonia, il che gli ha permesso da un lato di evitare le secche di un pedissequo adattamento della novella alla scena, con le inevitabili ricadute naturalistiche che avrebbero snaturato di fatto l'impianto psicologico dell'originale, dall'altro di portare alle estreme conseguenze il discorso di Schnitzler, in un progressivo e inesorabile disvelamento delle illusioni giovanili sino alla nudità finale dove, sfrondata ogni ipocrisia, Else prende orribilmente coscienza dell'inautenticità di ogni rapporto umano, di ogni legame, anche quello familiare, sino ad optare per una morte quasi ipnotica (dovuta al veronal, un potente sedativo dell'epoca), che la sganci da una realtà ormai divenuta insopportabile, se non al prezzo di accettare in toto la follia collettiva della varia umanità che la circonda, umanità solo di nome e mai più di fatto.

La recitazione delle quattro giovani attrici, a mezzo tra lo straniamento espressionista e la colloquialità quotidiana, seguitata dai costumi minimalisti e essenziali, quasi riassumenti un mondo interiore, di Agostino Porchietto, si univa a un plastico linguaggio del corpo e a una mimica spesso volutamente sopra le righe, e strideva potentemente con la statuarietà dei due componenti maschili, che si esprimeva in movenze rigide, in una mimica quasi assente e in lunghe fissità rotte soltanto da gesti necessari scenicamente, evidenziando l'assoluto ruolo di stolido spettatore, chiuso nel non chiedersi mai nulla, dell'uomo borghese, tutto teso a mantenere i propri privilegi e il proprio dominio economico, in una povertà spirituale che faceva emergere ancor più il doloroso processo di destrutturazione dell'Io e di perdita di ogni punto di riferimento mentale e fisico percorso da Else fino al tragico finale.

Le luci gelide di Stefano Turino, efficacemente punteggiate da momenti di buio rotto solo dalla luce di una candela o di due doppieri ottocenteschi, contribuivano ad amplificare questa sospensione tra lo straniamento e la mimesis scenica, mentre le musiche di Schumann, Nymann e Bartòk punteggiavano il lento excursus della protagonista verso l'ineluttabile presa di coscienza, quasi un fulmineo passaggio dalla giovinezza e dalle sue illusioni sino a una gelida e disillusa maturità.

Di ottimo livello la recitazione degli attori, tutti professionisti Under 30 che compongono appunto la compagnia de Il Piccolo Teatro d'Arte, di cui il regista Claudio Ottavi Fabbrianesi è direttore artistico, sia per quello che riguarda il versante femminile, composto da Alessia Tucci, Arianna Lodato, Elisa Caponi e Cristina Leone, sia per quello maschile, rappresentato da Mattia Tedone e Giovanni Licari.

Il pubblico, purtroppo non numeroso, ha mostrato di gradire lo spettacolo, tributando sentiti applausi alla compagnia alla fine di questo intenso atto unico.

Giuliana Cutore

15/10/2023