RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Rossini: inganno e sentimento

Peculiare mescolanza di comicità e sentimento, L'inganno felice rappresenta uno dei frutti più compiuti del nascente talento rossiniano, la cui rara frequentazione deriva proprio da quella ibrida emotività che lo ha reso sospetto alla sensibilità schiettamente romantica. Non a caso il titolo manca dai palcoscenici romani dal lontano 1952. Merito del Reate Festival averlo proposto presso l'Auditorium Santa Scolastica, causa l'improvvisa inagibilità del teatro Flavio Vespasiano che ha purtroppo inibito l'allestimento scenico, portandolo in seguito nella sede romana del Teatro Palladium. L'opera, dunque, è stata eseguita in forma di concerto in entrambe le occasioni. L'inganno vive di una drammaturgia della memoria; un evento tragico accaduto nel passato le cui conseguenze sono ancora tangibili. Isabella, ripudiata e abbandonata a sicura morte per un tradimento mai commesso, ritrova l'affetto maritale una volta smascherati i colpevoli del torto subito. La calunnia prefigura le atmosfere del Barbiere, con implicazioni che in questa sede appaiono ben più crudeli. Per fortuna Isabella è sopravvissuta, grazie alle cure amorevoli di Tarabotto. Il lieto fine non cancella del tutto le ombre che solcano gli animi dei personaggi.

Dicevamo dell'esecuzione, forzatamente in forma di concerto ma comunque animata da notevole vis teatrale. Merito in primo luogo della direzione, mossa e frastagliata come la partitura richiede, pregna di contrasti e in grado di caratterizzare in maniera convincente la psicologia dei protagonisti. Alessandro De Marchi trae il massimo dai giovani membri della Theresia Orchestra, compagine di indubbio valore. Miriam Albano incarna una Isabella dall'accento nobile e dal fraseggio incrinato da una vena inestinguibile di malinconia. Il timbro è luminoso nell'acuto, mentre nel grave appare appena un poco offuscato. Il perfetto dominio delle colorature le permette di eseguire l'aria “Al più dolce e caro oggetto” con ammirevole virtuosismo. Profondamente umano il Tarabotto di Matteo Loi, apprezzabile per energia interpretativa e dizione perfetta. Luigi De Donato rende bene il carattere ambiguo di Batone, costretto dal perfido Ormondo, un bravo Giuseppe Toia, a vestire il ruolo del cattivo, ma in realtà animato da tratti ingenui e bonari. Unico neo nel cast il Bertrando di Antonio Garès, dalla voce rigida e sovente forzata nell'acuto, attorialmente ingessato contrariamente ai suoi colleghi, tutti in grado di vivacizzare l'esecuzione in forma di concerto. Un gradito ritorno, dunque, per un titolo che meriterebbe una maggiore presenza nei cartelloni lirici.

Riccardo Cenci

30/10/2023